Dokument-Nr. 10002

[Erzberger, Matthias]: Il risanamento economico dell'Europa per mezzo della Banca Internazionale. [Berlin], vor dem 01. Dezember 1917

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Indice – Sommario
I. La sistemazione delle spese della guerra.
Grandezza e molteplicità degli oneri della guerra. – Ottimismo superficiale. – Impossibilità di mettere insieme con mezzi fiscali i miliardi occorrenti per le nuove spese. – Limiti naturali, non varcabili della capacità tributaria. – Se lo Stato, invece di far prestiti, avesse confiscato tutto il patrimonio nazionale. – I prestiti di guerra, il patrimonio e il risparmio annuo della nazione. – Forzato aumento della produzione e diminuzione del consumo. – L'ammontare del prestito di guerra dà unicamente la misura del credito dello Stato. – Valore autonomo del credito. – Non conviene far soverchio assegnamento in un'indennità di guerra.
II. Proposta di una unione economica degli stati europei
Cenni generali. – Fondazione di una Banca internazionale. – Sua funzione. – In che misura e in che modo ogni Stato può ricorrere al credito della Banca per pagare gl'interessi del suo debito di guerra e ammortizzarlo.
III. La proposta in particolare.
La Banca internazionale una stanza di compensazione. – Il credito degli Stati europei componenti l'Unione eco-
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nomica. – Perchè l'oro conserva il suo ufficio tradizionale di strumento di scambio e denominatore del valore. – Il credito dell'Unione economica offrirebbe ai creditori d'ogni Stato maggior sicurezza della più grande riserva d'oro. – Ragioni della sua particolare solidità. – In che modo può venir mobilitato. Esempio. Timori infondati. – Le condizioni di vita dopo la guerra senza e con il soccorso dell'Unione. – Se ogni anno cinque miliardi impinguassero le tasche di capitalisti privati o se, invece, il pubblico erario. – Cinque miliardi piuttosto pochi che troppi per alleviare l'onere tributario di un popolo di settanta milioni. – Perché l'alleviamento dell'onere tributario, nel modo che si propone, sarebbe da preferirsi ad un'indennità di guerra.
IV. Effetto pratico della sistemazione delle spese della guerra che si suggerisce.
Impiego delle note o buoni del tesoro internazionali. – Ritiro e restituzione di essi all'Unione. – In sostanza, nient'altro che un differimento del pagamento degl'interessi annuali dei prestiti di guerra. – Come si svolgerebbero, in pratica, le cose fra l'Unione e i singoli Stati suoi membri.
V. Risposta ad alcune obiezioni.
Garanzia contro l'eccessivo appoggio d'uno Stato da parte dell'Unione. – Come si agirebbe verso lo Stato che
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non soddisfacesse l'obbligo assuntosi entrando nell'Unione. – Improbabilità dell'ipotesi. – Se prima della fine dell'Unione scoppiasse una guerra fra due o più dei suoi membri. – Improbabilità pure di questa ipotesi. – L'Unione economica la migliore garanzia contro una nuova guerra. – Il nostro compito. – Se nel trattato di pace non si darà origine all'Unione essa, prima o poi, sarà imposta dalla necessità. – L'Unione dovrebbe costituirsi pure se qualche Stato si rifiutasse di farne parte: essa è la più facile delle intese pensabili. – Il criterio per regolare la partecipazione dei singoli Stati.
VI. Conclusione.
Di fronte alla dura necessità ogni preconcetto ogni timore dev'essere sbandito [sic]. – Anche se col massimo sforzo le fosse possibile, non è giusto, né opportuno che la nostra generazione sopporti ancora per decenni i pesi derivanti dalla guerra. – Risposta agli scettici. Non è più lecito né prudente parlar d'utopie. – Riepilogo.
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Il risanamento economico dell'Europa per mezzo della banca internazionale.
I.
La sistemazione delle spese della guerra.
V'è un modo di sistemare le enormi spese di guerra degli Stati europei che permette di pagarne gl'interessi e di ammortizzarle senza inasprire le tasse sino ad un eccesso insopportabi1e e senza arrestare per decenni il progresso economico e civile.
La misura degli oneri che dovremo addossarci viene, di solito, stimata al disotto [sic] della realtà. Molti hanno dichiarato che la Germania va incontro a sicura rovina economica se non riceverà una considerevole indennità di guerra, perché spremere dai contribuenti i molti miliardi di più che si dovrebbero esigere da loro in confronto del tempo di pace, è impossibile. Alle somme necessarie per il pagamento dei frutti e l'ammortizzamento dei prestiti di guerra, e che sono quasi il doppio del totale delle spese ordinarie del bilancio dell'Impero, vanno aggiunte le grandi somme necessarie per la ricostituzione e la reintegrazione di valori distrutti o consumati; per l'assistenza degli invalidi, delle vedove e degli orfani. Il bilancio dell'Impero, prima della guerra, si chiuse, per quel che si riferisce alle
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spese e alle entrate ordinarie, con meno di tre miliardi e mezzo. Dopo la guerra le spese supereranno i dodici miliardi.
Secondo il Helfferich, il patrimonio nazionale tedesco, prima della guerra, era di trecento mil iardi in cifra tonda; la sua entrata annuale di quaranta miliardi, sette dei quali venivano spesi per fini pubblici, venticinque per il consumo privato, ed otto venivano risparmiati, rappresentando così l'eccedenza di tutta la produzione su tutto il consumo. Com'è naturale, imposte non possono pagarsi che con questa eccedenza, né mai il fisco può assorbirla per intero. Se produzione e consumo fossero eguali, non si avrebbe alcun incremento del patrimonio nazionale. Se tutti gli uomini dovessero lavorare per produrre solo quello di cui hanno bisogno per il proprio sostentamento, non rimarrebbe nulla per acquisti che non rientrano nella sostituzione dei beni consumati; nessuno potrebbe edificarsi una villa, comprarsi un pianoforte, un quadro. Ciò che il singolo guadagna di più di quanto consuma per il suo sostentamento, non va tutto, sotto forma di risparmio, a vantaggio della comunità. La parte che egli consuma realmente oltre lo stretto necessario, che, per così dire, consuma mangiando, non costituisce, naturalmente, alcun aumento del patrimonio nazionale. Solo ciò che egli conserva oltre questa parte è un risparmio, che può investire sia in valori produttivi, sta in valori improduttivi. E solo la somma di questi valori costituisce il sopraccennato risparmio di otto miliardi del popolo tedesco.
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Orbene, prescindendo pure dalla questione se il rincaro della vita e la diminuita capacità di produzione permetteranno al popolo di risparmiare, dopo la guerra, tanto quanto nel periodo di rigoglio, occorre subito notare che questo risparmio non sarebbe sufficiente a sopperire alle nuove spese perché maggiori dell'intero risparmio e perché, come già si disse, non è possibile impadronirsi fiscalmente di tutta l'eccedenza della produzione sul consumo, di tutto l'aumento del patrimonio nazionale. Il risparmio comprende molti valori che solo nei registri accrescono il patrimonio e che non possono trasformarsi in imposte; inoltre molti valori presso gli agiati e ricchi, ma anche, e specialmente, nella grande maggioranza del popolo, che si sottraggono a qualunque tassazione. Infine nessuno avrebbe più interesse a risparmiare anche solo un centesimo, se non gli fosse concesso di tenerselo. Chi oggi risparmia, restringendo il suo consumo, consumerebbe di più; chi risparmia perché lavora più di altri, lavorerebbe di meno. Quanto viene riscosso con le imposte sul credito diminuisce il risparmio e quanto rimane di risparmiato o non può in nessun modo assoggettarsi ad imposta, o, in qualunque caso, non nella misura del 100%. Non soltanto la comunità deve impiegare una parte del risparmio nazionale in nuovi acquisti, ma anche ai singoli deve lasciarsi una parte dell'eccedenza se si vuole che appunto questa eccedenza sia conseguita. E ciò che deve lasciarsi dei risparmi alla comunità o ai singoli non può naturalmente venir loro ritolto né meno con le imposte indirette, giacché queste rincarano il consumo, che è come dire diminuiscono in proporzione il risparmio.
L'eccedenza della produzione sul risparmio dovrebbe
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dunque, dopo la guerra, essere forse doppia dell'anteriore e avere nominalmente un valore assai più grande giacché l'aumento generale dei prezzi ha diminuito assai il valore del danaro. Ma ogni nuova imposta rincara la vita ed ha per conseguenza che lo Stato debba restituire tanto di più dei tributi riscossi, debba pagare stipendi maggiori agli impiegati, finisca, insomma, per aver tanto di meno per gli scopi che 1'indussero a decretare le nuove imposte.
Dato, dunque, che l'aumento delle spese dell'Impero, in conseguenza delle spese della guerra, sia per essere di otto miliardi e più all'anno, sarà impossibile, in regime di libera economia, mettere insieme questa maggiore somma per via di tasse. Non rimarrebbe, quindi, che mantenere e probabilmente inasprire ancora, in pace, l'organamento statale della vita economica attuato durante la guerra.
