Dokument-Nr. 394

[Erzberger, Matthias]: La Germania e le decisioni del consiglio di guerra di Versailles, vor dem 25. Februar 1918

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La situazione internazionale prima della conferenza di Versailles era, in due parole, la seguente: Lloyd George, costrettovi dalla brutta condizione in cui l'insistere nella guerra aveva portato l'Inghilterra e che si era aggravata in maniera minacciosa con l'uscita della Russia dal gruppo dell'alleanza intesista, costrettovi pure dalle difficoltà interne nel campo economico-alimentare e dal crescere delle correnti pacifiste nella classe operaia inglese, che incalza sempre più per ottenere un'indicazione chiara ed esplicita degli scopi di guerra, si era indotto a pronunciare su tali scopi un discorso che per il suo tono relativamente moderato aveva fatto perfino in Inghilterra gran colpo. Questo discorso era stato tenuto con un intento ben determinato. Lloyd George aveva voluto dimostrare ai rappresentanti dei sindacati operai la necessità di aumentare gli effettivi dell'esercito e quindi la necessità per gli operai di fare nuovi sacrifici. Il tono relativamente moderato del Premier inglese aveva avuto, dunque, in questa mira la sua ragion d'essere, nondimeno meravigliò, in generale, la mancanza delle consuete villanie e malignità verso la Germania, cosa che forse non sarebbe avvenuta se Lloyd George non avesse stimato opportuno di dover tener conto delle correnti favorevoli a un accordo nella classe operaia inglese, anzi in tutta l'Inghilterra.
Ciò che egli indicò come "modesti fini di guerra dell'Inghilterra" non furono, in verità, che i vecchi scopi imperialistici. Tuttavia Lloyd George lasciò sulla futura sorte dell'Alsazia-Lorena una certa imprecisione che in Francia sollevò non piccola ansia, e, in generale, egli dichiarò che l'Inghilterra, dal canto suo, non farebbe alcuna opposizione
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all'avviamento di negoziati di pace appena la Germania mostrasse per essi la minima disposizione.
Non molto tempo dopo Lloyd George, il Presidente Wilson diresse al Congresso quel messaggio nel quale, in quattordici punti, svolse il suo programma di pace, e che si distinse non solo per una temperanza anche maggiore di linguaggio, ma, in vari punti, anche sostanzialmente, dalle dichiarazioni di Lloyd George. Fra l'altro Wilson proclamò in questo messaggio i principi che potevano essere considerati come ponti verso una pace colle Potenze Centrali e come sintomo di un mutamento del pensiero di Wilson quanto agli scopi di guerra.
Sebbene vari punti del programma di Wilson non fossero discutibili per la Germania, quest'ultima, fedele alla sua politica di pace, non lasciò passare l'occasione di far progredire ancora di un passo la discussione intorno alla pace prendendo le mosse dal programma di Wilson. In un discorso nella Commissione principale del Reichstag, il Cancelliere dell'Impero manifestò il suo giudizio sul messaggio di Wilson e in una forma assai arrendevole. Egli espose il modo di vedere del Governo germanico su ogni proposta di Wilson; acconsentì; fece riserve; applicò una delle proposte pure all'Intesa per dimostrare quanto unilaterale fosse questa o quella esigenza di Wilson, ecc. Ma la risposta del Cancelliere dimostrò, ad ogni modo, che egli l'aveva concepita come un anello per continuare la discussione e che così intendeva venisse interpretata. Egli dichiarò parecchie proposte di Wilson discutibili come base di trattative di pace e invitò la controparte a riesaminare le sue domande. Contemporaneamente pure il conte Czernin, in Vienna, rispose
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al messaggio di Wilson. E siccome l'Austria-Ungheria non è in contrasto con gli Stati Uniti per interessi così vitali come la Germania, il Ministro austro-ungarico poté spingersi anche più in là nella sua arrendevolezza: egli propose un diretto scambio d'idee fra l'Austria-Ungheria e gli Stati Uniti intorno alle basi di una prossima pace.
Così le Potenze centrali rimanifestarono la loro sincera volontà di venire ad un accordo, nella speranza che fosse possibile di risparmiare al mondo i nuovi sacrifici di sangue e di beni inevitabili in una continuazione della guerra e che, tolto di mezzo il fronte russo, colpiranno, nei combattimenti in vista sul fronte occidentale, la Francia e l'Inghilterra in misura assai maggiore che la Germania. Era da supporsi che le Potenze occidentali avrebbero approfittato della grande arrendevolezza delle Potenze centrali, considerando l'estrema moderazione di queste Potenze, per svolgere ancora, nell'interesse degli stessi popoli dell'Intesa e di tutta l'umanità, la discussione sulla pace.
Dal 30 gennaio al 2 febbraio ha seduto, in Versailles, il Consiglio supremo di guerra dell'Intesa. In un telegramma dell'Agenzia Havas sono stati notificati al mondo i risultati della conferenza. Tutto sommato si tratta di una nuova dichiarazione di guerra dell'Intesa alle Potenze centrali.