S'immagini, per farsi un concetto anche più chiaro della nostra condizione, che l'Impero, all'inizio della guerra, invece di far prestiti, avesse confiscato tutto il patrimonio nazionale. Nessuno avrebbe allora potuto sottoscrivere un prestito. L'Impero, in corrispettivo della confisca, avrebbe dovuto accollarsi l'obbligo di provvedere al sostentamento di tutti i cittadini, per il che, se tutto fosse rimasto come in pace, sarebbe stato costretto a spendere, annualmente, trentadue miliardi, sicché gli sarebbero rimasti per i maggiori bisogni della guerra soltanto gli otto miliardi risparmiati. Ma poiché egli ha consumato assai di più, ha ridotto pure di tanto di più il suo capitale, e quindi anche il suo capitale di produzione. V'è però un limite. Se l'Impero non può vendere all'estero capitale e scambiar merci, non può vivere che
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con le provviste innanzi accumulate; può mangiare i frutti della terra, non la terra stessa. Consumate le provviste non rimarrebbe appunto che la differenza attiva fra produzione e consumo, la quale potrebbe aumentarsi aumentando la produzione e diminuendo il consumo. È vero che milioni di mani sono sottratte al lavoro, ma con un impiego più razionale delle rimaste, con la mobilitazione di forze lasciate nel passato inoperose, con un organamento migliore, con invenzioni atte a risparmiare lavoro e col ricorso a materie per l'addietro non utilizzate si potrebbe non soltanto ottenere un compenso, ma conseguire perfino una differenza attiva. Lavoro già prestato per scopi non connessi strettamente con i bisogni essenziali della vita potrebbe essere rivolto a scopi più urgenti; il consumo potrebbe venir limitato distinguendo i consumi di lusso dagli imprescindibili. L'Impero, come unico proprietario di tutto il patrimonio nazionale, potrebbe giungere sino a concentrare tutto il lavoro esclusivamente alla produzione dei beni più necessari. Nessuna villa andrebbe più costruita; nessuna casa non d'abitazione; nessun pianoforte; nessun bastone da passeggio; nessun nuovo paio di scarpe sino a tanto che con il vecchio si può andare avanti.
Ma come l'Impero, se divenuto unico proprietario di tutto il patrimonio nazionale, non potrebbe fare prestiti di guerra, così, terminata la guerra, non potrebbe compensare le perdite, nulla rimanendogli a tal uopo. Anche a prescindere dalle perdite di capitale egli si troverebbe sempre in condizione peggiore che prima della guerra. Infatti le spese di guerra vengono a cessare solamente in parte. Per le vedove, gli orfani e gl'invalidi occorre provvedere ancora per una
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serie di anni, né va dimenticata la diminuzione della capacità di produzione in misura corrispondente al capitale perduto.
I prestiti di guerra hanno preso, di fatto, in gran parte, il posto delle perdite del patrimonio nazionale. Supponiamo che queste perdite ascendano a soli sessanta miliardi di marchi ( in realtà saranno molto superiori): la forza di produzione, dato un reddito medio del capitale del 5% sarebbe scemata di tre miliardi l'anno, pure ammettendo che la diminuzione della produzione, originata dalle perdite d'uomini, sia stata compensata dal migliore impiego delle braccia superstiti. Della eccedenza della produzione sul consumo, di otto miliardi l'anno prima della guerra, ferme restando le altre condizioni, non rimarrebbero quindi che cinque miliardi: 5 miliardi di valore nominale, ma appena tre miliardi e mezzo, tenendo conto della diminuita potenza d'acquisto del danaro. Di questa somma sarebbe difficile di assicurare al fisco un miliardo e mezzo, o, tutt'al più, due. Ma sono necessari più di otto miliardi! Non c'è calcolo roseo che giovi: i miliardi ancora necessari non si possono mettere insieme, né con risparmi, né con tasse, ma solo aumentando la produzione e diminuendo il consumo. In regime di economia libera ciò è possibile solo in misura limitata perché la concorrenza può, sì, aumentare la produzione, ma una riduzione del consumo è tanto meno attuabile quanto più intensa è la vita economica e quanto più gravose sono le tasse.
L'Impero dovrebbe, quindi, con tutti i mezzi in sua mano, imporre addirittura la restrizione maggiore possibile del consumo e il maggiore possibile aumento della produzione,
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che è quanto dire obbligarci a lavorar molto e mangiar poco. Per scopi di cultura e di ricreazione non resta nulla. I miliardi che oggi vengono spesi per fabbricare materiale bellico sono risparmiati ma si devono sborsare per pagar gl'interessi delle spese di guerra. Né sono possibili nuovi prestiti. Spendere si può soltanto il danaro guadagnato col lavoro produttivo, che corrisponde a nuove utilità create.
Al medesimo risultato si giunge se si parte non dall'Impero, come sintesi del patrimonio nazionale, ma dai singoli sottoscrittori dei prestiti di guerra. I quali non hanno sborsato soltanto danaro contante, non hanno dato soltanto tutti i risparmi fatti in guerra. Poiché l'economia di guerra è, in massima parte, improduttiva, e il consumo è di molto cresciuto, non si può, in fondo, risparmiar nulla. Migliaia sono divenuti più ricchi, hanno potuto metter da parte più che per l'innanzi, ma milioni sono divenuti più poveri e non solo non hanno potuto risparmiar nulla, ma hanno perduto, in tutto o in parte, il loro capitale. Se molti hanno guadagnato di più che in pace, a cominciar dagli operai, meglio occupati e meglio pagati, non si deve dimenticare, tuttavia, che molte perdite sono assolute, mentre i sopraprofitti non sono, in genere, che relativi, spostamenti di ricchezza da una tasca ad un'altra. E neppure va dimenticato il cresciuto consumo. Gli operai lautamente rinumerati non si contentarono di appagare più largamente i loro bisogni urgenti, ma cedettero alla tentazione di spese inutili per mobilia, ornamenti e simili. E chi consegui guadagni anche più vistosi fece, in maggiori proporzioni, il medesimo. Insomma molti, che avrebbero potuto risparmiare,
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non risparmiarono, e quelli che risparmiarono non investirono sempre tutti i loro risparmi in prestiti di guerra. Il fatto che tuttavia vennero sottoscritti nei prestiti più miliardi di quanti, in media, se ne risparmiavano in pace si spiega riflettendo che la maggior parte del danaro fu preso dai risparmi di anni passati, ossia dal capitale. Chi possedeva azioni industriali le vendette o le diede in pegno per comprare prestito di guerra. Milioni di piccoli risparmiatori convertirono il loro capitale, depositato nelle casse di risparmio, in prestito di guerra. Così una gran parte del patrimonio nazionale mobile e dell'immobile è stato trasformato in cambiali sul futuro.
Sino a tanto che il credito dell'Impero rimane solido e quindi il prestito di guerra è considerato un valore reale può questo prestito stesso, precisamente come il valore originario di cui ha preso il posto, venire, a sua volta, dato in pegno e fornire i mezzi per nuove sottoscrizioni. Siccome il danaro rimane quasi tutto nel paese, e i titoli di credito sostituirono largamente la moneta, è possibile all'Impero di far pagar sempre le sue spese ai sudditi. Chi ha investito tutto il suo patrimonio di centomila marchi in prestito di guerra si procura con esso ottantamila marchi e sottoscrive il prestito successivo. Questa operazione egli può ripeterla all'indefinito e divenir così quasi milionario senza che il suo patrimonio iniziale di centomila marchi sia punto cresciuto. Dato ciò, potrebbe accadere che, finita la guerra, il patrimonio nazionale si riveli gravato da un'ipoteca superante di molto il suo valore realizzabile, sicché se l'Impero non può riscuotere tante tasse che bastino a pagare gl'interessi di questa ipoteca, il suo valore dovrà, naturalmente, diminuire in proporzione.
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L'ammontare del prestito di guerra non dà, dunque, la misura della capacità di produzione economica del popolo, ma solo del credito che l'Impero gode. Ma se, per virtù di questo credito, l'Impero può procurarsi quanto gli occorre per la guerra e tirare avanti sino a buona fine, per poca base che abbia nel patrimonio nazionale, esso si dimostra tuttavia un valore autonomo, che, secondo le circostanze, può costituire la partita attiva più importante del patrimonio nazionale. Né v'è considerazione teorica che possa influire sulla misura in cui a un credito simile sia lecito ricorrere. Si tenga presente ciò nella ricerca del modo in cui trarci d'impaccio durante il più difficile periodo dopo la guerra.
Non durerà ancora molto che noi avremo raggiunto il limite messo alla nostra capacità di pagamento degli interessi dei prestiti pur tendendo sino all'estremo, dopo la guerra, tutte le nostre energie. È questo anche il motivo per cui da varie parti si ritiene assolutamente necessaria un'indennità di guerra. Ma ogni giorno di più che la guerra dura peggiora la situazione dei due gruppi avversari; diminuisce la probabilità che il vincitore possa ottenere dal vinto un'indennità. Ogni prolungamento della guerra non indebolisce sempre più soltanto chi, all'ultimo, rimarrà al disotto, ma aumenta insieme pure le perdite del vincitore, tanto che pure l'indennità più grande ancora possibile, non costituirebbe per lui un compenso. Anche se noi vinceremo, non è probabile che riceveremo vantaggi economici tali da diminuire notevolmente la miseria a cui andiamo incontro. Qual vita sarebbe la nostra se, nonostante il tributo del nemico
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sconfitto, si dovesse persistere nell'odierno produzione e consumo regolati dallo Stato, tutti condannati, come schiavi, al lavoro, nel paese trasformato come in un solo enorme opificio! E quale se noi non ricevessimo alcuna indennità e fossimo costretti a firmare una pace, che, forse, non sarebbe se non una tregua d'armi durante la quale dovremmo seguitare ad armarci!
Gli altri Stati belligeranti d'Europa, eccettuata, forse, l'Inghilterra, si trovano tutti in condizioni peggiori. Se essi non potranno, con le proprie risorse, sopportare gli oneri di guerra sinora contratti, dove potranno attingere i mezzi necessari per pagare un'indennità? Credere di poter costringere gli Stati Uniti e il Giappone a sborsare essi soli l'indennità in parola è, a dir paco, ardito. Ma pure ammesso che gli Stati Uniti e il Giappone accordino prestiti agli Stati europei sconfitti, affinché possano pagarci un'indennità, rimane sempre a rispondere alla domanda in che modo potranno essere pagati i frutti di questi prestiti.
Tutti i popoli d'Europa hanno, dunque, il massimo interesse a concludere una pace non precaria, che, permetta loro di sistemare finanziariamente gli oneri di guerra così da non esser costretti a gemere per decenni sotto il loro peso, ma da potersi, anzi, ben presto risollevare.
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II.
Proposta di una Unione economica degli Stati europei.
Quanto abbiamo esposto sul valore autonomo del credito per la Germania si può estendere a tutta l'Europa. Gli Stati europei possono stringersi in una Unione economica (senza alcuna diminuzione dei loro diritti sovrani) e costituire così un ente maggiore, che deve creare il valore rappresentato durante la guerra dal credito dei singoli Stati per i loro sudditi.
Ma sarà opportuno, per agevolare l'intelligenza dell'idea, di per sé semplicissima, a prima vista, però, complicata, darne, anzitutto, un breve cenno e scendere poi ai particolari.
Gli Stati concludenti la pace fondano una Banca internazionale con sede a l'Aja o a Berna. Capitale di fondazione 20 milioni di marchi: tanto che basti all'acquisto dell'edificio di residenza con un margine i cui frutti siano sufficienti a sopperire alle spese di esercizio. Si potrebbe anche fissare un capitale di cento milioni di marchi per azioni da versarsi nella misura del 25%. Ogni Stato dovrebbe prenderne una parte proporzionata, a un dipresso, alla sua popolazione o al suo debito di guerra, che l'Unione si addossa. Il consiglio d'amministrazione si compone di rappresentanti degli Stati interessati.
La banca internazionale deve essere per l'Unione degli Stati, l'unione puramente economica, non politica – ciò che per ogni Stato la banca centrale di emissione. Essa ha il
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diritto di emettere biglietti di banca internazionali e servire di stanza di compensazione generale per il movimento economico degli Stati fra loro. Ogni Stato ha da essa il suo proprio conto, accanto al quale sorgeranno i conti delle diverse banche di Stato (nazionali). Pure a banche private essa potrà aprire conti.
Per stabilire sino a che misura ogni Stato possa ricorrere al credito della Banca internazionale, dietro cui è la garanzia di tutti gli Stati che compongono l'Unione, viene accertato di quanto il suo onere annuale sia cresciuto per le spese della guerra in confronto del 1913. Ciò che va considerato onere di guerra si stabilisce per tutti allo stesso modo e viene capitalizzato al 5 %, ossia in una misura venti volte superiore del debito di guerra col quale ogni Stato partecipa all'Unione e questa risponde per ciascuno. La Banca internazionale paga annualmente su esso il 5 % di frutti, accreditando di tanto il conto di ogni Stato, mentre il conto dell'Unione ne viene gravato. Tutti e due i conti sono geriti senza utile.
Ogni Stato si deve obbligare ad ammortizzare in 35 anni il debito di guerra, del quale sono pagati per lui gl'interessi, in modo da impiegare per l'ammortizzamento, nei primi dieci anni, il 1/2 % di danaro proprio; nei dieci anni successivi l'1 %; nel terzo periodo di dieci anni il 2 %; negli ultimi cinque anni il 3 %, computando sempre gl'interessi risparmiati.
Solo se prova di aver adempiuto questo dovere gli vengono accreditati gl'interessi del 5%.
Di questo accreditamento egli può disporre come di
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ogni deposito presso una banca.
In quanto è debitore del proprio popolo, come, ad esempio, per i prestiti di guerra o per altri prestiti pubblici, egli fa accreditare la sua banca centrale. Questa paga gl'interessi dei debiti di Stato, sia con trascrizioni nei suoi conti di giro, sia con biglietti che emette nella misura del bisogno, sulla base del suo avere presso la Banca internazionale, che per la garanzia di tutte le potenze è messo alla pari dell'oro.
In quanto è debitore di altri Stati, lo Stato paga facendo passare il danaro dal suo conto presso la Banca internazionale al conto che lo Stato creditore ha presso la medesima, o, se gli tocca a saldare in contanti, facendosi dare biglietti della Banca internazionale. Questa carta monetata è emessa con la garanzia di tutti gli Stati componenti l'Unione, è alla pari dell'oro, ha quindi un preciso tasso di riduzione per le varie valute e corso forzoso negli Stati dell'Unione.
Trascorsi 35 anni, ossia dopo che tutti i debiti di guerra degli Stati sono ammortizzati, il debito dell'Unione, nato dal suo annuale aggravio per l'accreditamento degli interessi ai singoli Stati, viene ammortizzata in un nuovo periodo di 35 anni: le somme sinora impiegate per l'ammortizzamento dei debiti di guerra sono pagate dagli Stati, in misura a poco a poco crescente, per estinguere il loro debito comune.
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III.
La proposta in particolare.
La Banca internazionale non ha, a prescindere dal suo modesto capitale di azioni, alcun patrimonio. Ma essa non ne ha bisogno perché, in fondo, altro non è che una stanza di compensazione. Il patrimonio con il quale vengono pagati gl'interessi dei debiti di guerra, del modo indicato, sino al loro ammortizzamento, è il credito degli Stati che hanno stretto l'Unione. Dietro questo credito è tutto il patrimonio nazionale di tutti gli Stati e il patrimonio privato dei loro sudditi, capitale e forza di lavoro, nella misura che si può gravare da tassa.
Un tal credito è il vero patrimonio che crea utilità, senza il quale tutto l'oro e tutto il danaro non avrebbero valore. È il patrimonio che rimane sempre, che con l'aumento della popolazione e il suo progredire nella civiltà, nella scienza e nella tecnica cresce di continuo. L'oro, come mezzo di pagamento, non è che un valore convenzionale, stabilito dalle leggi. Senza le leggi il suo valore di metallo non dipenderebbe soltanto dalla quantità e dalle spese della sua estrazione, ma anche da varie altre circostanze. Se trovato in quantità illimitata o se si riuscisse a produrlo chimicamente, cosa che, prima o poi, può avverarsi, il suo ufficio odierno tra i beni economici sarebbe finito.
Uno dei principali motivi per il mantenimento di questo suo ufficio è l'anarchia sin qui regnante fra gli Stati. I popoli sono, sì, fra loro in rapporti economici, ma politicamente vivono separati uno dall'altro, sotto il pericolo permanente di venir indeboliti da una guerra o di essere spogliati dell'indipendenza. Se questo pericolo
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non esistesse, se i popoli fossero insieme uniti in guisa che la loro produzione economica non potesse venir turbata da nessun pericolo, di guerra, essi non avrebbero bisogno dell'oro per strumento di cambio e denominatore del valore. Ogni Stato godrebbe di tanto credito, da prendere a base del suo danaro, quanto sarebbe corrispondente alla sua capacità di produzione economica. La sua moneta cartacea non avrebbe bisogno di alcun fondo metallico a garanzia, ma avrebbe il medesimo valore della cambiale di un commerciante solvibile, anzi maggiore, giacché dietro la firma sulla carta sarebbe l'intero popolo, con tutto il suo patrimonio, che non potrebbe far fallimento, come anche il miglior commerciante per una sfortunata speculazione, se il bilancio dello Stato mantenga l'equilibrio fra le entrate e le spese. Senza il pericolo di una guerra la carta monetata messa in circolazione nei limiti della capacità di rendimento di uno Stato, avrebbe pieno valore anche negli altri Stati, sicché potrebbesi fare a meno pure dell'oro come di mezzo di pagamento negli scambi internazionali.
Anzi, se, come nella proposta che veniamo esponendo, il credito di tutti i popoli unitisi a questo scopo venisse preso a garanzia dei debiti dei singoli Stati, i creditori d'ogni Stato avrebbero una maggiore sicurezza di quella che le potrebbe offrire la più gran riserva d'oro della banca centrale d'uno Stato nelle condizioni odierne. Un prestito può essere coperto a meraviglia alla sua emissione: una guerra sfortunata può rendere vana la sottoscrizione più splendida. Se già adesso, durante una guerra così devastatrice come la presente e che nessuno può prevedere come andrà a finire, miliardi e miliardi sono stati in-
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vestiti in prestiti di guerra unicamente sulla fiducia del singolo Stato, è chiaro che il credito dell'Unione di tutti gli Stati abbia meno che mai bisogno di un fondamento d'oro, senza dire che una così grande quantità d'oro non esiste.
Questo credito sarebbe più solido di quello dei singoli Stati per le ragioni seguenti:
1. Perché destinato a compiti di pace, a edificare, non a distruggere;
2. a spese di anno in anno diminuenti e non, come in guerra, crescenti.
3. Perché con ogni quota di ammortizzamento pagata sui prestiti di guerra; con ogni nuovo anno di pacifica produzione il patrimonio dell'Unione s'impingua. All'opposto di quanto avviene in guerra, durante la quale ogni anno esige sempre più dal credito dello Stato, ogni anno porta al credito un nuovo contributo. Ogni anno di guerra intacca il capitale e restringe la possibilità di fare nuovi risparmi: ogni anno di pace sicura aumenta il capitale e i risparmi in misura progressiva. Secondo il Helfferich, negli anni fra il 1905 e il 1913, l'entrata annuale del popolo tedesco da 22 – 23 miliardi è cresciuta a 40 miliardi l'anno; il patrimonio nazionale da 200 a oltre 300 miliardi in cifra tonda.
4. Perché la poca sicurezza del credito di guerra, per il fatto che la durata e l'esito di essa sono incerti, non pesa sul credito di pace. Perfino una pace conclusa a buone condizioni non può, in certi casi, recare alcun compenso per le perdite patite;
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ma la possibilità che, nonostante tutte le precauzioni, una guerra scoppi di nuovo, più tardi, non distrugge il prodotto degli anni di pace. I valori dal credito realmente creati non vanno perduti per la ragione che con lo scoppio di una nuova guerra e per la sua durata viene sottratta al credito la base.
5. Perché né la durata di una guerra, né il suo fabbisogno si possono stabilire di prima. Ma dopo la guerra mondiale, attuandosi una lega di tutte le Potenze, è possibile instaurare una pace che duri alcuni decenni e stabilire la misura del credito da esigersi per questo tempo.
6. Perché un credito che si fondi sopra un unico Stato non può essere sicuro quanto un credito dietro il quale sia l'Europa intera, la garanzia solidale di tutte le Potenze. Se il patrimonio delle nazioni, nel suo complesso, cresce, poco monta che uno Stato divenga debitore di un altro. Si avvera semplicemente lo stesso passaggio da una mano all'altra che ha luogo nella cerchia in un popolo, da persona a persona. Per il credito accordato a un singolo Stato importa unicamente la sua situazione finanziaria. Se è indebitato, i suoi creditori non hanno alcun utile che altri Stati siano di tanto più ricchi.
Perciò anche il credito d'Europa, così assicurato, può venir mobilitato: basta che l'Unione emetta, per il tramite della Banca internazionale, obbligazioni simili a biglietti di banca (buoni del tesoro europei), da riscattarsi
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trascorso un determinato periodo di tempo. Ogni Stato può riscuotere, in tali buoni dal suo avere presso la Banca internazionale quanto gli occorre per pagamenti in contanti all'estero. E siccome non è opportuno d'impiegarli come mezzo di pagamento nel traffico quotidiano, che non ha bisogno di una cosi gran quantità di nuovi mezzi di scambio, i buoni in parola saranno approntati in piccoli tagli solo in quantità ristretta, e del rimanente in tagli più grandi, o, pure come sarà dimostrato ancora a parte, non approntati nient'affatto. Il credito viene trattato, in certa guisa, come barre d'oro che solo in piccola misura vengono ridotte a moneta.
Per chiarire in particolare il procedimento sarà bene descrivere come ciò possa avvenire in un singolo Stato.
Ammettiamo che lo spazio di tempo in cui i debiti di guerra debbono essere pagati sia fissato di 35 anni. Naturalmente le quote di rimborso possono venire aumentate secondo le possibilità economiche e diminuita quindi la durata dell'ammortizzamento.
Ogni Stato è lasciato libero di determinare la misura della sua partecipazione nei limiti del credito accordatogli. La sua partecipazione dipende, infatti, dalla misura in cui egli ogni anno, con i propri mezzi, vuole e può ammortizzare i suoi debiti di guerra.
Supponiamo che la Germania s'impegni per cento miliardi, ottenga, quindi, un credito annuo presso la Banca internazionale di cinque miliardi.
Secondo il piano di ammortizzamento stabilita, essa
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deve, nel primo decennio, mettere insieme ogni anno, coi suoi valori e con le sue tasse, il 0,5 % ossia cinquecento milioni; nel decennio successivo l'1 %, ossia mille milioni, e via di seguito.
Siccome ogni Stato deve avere il diritto di riscuotere il suo avere in note o buoni internazionali, va esaminato il caso, teoreticamente possibile, che la Germania si valga interamente di questo diritto.
La Banca internazionale scrive, anzitutto, a credito, nel conto della Germania, cinque miliardi di marchi, addebitando il conto dell'Unione, La Germania riscuote cinque miliardi di marchi in note; la partita dell'avere nel suo conto è cosi estinta, essa figura ora come debitrice in un conto-note per i buoni ricevuti e da restituirsi, alla più lunga, in capo a 35 anni.
La Germania consegna i buoni alla Banca dell'Impero, che glieli scrive a credito, le tiene, cioè, a disposizione una somma della quale può servirsi per fare pagamenti. La Banca dell'Impero riceve il diritto di emettere sui buoni internazionali depositati note secondo l'occorrenza. Essa avrà bisogno di far ciò solo nella misura limitata corrispondenti alle esigenze del traffico e che sarà tanta minore, quanto più si svilupperà il sistema dei pagamenti senza danaro contante. Così, da una parte, si esclude una pletora di mezzi di pagamento, dall'altra la quantità di questi mezzi può venire con facilità adattata ai bisogni che crescono con l'aumentare della popolazione e dello sviluppo economico.
La Banca dell'Impero paga, dunque, gl'interessi dei
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prestiti di guerra, a carico del conto dell'Impero, principalmente per via di volture sui conti di giro dei suoi clienti, e solo in minima parte in note, giovandosi delle sue antiche o emettendone nuove. Se avvengono forti prelevamenti in danaro contante essi sono richiesti da una parte dalla produzione, dall'altra dal consumo, perché i fornitori di lavoro pagano salari più alti e i consumatori devono fare maggiori spese. Molti dei piccoli risparmiatori che hanno sottoscritto il prestito di guerra ritireranno i loro interessi in danaro, perché ne hanno bisogno per vivere; i più agiati li lasceranno scrivere ad aumento di capitale. Le cose non si svolgeranno diversamente da adesso, né diversamente che se il conto dell'Impero, invece che con buoni internazionali, venisse costituito col gettito delle imposte. L'Impero non ha ricevuto il prestito di guerra nemmeno lui tutto in danaro contante e note ma, in massima parte, solo con iscrizioni a suo favore: nel pagamento degl'interessi e nell'ammortizzamento dei prestiti si seguirà, in senso opposto, la medesima via. Non sarebbe lo stesso se l'Impero ricevesse annualmente cinque miliardi dai suoi contribuenti? Sarebbero forse necessari, in tal caso, ogni anno, cinque miliardi di nuovo danaro contante? Chi ha un conto presso la banca paga le sue tasso facendone accreditare l'Impero; chi non l'ha le paga in contanti, sicché i cinque miliardi si accumulerebbero sui conti e nelle casse dell'Impero e rifluirebbero, sotto forma d'interessi, per la medesima via, al popolo.
Poiché, però, l'Impero non ha da pagare soltanto questi interessi, ma altresì le quote di ammortizzamento e le spese di assistenza delle vedove, degli orfani e di quanti
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altri hanno diritto a sussidio, inoltre le indennità per i danni di guèrra e parecchie altre spese con la guerra connesse; e siccome pure il bilancio degli Stati dell'Unione e dei Comuni si accresce, e devono aumentare, aumentando il lavoro produttivo, i bisogni dell'industria, del commercio e della circolazione, e, – infine, non è senza importanza pure la diminuzione di valore del danaro, anche più mezzi di pagamento non noceranno. Aggiungasi che, specie nel primo tempo dopo la guerra, noi avremo bisogno di un'intensificata importazione e però senza l'Unione saremmo costretti ad esportare oro ovvero a lasciar scendere anche più in basso la nostra valuta. Con ciò la garanzia metallica delle nostre note scemerebbe e crescerebbe, invece, la semplice carta monetata.
Attuandosi l'Unione non avverrebbe così. I buoni aventi il medesimo valore in tutti gli Stati risollevano la valuta e la rendono stabile; un'esportazione di oro non è più necessaria e all'aumento dei mezzi di pagamento, richiesto dall'intensificata circolazione economica, può provvedersi in piena corrispondenza al bisogno.
Grande è pero la differenza fra quanto accadrebbe se al bisogno dell'Impero si sopperisse con imposte e quanto accadrebbe se con mezzi ottenuti dal di fuori. Questa condizione di cose può a prima vista, apparire inquietante, ma in realtà è desiderabile e benefica.
Noi abbiamo visto che una inondazione del mercato con mezzi di pagamento, e quindi una svalutazione del danaro, non è da temersi. Giacché nella forma e nella quantità dei mezzi di paga-
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mento non si muta proprio nulla in paragone di adesso, o, tutt'al più, a vantaggio della maggiore elasticità della Banca dell'Impero nell'adattamento al reale bisogno.
Ma, si domanderà, se l'Impero riceve dal di fuori sempre nuovo danaro, non sorge il pericolo che non trovi sufficienti possibilità d'investimento e quindi diminuisca di valore in conseguenza della calante ragione dell'interesse?
Questo timore sarebbe giustificato, in condizioni normali, se si trattasse di ricostituire valori distrutti, se ad un'azienda comune piovessero all'improvviso, ricchezze di molto superiori alla sua possibilità di sviluppo. Ma noi non rassomigliamo a un proprietario che ha una casa libera d'ogni ipoteca e riceve danaro per la costruzione d'un'altra casa, della quale non sa che farsi, si, invece, ad un proprietario la cui casa è andata a fuoco e che non ha danaro per riedificarla.
L'Unione rassomiglia alla banca ipotecaria, che ci anticipa a rate il danaro necessario alla costruzione sino a che la casa sia finita e il valore così creato garantisca largamente l'ipoteca. Si confrontino le condizioni di vita dopo la guerra quali sarebbero senza e con il concorso dal di fuori.
1. Senza. Riuscire a mettere insieme con le tasse otto miliardi in più all'anno, tenendo presenti i fatti esposti, non è possibile se non attuando notevoli confische di beni e un completo (é cioè tecnicamente inattuabile) assoggettamento ad imposta di tutti
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i risparmi privati. Quanto meno risparmi si lasciassero ai singoli, tanto più scemerebbe la produzione e crescerebbe il consumo. Se la produzione e il consumo non venissero regolati con legge, a poco a poco, date le tasse gravissime, la disoccupazione e l'indigenza sorgerebbero a regolatori, che da una parte stimolerebbero la produzione con bassi talari, dall'altra restringerebbero il consumo. Ma quanto più povero divenuta il popolo, quanto a stento deve vivere, tanto più di mala voglia lavora oltre lo stretto bisogno, perchè non ha ragione di risparmiare, tanto minore sarà, naturalmente, il gettito delle imposte, giacché la forza risparmiatrice e di contribuenza risiede soprattutto nella gran massa del popolo, non nei pochi ricchi. Si sopprima questa fonte di forza e l'Impero non potrà più far fronte alle sue obbligazioni, dovrà lasciare che il valore del suo danaro scemi, emettere moneta cartacea e svalutare i prestiti.
2. Con il concorso dal di fuori. In tempi normali un paese che non può sopperire al suo bisogno di danaro ricorrendo al mercato interno, fa un prestito all'estero. Nel nostro caso esso prende a prestito dall'Unione di tutti gli Stati con il grande vantaggio che questo prestito è infruttifero. La Germania provvede così solo ad una parte del suo maggiore bisogno, tanto da dover stringere ancora il torchio fiscale solo nella misura che tutte le classi del popolo siano costrette a produrre e consumare il più economicamente possibile, ma tanto pure che non sia necessario smungere il popolo sino all'ultima goccia, ren-
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dergli possibile di fare risparmi, sostituire nuovo capitale e fecondare così tutta la vita economica. Col rialzo e il consolidamento della valuta il commercio coll'estero viene agevolato ed aumentato il valore del danaro all'interno. Il rincaro della vita, originato, dalla guerra, diminuisce gradualmente; la forza risparmiatrice e di contribuzione del popolo aumenta. Il passaggio dal regime della produzione e del consumo regolato dallo Stato, necessario ancora per un certo tempo, al regime di libertà, viene affrettato, e invece di un impoverimento dell'intero popolo per decenni si forma, a poco a poco, nella gran massa una crescente agiatezza. È molto, differente, infatti, se i nuovi valori, che affluiscono alla vita economica, vanno in mano soltanto di capitalisti privati, oppure, come nel caso nostro, dell'Impero, nella sua totalità, come debitore dell'intero popolo, giù giù sino ai milioni di piccoli risparmiatori, che gli hanno prestato il loro gruzzoletto.
Se in tempi normali cinque miliardi di nuovi valori non affluissero ogni anno nelle casse dell'Impero, ma nelle tasche di capitalisti privati, si avrebbe in Germania lo stesso contrasto fra plutocrazia e miseria nera che si osserva negli Stati Uniti. Di ciò abbiamo già avuto un piccolo saggio. Ad ogni persona divenuta, con le forniture di guerra, più ricca di milioni, fanno riscontro centinaia di migliaia che sono divenute più povere. Con l'accumulazione di capitale in poche mani si agevola e si promuove la formazione di monopoli privati, une hanno per conseguenza lo sfruttamento
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sino all'estremo dei soggetti.
Se l'Impero ottiene tanto che gli permetta di esigere molto meno tasse viene ad essere più libero nella sua politica fiscale. Egli non è costretto a prendere quanto può e, naturalmente, soprattutto dalla massa del popolo (perché solo così si possono radunare grandi somme) senza badare all'equità delle imposte e ai loro effetti economici, ma può sgravare di questa somma la maggioranza dei cittadini senza dover aggravare di più i ricchi e gli agiati. Inoltre se non ha bisogno di togliere anche a costoro ogni eccedenza, egli può provvedere ad una migliore distribuzione della ricchezza, opporsi all'eccessiva tesaurizzazione in singole mani, restringere la formazione di monopoli privati e dare incremento all'assistenza sociale dei poveri.
Insomma, invece di decadenza del popolo, una rapida guarigione dalle ferite della guerra e ascensione economica e civile.
Sicuro, cinque miliardi all'anno appaiono, a prima vista, un'entrata enorme e potrebbe riuscire dannosa ad un popolo sazio. Sennonché noi patiamo la fame, siamo divenuti poveri e dobbiamo menare una vita da schiavi, tanto per strapparla. Se si tiene conto dell'odierno valore del danaro, delle condizioni presenti e della necessità di ricostituire tanti beni andati in malora, che cosa sono cinque miliardi di marchi per una popolazione di quasi settanta milioni e che dopo la guerra si moltiplicherà, forse, rapidamente? Sono non più di settanta marchi a testa, o, considerando l'ultima entrata di pace del popolo tedesco, (quaranta miliardi), il 4,5 % di
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questa entrata, meno, cioè, di quanto sia scemato il valore del danaro. E questi settanta marchi i più non li ricevono già, di regola, come aggiunta ad un'entrata sufficiente, di guisa che non sappiano che a farne, ma non vengono sottratti loro, sotto forma di tassa, da un'entrata già di per sé esigua. Essi possono mangiar meglio, vestirsi meglio, ecc.
Che si calcoli come si vuole, un tale alleggerimento delle imposte non solo non costituisce nessun pericolo per la vita economica ma è assolutamente necessario nelle gravi condizioni odierne. Viene fatto, anzi, di chiedersi se un credito di cinque miliardi di marchi, dato l'onere tributario già notevolmente cresciuto, in confronto degli ultimi anni di pace, e che dovrà crescere ancora, sarà sufficiente, o se non sarà necessario, almeno nei primi anni, ricorrere in maggior misura, al credito dell'Unione.
Se non si trattasse di un alleviamento dell'onere fiscale, ma di un aumento di capitale, che crescesse di anno in anno, il credito sarebbe inutile e pericoloso. Ma le cose non stanno appunto così, giacché altrimenti sarebbe anche pericoloso ricevere una forte indennità di guerra. Se fosse possibile di ottenere un'indennità di guerra di cento miliardi di marchi,, probabilmente quasi nessuno di quanti ritengono economicamente pericolosa la mia proposta si manifesterebbe contrario. Se i cento miliardi potessero venir pagati tutti in una volta e investiti in modo (per esempio con prestiti all'estero) che l'Impero ne ricevesse gl'interessi alla ragione del 5 %, ossia cinque miliardi
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all'anno, si avrebbe il caso 'identico a quello della mia proposta. L'Impero pagherebbe con questa entrata le sue spese di guerra e potrebbe, quindi, esigere tanto meno tasse.
L'alleviamento dell'onere tributario, che qui si propone, offre perfino un notevole vantaggio in confronto a quello che si otterrebbe mediante un'indennità di guerra. Anche se i nostri nemici potessero pagare un'indennità e garantircela con pegni sufficienti, il generale impoverimento dei paesi all'intorno della Germania si ripercuoterebbe sulla vita economica di questa così da far pensare all'uomo che nel deserto trova perle mentre ha bisogno di pane.
Se, invece, l'Unione agevola loro il pagamento degl'interessi e l'ammortizzamento dei debiti, se essi possono, quindi, rimettersi più presto e rifiorire economicamente, ciò ridonderà pure a vantaggio della Germania, sia per l'esportazione dell'eccesso della sua produzione, sia per l'importazione delle merci necessarie al consumo e non esistenti all'interno in bastevole quantità.
Si potrebbe, è vero, obiettare che ricevendo un'indennità di guerra si verrebbero a ricevere valori reali, non così ricevendo i buoni della Banca internazionale. Ma l'obiezione non regge. Ammesso che vi sia tant'oro che noi possiamo ricevere, annualmente, in oro, cinque miliardi, sino a tanto che la nostra bilancia commerciale rimarrà passiva, noi dovremo restituire quest'oro all'estero nella misura necessaria ad ottenere l'equilibrio. Inoltre va considerato che se viene esportato da un paese in un altro molto danaro contante, i prezzi delle merci nel paese d'importazione crescono, la loro esportazione viene intralciata e un saldo a favore può trasformarsi in un
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saldo a debito. Nel paese in cui viene importato oro il valore del danaro scema; nel paese d'esportazione aumenta, sicché danaro straniero viene di nuovo attirato. Inoltre in una bilancia commerciale non ha peso soltanto lo scambio delle merci. Le stesse merci compaiono di regola nella statistica dell'importazione per un valore superiore che nella statistica dell'esportazione. A prescindere da particolari eccezioni, il valore dell'esportazione è il valore interno; quello delle merci introdotte comprende il loro prezzo all'estero, più le spese di commercio e di trasporto sino all'interno. Né vanno dimenticate le tasse e i dazi. Ma oltre che merci si trafficano pure titoli, cosicché all'estero sorgono crediti da interessi, dividendi e guadagni sul corso dei titoli, di cui va pure tenuto conto nella bilancia commerciale. Infine anche il sistema della liquidazione delle partite nelle stanze di compensazione riduce i pagamenti a contanti. Gli è per questo che un paese ricco, come, per esempio, soleva accadere in Inghilterra, può avere un'importazione di merci maggior dell'esportazione e tuttavia non aver bisogno d'inviare all'estero danaro contante, giacché nelle merci che introduce di più che non esporti riceve il valore corrispettivo negl'interessi per il capitale investito all'estero. Esso può, all'interno, consumare di più che non produca perchè il suo patrimonio all'estero colma la lacuna.
Anche la Germania, proprio nel caso che ricevesse un'indennità di guerra e la investisse in parte all'estero, potrebbe quindi, nonostante un'eccedenza dell'importazione sull'esportazione non avere una bilancia commerciale passiva, non essere costretta ad esportare oro all'estero. La Germania riceverebbe, quindi, le rate dei cinque miliar-
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di d'indennità o gl'interessi, che non hanno nulla che vedere con il pareggio della bilancia commerciale, via via sempre in oro (dato che ciò fosse possibile) e quest'oro si accumulerebbe nella Banca dell'Impero, né più, né meno che i buoni del tesoro europeo. Come a mezzo di pagamento non ci si ricorrerebbe né per l'estero, né all'interno. Sarebbe il medesimo se presso la Banca dell'Impero giacesse una corrispondente quantità di carta, anzi ciò sarebbe, per alcuni rispetti, preferibile, giacché l'oro si può adoperare a fabbricare ornamenti, utensili.
Ma è vero che sulla terra non esiste tant'oro quanto si richiederebbe per questi pagamenti. Essi dovrebbero farsi quindi, messa in equilibrio la bilancia commerciale, anche per mezzo di scritture a credito, carte-valori, cambiali od altri titoli fiduciari. Quanto più la Germania diverrebbe così ricca rispetto ai suoi paesi limitrofi e quanto più favorevole diverrebbe la sua bilancia commerciale, tanta più carta riceverebbe invece di monete sonante. Carta soggetta alle oscillazioni della valuta e fondata solo sul credito dei singoli Stati riposante su basi assai fragili nei paesi indeboliti dalla guerra e dalle indennità e che non s'incamminerebbero già verso la prosperità economica ma verso il completo impoverimento, permanendo, anzi aggravandosi il pericolo di un conflitto armato. Invece i buoni del tesoro europei accorderebbero tutt'altra sicurezza, come quelli che godrebbero della malleveria di tutte le Potenze, anche delle più ricche per le meno ricche, sicché sarebbe agevolato quel risanamento economico senza il quale non possono crearsi i valori che costituiscono la base di ogni credito e di ogni possibilità di produzione.
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Se la Germania ricevesse un'indennità di guerra, il saldo del suo bilancio dovrebbe essere assai grande, se non potesse ottenerlo pagando con i titoli di credito ricevuti dall'estero come parte dell'indennità di guerra. Per pagare il rimanente essa dovrebbe procurarsi lettere di cambio sull'estero, oppure, se il corso di queste fosse inferiore a quello dell'oro, in oro. Disponendosi dei buoni europei si pagherebbe con questi come se fossero oro e si risparmierebbero le spese di trasporto della moneta metallica e le perdite derivanti dall'oscillazione della valuta.
Attuata che fosse l'Unione economica, pure il sistema della compensazione delle partite internazionali si svilupperebbe ancora a più buon mercato: il sistema dei pagamenti senza contanti fra i diversi Stati diverrebbe una consuetudine come è già fra i sudditi facoltosi dei singoli Stati. La stanza di compensazione sarebbe la Banca internazionale, l'organo amministrativo, l'Unione economica. Il movimento dei mezzi di pagamento, con tutte le sue complicazioni, le spese e le perdite, verrebbe ridotto al minimo necessario al piccolo traffico internazionale.
IV.
Effetto pratico della sistemazione delle spese della guerra che si suggerisce.
Le note o buoni del tesoro internazionali vengono depositati nella Banca dell'Impero da cui si possono ritirare secondo il bisogno. Il loro ammontare apparisce sulla colonna dell'attivo e del passivo del bilancio della Banca. Qualora, per pagamenti all'estero, si domandino buoni del tesoro internazionali, la Banca li vende per conto
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dell'Impero. Allo spirare del termine stabilito per l'ammortizzamento dei debiti di guerra, l'Impero ha, dunque, o tutti i buoni del tesoro depositati o la quantità non ritirata, per intero o in parte in un credito presso la Banca originato dalle vendite di buoni del tesoro effettuate da essa e che è garantito dai valori consegnati dai compratori. Il credito dell'impero viene diminuito, inoltre, di una somma corrispondente all'ammontare delle note emesse dalla Banca dell'Impero per sopprimere all'insufficienza dei mezzi di circolazione contro buoni del tesoro depositati, ma in confronto dell'ammontare totale dei buoni si tratterà di ben poco, di tanto meno quanto più, col tempo, si svilupperà il sistema dei pagamenti senza contanti.
Anche, dunque, se l'Impero avesse ricevuto annualmente, per 35 anni, cinque miliardi in buoni del tesoro, la maggior parte di essi giacerebbe in deposito presso la Banca in discorso. Una parte, che sarebbe emigrata all'estero per aggiustamento di partite o per esservi investita, sarebbe costituita da un credito garantito presso la Banca; del rimanente l'Impero sarebbe debitore al traffico per le note emesse contro i buoni del tesoro. Ma o il traffico ha ancora bisogno di queste note, o l'Impero deve riscattarle con oro e così liberare la porzione corrispondente di buoni del tesoro. Intanto, però, pure la riserva d'oro ha continuato a crescere. Spirato il termine per l'ammortizzamento, l'Impero dovrebbe restituire all'Unione tutti i buoni. Per quelli emigrati all'estero esso ha ricevuto compenso, può, quindi, riaverli.
Ma l'Impero non può ritirare senz'altro, i buoni che si trovano in deposito presso la Banca dell'Impero e con-
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segnarli all'Unione, giacché la Banca ha anticipato sul deposito gl'interessi annuali per l'Impero, che è indebitato sino alla concorrenza del credito sopraccennato, sorto dalla vendita di buoni del tesoro. L'Impero deve, dunque riscattare i buoni sia colle imposte sinora impiegate per l'ammortizzamento dei prestiti e che adesso può di nuovo disporre, sia col danaro che, a poco a poco, non deve più spendere per l'assistenza delle vedove e degli orfani di guerra.
Se non ci sono più prestiti di guerra di cui si debbano pagare gl'interessi e le quote di ammortizzamento; se l'economia nazionale non solo si è rimessa, ma è divenuta più forte, l'Impero può restituire tranquillamente all'Unione cinque miliardi o più ogni anno, ammortizzando così, in un nuovo periodo di 35 anni, o in un periodo anche più corto, tutto il suo debito.
Con ciò si vede che con il mezzo proposto non si crea nulla da nulla, ma che il pagamento dei cinque miliardi d'interessi annuali dei prestiti di guerra (non 1'ammortizzamento) viene diferito di 35 anni, da un tempo in cui pagarli non è possibile, senza causare la rovina dell'economia nazionale, ad un tempo in cui essa non solo si è rimessa ma è divenuta capace di fare ben più. Come da un ammalato non si può esigere il lavoro di un uomo sano, così anche l'Europa spossata ha bisogno di un periodo di riguardo. Il differimento senza ingrandimento dell'onere, come avverrebbe nei comuni prestiti di Stato, è possibile solo per il fatto che l'Unione accorda il credito di propria forza – tutti gli Stati stretti nell'Unione a ciascuno singolarmente – e che quindi non è necessario di pagare
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interessi.
E poiché, secondo quanto siano venuti dicendo, la maggior parte dei buoni del tesoro internazionali rimangono per tutta la durata del periodo di ammortizzamento presso la Banca dell'Impero, e cioè in misura tanto maggiore quanto più si sviluppi fra le nazioni il sistema dei pagamenti senza contanti, non è necessario che l'Impero si faccia dare ogni anno dall'Unione i cinque miliardi di cui ha bisogno in buoni del tesoro. Nel rapporto fra i singoli Stati dell'Unione si avvererà il medesimo che nel rapporto fra i singoli cittadini e il loro Stato. Come i cittadini non ritirano ogni anno tutti i loro interessi in moneta sonante, così non è necessario che l'Impero metta ogni anno in circolazione cinque miliardi di nuovi mezzi di pagamento, né ha bisogno, ogni anno, di cinque miliardi in buoni di tesoro a garanzia dei suoi impegni all'interno o come mezzo di pagamento all'estero.
In pratica fra l'Impero e l'Unione le cose si svolgerebbero così: l'Impero riceve una prima volta cinque miliardi di buoni del tesoro dall'Unione, che glieli addebita. Se di anno in anno avvenisse il medesimo, l'Impero, dopo 35 anni, sarebbe debitore verso l'Unione di 175 miliardi. Questo debito sarebbe poi ammortizzato con la graduale riconsegna dei buoni. Ma invece di accumulare i buoni sino a quel punto e poi riconsegnarli, l'Impero potrebbe, di volta in volta, restituire all'Unione i buoni di cui non ha bisogno per pagamenti all'estero e per garanzia di note all'interno, e così diminuire il suo debito. Prescindiamo da pagamenti all'estero: il danaro rimane allora nel paese. I mezzi di pagamento di cui il traffico ha bisogno passano
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di mano in mano, non vengono consumati come le merci con essi pagate. I cinque miliardi d'interessi che l'Impero paga in un anno ai suoi creditori con trasporti o in note, riaffluiscono nello stesso anno alla Banca dell'Impero o alle altre banche sotto forma di trascrizioni o in note. Sono stati prodotti più valori, i quali o sono stati consumati o hanno accresciuto il patrimonio nazionale. Non sono valori in cui si siamo [sic] trasformati i mezzi di pagamento, come avvenne quando con un pezzo d'oro da venti marchi si fabbrica un anello, ma valori la cui produzione fu resa possibile pagando anticipatamente il prezzo che hanno, prodotti che siano, affinché l'operaio possa procacciarsi la materia prima e vivere sino a lavoro compiuto. Nelle merci approntate, o nell'utile che se ne ritrae, rimpresa si ricupera la pagata anticipazione che si può impiegare di nuovo come anticipazione per una nuova merce. Questa è la natura del capitale d'esercizio. Anche per l'Unione e per i singoli Stati può, dunque, bastare un capitale d'esercizio relativamente piccolo per rimettere in fiore l'economia nazionale. Non è dunque nient'affatto necessario di mettere assieme un valore corrispondente all'intera somma delle spese di guerra per render possibile il pagamento dei loro interessi e l'ammortizzamento. Il valore con il quale le anticipazioni vengono pagate è il credito dell'Unione, da convertirsi in titoli di valore solo nella misura in cui sono richiesti come mezzi di pagamento.
Basta, dunque, che ogni Stato si faccia dare solo tanti buoni del tesoro della quota cui ha diritto, quanti gliene
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occorrono per fare pagamenti all'estero e per garanzia delle note all'interno, per le quali non avrebbe altrimenti altra garanzia. La Germania potrebbe forse cavarsela per lungo tempo con i primi cinque miliardi ricevuti o con pochi altri di più. Invece di consegnare ogni anno cinque miliardi di note internazionali alla Banca dell'Impero, perchè questa paghi i frutti dei prestiti, essa può far accreditare di tanto la Banca presso l'Unione. Al posto dei buoni del tesoro subentrerebbe la scrittura a credito presso l'Unione, che offrirebbe, con la garanzia di tutte le Potenze, la medesima sicurezza dei buoni: su di essa la Banca dell'Impero, potrebbe ad ogni momento ottenere buoni del tesoro secondo il bisogno.
Poniamo che la Germania, durante trentacinque anni, sia ricorsa ogni anno al credito dell'Unione per cinque miliardi di marchi e che nello stesso periodo di tempo si sia fatta dare, per esempio, venti miliardi di buoni internazionali: il suo conto presso la Banca internazionale si presenterebbe così:

Avere Dare
(in milioni di marchi) (in milioni di marchi)
Saldo 175.000 Buoni internazionali ricevuti 20.000
Accreditamenti alla Banca dell'Impero 155.000
175.000 175.000
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Dopo 35 anni comincia l'ammortizzamento del debito presso la Banca internazionale: la Germania rilascia alla Banca dell'Impero l'annuale quota di ammortizzamento di cinque miliardi, messa insieme con il provento delle tasse e con altre entrate, e la Banca dell'Impero fa, a sua volta, trasportare dalla Banca internazionale questa somma, dal suo conto, al conto dell'Impero. Il bilancio della Banca dell'Impero, per quanto si riferisce all'Impero, dopo 35 anni, potrebbe essere, per esempio, il seguente:

Attivo Passivo
(in milioni di marchi) (in milioni di marchi)
Buoni internazionali 3.000 Impero germanico
Ricavo dalla vendita di buoni internazionali 17.000 Per buoni internazionali ricevuti 20.000
Ricavo da note contro buoni internazionali 2.000 Per note emesse 2.000
Credito presso la Banca internazionale 151.000 Per accreditamenti alla Banca internazionale 151.000
Cassa ecc. da imposte 6.000 Per imposte 6.000
179.000 179.000
V.
Risposta ad alcune obiezioni.
In che modo la garanzia solidale delle Potenze potrebbe riuscire di danno per uno Stato?
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All'Unione non può mai ricorrersi per pagamenti in contanti, per esempio per obbligazioni che uno Stato è tenuto a soddisfare e che non soddisfa. Una garanzia che nessuno Stato venga appoggiato oltre la sua capacità di rendimento risiede nel fatto che ciascuno deve, ogni anno, avere ammortizzato la parte di debiti cui si è vincolato entrando nell'Unione se vuol avere una corrispettiva scrittura a favore. Se egli non consegna le cartelle di debito ammortizzate non riceve nulla, nessuno Stato è tenuto a supplirlo, I buoni del tesoro emessi la Banca internazionale non è mai tenuta a rimborsarli in contanti.
Se uno Stato, spirato il termine stabilito per l'ammortizzamento, non soddisfa l'obbligo di riconsegnare alla Banca i buoni ricevuti o di liquidare il suo debito corrispondente esso deve pagare i frutti di questa parte. Ma ciò accadrà difficilmente o solo per incidente. Se uno Stato non ha pagato la sua quota, di ammortizzamento con i propri mezzi ma emettendo prestiti all'interno o all'estero, tocca ai creditori a sopportare il rischio. Che se lo Stato, spirato il termine di ammortizzamento, si trova così indebitato da non poter soddisfare le sue obbligazioni verso l'Unione, questa nomina una commissione per il riordinamento delle finanze dello Stato che può procedere e anche all'amministrazione forzosa in cui il pagamento degli interessi di tutti gli altri debiti deve venir posposto al pagamento degli interessi del debito verso l'Unione. Ma è difficile supporre che un simile caso, in Europa, si avveri. Esso potrebbe essere solo la conseguenza di lunghi anni di cattiva amministrazione del Governo del paese, quale in uno Stato europeo, ordinato e sottoposto al controllo dell'opinione pub-
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blica, è quasi da escludersi, specie dopo 35 anni nei quali le condizioni, sia politiche che economiche, proprio per effetto dell'Unione, devono essersi, in ogni riguardo, migliorate.
Normalmente, ossia sino a tanto che in Europa regni la pace e, per virtù dell'Unione, il patrimonio delle nazioni, in generale, cresca, non v'è pericolo che l'Unione o uno degli Stati che la compongono e responsabile in solido, patisca danno.
Che se prima della fine dell'Unione scoppi una guerra fra due o più dei suoi membri, tutta l'Unione può venir sciolta. I buoni internazionali, che si trovino in possesso dei singoli Stati o, in mano di privati, perdono la loro validità e così tutte le scritture a credito presso l'Unione e tutti i crediti di questa.
Una guerra, passati i primi 35 anni, non sopprimerebbe i valori sino allora creati; l'aumento reale del patrimonio nazionale rimarrebbe anche se l'Unione sparisse. Ogni Stato, però, dovrebbe, da quel punto, metter insieme da sé quanto sino allora gli ha anticipato l'Unione. Gli Stati belligeranti dovrebbero non solamente provvedere al pagamento degl'interessi dei loro prestiti antichi, ma contrarre i nuovi prestiti per far fronte alle spese della guerra, cosa naturalmente tanto più difficile, di quanti più prestiti antichi si avessero da pagare gl'interessi e le quote di ammortizzamento. Inoltre ogni Stato belligerante dovrebbe pagare il danno derivante ai suoi sudditi dalla perdita di validità dei buoni internazionali in loro possesso come delle eventuali scritture a credito presso la Banca dell'Unione.
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Quanto più uno Stato, per ricostituirsi economicamente, è costretto a ricorrere all'aiuto dell'Unione, tante meno esso può osare di provocare una guerra. Che se uno Stato economicamente rinvigorito si accingesse a dissolvere con una guerra la società, non solamente si darebbe la zappa sui piedi, accollandosi oneri tali da mettere a repentaglio tutto il suo benessere, ma turberebbe così profondamente la vita di tutti gli altri Stati da attirarsi contro tutta l'Unione. Gli altri Stati continuerebbero per conto proprio l'Unione, sarebbero costretti a continuare, giacché altrimenti perderebbero tanto da non poter far fronte, con il solo provento delle imposte, alle perdite quotidiane. Continuando l'Unione essi conseguono una tale superiorità sul perturbatore della pace da togliergli ogni speranza di riportare una vittoria che lo compensi delle sue perdite e molto meno un guadagno. In ogni paese, in corso di tempo, il beneficio dell'Unione apparirebbe al popolo così evidente, potrebbe ad ogni momento dimostrarsi con tanta precisione quali perdite esso venga a patire, d'un colpo, per effetto d'una guerra, quali nuovi oneri dovrebbe accollarsi, che qualunque Governo il quale volesse spingere ad una guerra, avrebbe contro di sé l'intero popolo. Nessuna nazione, in Europa, è più, nella sua generalità, dominata da spiriti bellicosi, ha più voglia di aggredire un'altra. Le esperienze della guerra mondiale non sono vane. La guerra, mondiale, del resto, non sarebbe, divampata, se fosse dipeso dai popoli e non dai Governi, dalle cricche di sobillatori e monopolizzatori del potere.
L'Unione, che noi propugniamo, costituisce così, di per se stessa, la migliore garanzia con-
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tro una nuova guerra, per lo meno per tutto il tempo in qui i popoli dovranno pensare a guarire le loro ferite. Essa rende la guerra, a prescindere da altri motivi, economicamente quasi impossibile. Dato ciò gli Stati partecipanti all'Unione non hanno più bisogno di armarsi uno contro l'altro; non hanno più bisogno di eserciti permanenti; di fare continue enormi spese improduttive per esser sempre pronti a scendere in campo, spese che non soltanto consumano il benessere nazionale, ma concorrono a suscitare i conflitti e quindi a mettere un pericolo, come la guerra mondiale ha dimostrato, l'intero patrimonio nazionale. Una volta che i popoli abbiano vissuto per 35 anni in pace e non ammassata polvere che da se stessa può prender fuoco, ma accresciuto, lavorando insieme, il loro benessere e postolo al sicuro da improvvise catastrofi, noi possiamo tranquillamente lasciare ai posteri la ricerca del come sormontare le difficoltà che, data la diversità degli uomini singoli e dei popoli, non verranno mai a mancare, che anzi sono necessarie per avanzare sulla via della civiltà.
Nostro compito è mantenere la nostra generazione capace di vivere e di rinvigorirla in modo che da essa possa sorgerne una nuova sana, robusta, libera. Stillarsi il cervello per ottenere di armare il meglio possibile i nostri nipoti per una guerra, mentre noi stessi giacciamo prostrati a terra, affamati, sarebbe proprio il colmo dell'umana follia. Noi dobbiamo pensare unicamente ad assicurarci la pace per tutto il tempo almeno che ci è necessaria a ristabilirci, ossia per circa trentacinque anni.
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Né per quanto i popoli saranno esclusi dall'interloquire alla stipulazione del trattato di pace, si darà un uomo di Stato che oserà di opporsi all'inserzione di una clausola per assicurare una tale durata della pace; che oserà, anzi, di chiedere l'inserzione di clausole le quali possono dare origine ad una guerra prima che questo periodo di tempo sia trascorso. Ad ogni modo toccherà ai popoli dire l'ultima parola. Se l'Unione da noi propugnata, non viene stretta già nel trattato di pace, la fame e la vita da schiavi spingerà i popoli esausti a ricorrere ad ogni mezzo per mettere fine alle loro tribolazioni, e se si manifesterà che altro mezzo non esiste all'infuori dell'Unione, essa verrà costituita, presto o tardi, e si domanderà conto ai Governi, che non vollero attuarla subito, e fecero, per dir cosi, piovere sul bagnato.
Può darsi che l'Inghilterra, gli Stati Uniti e il Giappone non abbiano interesse di entrar a far parte d'un simile aggruppamento, perché ricchi abbastanza da poterne fare a meno. Gli altri Stati europei non dovrebbero, tuttavia, rinunziare a stringere l'Unione, che sarebbe sempre capace di agevolare la loro guarigione economica e costituirebbe una potenza che non avrebbe da temere più nulla dall'Inghilterra. Ma poi, come fu autorevolmente affermato, dopo questa guerra, in tutto il mondo, s'invocherà, un'intesa fra le nazioni. Un'Unione, come quella da noi proposta, di natura veramente economica e che non ha nulla che fare con la forma di Governo, non implica intrusioni nei diritti sovrani, non ha nulla che vedere con questioni territoriali o con altre questioni di politica estera o interna, né coll'onore di un popolo, è certo la più facile di tutte le
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intese pensabili. Rimane la questione del criterio con cui deve regolarsi la partecipazione dei singoli Stati all'Unione. Siccome il credito viene accordato senza interesse, è naturale che ogni Stato voglia partecipare all'Unione nella più larga misura possibile, ma un limite naturale è dato dal fatto che la concessione del credito si fa dipendere dall'ammortizzamento dei debiti pubblici, o della maggior parte di essi, da effettuarsi entro il periodo di tempo stabilito, in modo che il credito sia in rapporto percentuale colle quote di ammortizzamento e venga accordato di nuovo solo se dette quote siano state realmente pagate. Siccome non si tratta per nessuno Stato di un regalo, che verrebbe a costituire un aumento del suo patrimonio, ma solo di un alleviamento dell'onere fiscale, è facile calcolarne per ciascuno la misura affinché sia in grado di sopportare da se i pesi rimanenti. Spirato il termine per l'ammortizzamento ogni Stato deve restituire quanto ha avuto.
Inoltre se la pace sarà assicurata, nessuno Stato ha interesse che un altro rimanga economicamente debole o non divenga economicamente troppo forte. Al contrario: quanto più presto gli Stati si ristabiliranno e quanto più diverranno agiati, tanto meglio sarà per la vita economica di tutti i popoli partecipanti all'Unione.
VI.
Conclusione.
Le considerazioni che siamo venuti facendo riposano sui dati di Helfferich sulle condizioni economiche della Germania prima della guerra: Anche se questi dati e i nostri, concernenti gli oneri da sopportarsi da noi dopo la guerra, non siano assolutamente esatti, come punto di partenza per uno sguardo d'insieme sulle possibilità economiche e fiscali e sui rapporti proporzionali fra patri-
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monio nazionale e rendita, produzione e consumo essi bastano. Fuori questione è che la guerra ha distrutto in Europa miliardi di valori; che ha strappato milioni di uomini nel fiore dell'età alla produzione; che ha aumentato talmente i debiti pubblici, le tasse e il costo della vita che i popoli o non potranno sopportarne il peso, solo a prezzo di straordinarie fatiche e privazioni, menando per molti anni ancora una vita come durante la guerra o anche peggiore.
Se, dunque, esiste una via per ridurre questi oneri ad una misura sopportabile, per aiutare l'Europa impoverita a rimettersi più presto, occorre metter da parte, ogni esitazione suggerita dalle condizioni di un tempo passato e affrontare la dura necessità di uscire dalla terribile situazione. Non va dimenticato che nella guerra odierna, a differenza delle passate, sono in gioco miliardi; che si tratta di un incendio propagatosi a tutto il mondo; di una lotta combattuta non solamente dagli Stati, ma dai popoli nella loro totalità.
Del resto, anche se fosse possibile, tendendo tutte le energie, di cavarsela, anche se una necessità ineluttabile non ci costringesse ad approfittare di ogni alleviamento, perchè mai dovremo noi sdegnare vantaggi ottenibili senza spesa? Senso di giustizia e di equità ci dovrebbe indurre a scaricare almeno in parte in nostri oneri sopra un avvenire più felice. Perchè proprio la nostra generazione, che ha sofferto come nessun altra sin qui, deve soffrire ancora per decenni, affinché le venture si godano senza qualunque corrispettivo i frutti della pace da noi ottenuta con tanti sacrifici? E si fosse almeno sicuri di procacciare con nuovi sacrifici un più felice avvenire ai nostri nipoti!
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Ma il pericolo di sollevazioni dei popoli, tormentati dalla fame e dalla miseria, e di nuove guerre, derivanti dagli armamenti necessari per il mantenimento dell'ordine all'interno e la difesa contro l'estero, anziché diminuire crescerebbe. Scaricando, invece, una parte degli oneri sui nipoti, ogni miliardo dei nostri debiti di guerra che dovranno ammortizzare sarà per essi un continuo monito salutare, ricorderà loro, di continuo, ciò che una guerra moderna costi e che cosa possa, in avvenire, costare.
Non deve, perciò dirsi: sicuro, il proposto alleviamento sarebbe una bella cosa, dato che una tale Unione fosse davvero attuata. Ma essa non diverrà mai una realtà. Al che non ci può essere che una risposta: se l'Unione può risparmiare all'Europa altre sofferenze e pesi, essa deve stringersi ad ogni costo. Se ogni popolo ha il più vivo interesse all'Unione; può attendersi da essa solo vantaggi e non il menomo danno, non si vede per qual ragione essa non, dovrebbe mettersi in atto. L'unica ragione potrebbe essere l'ignoranza dei fatti e delle possibilità, la cecità, conseguenza di pregiudizi, degli uomini di Stato dirigenti. Sennonché carestia e miseria sono in cammino: esse apriranno gli occhi a chi oggi non vuol vedere.
Soprattutto occorre essere prudenti, oggi; con la parola "utopia", che si offre cosi facilmente a criticare ogni nuova idea un po' ardita.uante utopie ha la guerra veduto divenir realtà, dall'introduzione dell'ora legale alla tessera per il pane; dal voto alle donne, in Inghilterra, alla
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deposizione dello Zar in Russia!
Sia comunque, noi riteniamo di aver provato:
1) che l'Unione non rappresenta, in sé, nulla d'impossibile; che anzi, se ben si considerino gl'interessi di ogni popolo, dev'essere voluta da tutte le Potenze, e che potrebbe venir costituita già nel trattato di pace.
2) Che l'Unione è possibile anche senza l'adesione di uno o più degli Stati belligeranti, ma che nessuno Stato può avere serio interesse a non farne parte.
3) Che anche gli Stati neutrali farebbero bene a divenirne membri giacché essa non può procurar loro che vantaggi e nessun danno. Qualora non abbiamo bisogno di aiuti per il pagamento degli interessi dei loro debiti pubblici, aumentati dalla guerra, la loro partecipazione potrebbe limitarsi alla sottoscrizione dei buoni internazionali, ad ammetterli pure nei loro paesi come mezzi di pagamento equiparati all'oro, per evitare così perdite di valuta e godere i vantaggi del sistema di liquidazione dei conti senza danaro. Ma anche i paesi neutrali hanno patito per la guerra e potrebbero aver bisogno del credito. E poiché, ad ogni modo, si trovano in miglior condizione degli Stati belligeranti, già solo perché non hanno avuto perdite umane, essi potrebbero ottenere dall'Unione, obbligandosi ad ammortizzare una parte determinata dei loro debiti pubblici, un credito anche superiore all'ammontare dei maggiori oneri derivati loro dalla guerra e per un interesse assai tenue, che potrebbe servire a coprire le spese di amministrazione dell'U-
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nione. Il guadagno, giacché il credito non costa nulla, andrebbe a tutti i partecipanti in proporzione della loro partecipazione.
4) Che nessuno degli Stati dell'Unione corre il rischio di dover fare una prestazione per un'obbligazione dell'Unione: gli Stati in condizione economica migliore non avrebbero mai da rifiutarsi a farsi garanti per gli Stati più deboli.
5) Che può esser trovato il criterio per fissare la partecipazione dei singoli Stati all'Unione senza vantaggi o svantaggi particolari per l'uno o l'altro Stato; e che detto criterio, mentre armonizza gl'interessi dei partecipanti con quelli dell'Unione, con utilità di tutti i partecipanti, non dipende da questioni di politica o di onore di un popolo e non presenta, quindi, difficoltà che possano impedire la costituzione o la durata dell'Unione.
6) Che il credito basato sull'Unione di tutta l'Europa creerebbe un valore così grande da potersi mettere tranquillamente alla pari dell'oro, che anzi, per molte ragioni superebbe in utilità l'oro.
7) Che non si avvererebbe un'inondazione dei mercati europei né di mezzi di pagamento nazionali né di mezzi di pagamento internazionali.
8) Che all'economa europea non fluirebbero pii capitali di quanti essa potrebbe, di volta in volta, assorbire.
9) Che per via dell'Unione si potrebbero risparmiare grandi spese militari, e che la pace sarebbe dall'Unione garantita
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meglio che da continui progressivi armamenti.
10) Che nei primi anni dopo la fondazione dell'Unione, già solo per motivi economici, una nuova guerra sarebbe quasi esclusa, e che con ogni anno di più che l'Unione durasse una nuova guerra diverrebbe sempre più improbabile, giacché col progresso della economia e della civiltà, ottenuto per mezzo dell'Unione, tutti gli Stati avrebbero un eguale interesse non solo alla prosperità del proprio popolo ma anche di tutta l'Unione e che la perdita sicura, causata ad ogni Stato da una guerra, diverrebbe sempre maggiore di un possibile guadagno.
11) Che pure se, per motivi imprevisti, nonostante tutto, divampasse una nuova guerra fra gli Stati partecipanti all'Unione, essa sino a quel punto, non avrebbe che giovato ogni suo membro di guisa che in nessun caso, per il rischio di un futuro danno possibile, sarebbe da preferirsi il mantenimento dell'odierno stato di cose, all'attuazione dell'Unione.
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], Il risanamento economico dell'Europa per mezzo della Banca Internazionale, [Berlin] vom vor dem 01. Dezember 1917, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 10002, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/10002. Letzter Zugriff am: 19.04.2024.
Online seit 24.03.2010, letzte Änderung am 20.01.2020.