Così l'Intesa ha risposto, con una manifestazione della più intransigente e implacabile volontà di guerra, agli ultimi discorsi del Cancelliere germanico e del Ministro degli Esteri austro-ungarico. Che si tratti realmente di una risposta ai discorsi del conte von Hertling e del conte Czernin, si ricava dalla informazione introduttiva dell'Havas che il Consiglio supremo di guerra dell'Intesa aveva
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esaminato accuratamente ognuno dei due discorsi dei Ministri delle Potenze centrali e che "non era riuscito a scoprire in essi alcun segno di avvicinamento alle condizioni temperate formulate da tutti i Governi degli alleati." A un bel circa questo è ciò che la stampa guerraiola dell'Intesa e le sue agenzie d'informazioni aveva detto subito dopo la pubblicazione dei discorsi sforzandosi di prospettare, in malafede, ai popoli dell'Intesa, i discorsi del conte von Hertling e del conte Czernin come una nuova prova della volontà di guerra e di conquista delle Potenze centrali. Pure alla vigilia del convegno di Versailles il "Temps" definì questi discorsi "sleali e prova di nuove insidie." Non si può a meno di considerare tutto ciò come lavoro commesso, che doveva precedere il convegno di Versailles perché le deliberazioni fossero poi bene accolte. Si volle impedire che i popoli dell'Intesa si facessero la minima illusione sull'approssimarsi della pace. Il contegno della stampa dell'Intesa e la decisione del Consiglio di guerra di Versailles non costituiscono una sorpresa: l'Intesa ha l'abitudine di rispondere in tal modo alle dichiarazioni di disposizione a una pace per via d'accordo della Germania e dei suoi alleati. La forma in cui questo rifiuto vien espresso, paragonato alle parole chiare e precise con le quali il conte von Hertling e il conte Czernin si sono manifestati sul messaggio del Presidente Wilson, come anche con i discorsi pronunziati negli ultimi tempi da Lloyd George e da Wilson e che parvero informati a tutt'altro spirito da quello del comunicato di Versailles, fa l'effetto di un arabesco di frasi senza senso. L'Intesa, invece di avanzare sulla strada indicata da questi discorsi, invece di rispondere alle parole concilianti delle Potenze centrali, richiude
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rumorosamente la porta dietro a sé: il vecchio accento accusatorio torna a farsi sentire. Il Cancelliere germanico e il Ministro austro-ungarico avevano dichiarato di non volere all'est annessioni violente, di non voler annettere il Belgio, di non voler mantenere il possesso delle province occupate nel nord della Francia; essi avevano manifestata solamente l'esigenza imprescrittibile che l'integrità del territorio dell'Impero venisse riconosciuta. La risposta dell'Intesa a queste dichiarazioni ben chiare è che la brama "di rapina e conquista" delle Potenze centrali, è evidente, sicché il Consiglio supremo di guerra dell'Intesa ritiene "suo dovere imprescindibile di garantire la continuazione della lotta con la massima energia e mediante la cooperazione più stretta ed efficace degli alleati."
Che le Potenze centrali bramino rapina e conquista è sostenuto dalle stesse Potenze i cui piani di conquista sono stati resi noti a tutti dai trattati segreti conclusi a vicenda; da quelle stesse Potenze che sin ad oggi hanno respinto ostinatamente la proposta di riesaminare questi loro piani; da quelle stesse Potenze che anzi ancor oggi sostengono la validità di questi trattati di rapina e conquista né vogliono da essi recedere! Queste Potenze dell'Intesa pretendono di aver formulate d'accordo "condizioni moderate" rispetto alle quali non è possibile accertare ancora alcun avvicinamento nelle dichiarazioni delle Potenze centrali! Ma quali sono queste "condizioni moderate" delle Potenze dell'Intesa? A tutte le domande di rappresentanti della nazione e della pubblica opinione in Francia, tutti i Ministri che si susseguirono a Parigi, durante la guerra, non venne data che la risposta che si tratta di "legittime rap-
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presaglie e di garanzie di una pace duratura." Sotto queste frasi generiche quanto mai elastiche si nasconde il programma di conquista dell'Intesa, quel programma di cui il mondo ha potuto farsi già un'idea attraverso le pubblicazioni dei documenti segreti russi. Ancora il 4 febbraio u. s. l'ex-Ministro degli Esteri Hanotaux ha scritto nel "Figaro" che occorre tener segrete le condizioni di pace, giacché convien modificarle secondo gli aspetti della vittoria.
Tali sono le Potenze che rinfacciano agli Imperi centrali volontà di rapina e di conquista; agli Imperi centrali che dal dicembre 1916 non si sono stancati di stendere all'avversario la mano; agli Imperi centrali i cui Governi si sono dichiarati d'accordo con la "risoluzione" del Reichstag del 19 luglio; che fecero subito buon viso al radiotelegramma russo "A tutti" e confermano la loro disposizione a concludere una pace generale; che non chiedono altro che l'integrità del loro territorio quantunque la vittoria militare sia di essi e le loro truppe tengano occupate vaste regioni nemiche.
Chi indaghi i motivi dell'Intesa troverà che essi si riducono alla vaga speranza di poter resistere più a lungo delle Potenze centrali e alla speranza che una disgregazione o un turbine rivoluzionario apporti loro quel successo che con le armi non riuscirono a conseguire. In questa speranza Parigi e Londra sono le alleate di Pietrogrado dove il dittatore Trotzki pensa più a propagare la rivoluzione in Germania che a concludere la pace. L'esito degli scioperi scoppiati di recente in Austria e in alcune città della Germania, e che non furono maggiori di quelli che si avverarono, pure recentemente, in alcuni centri industriali dell'Inghil-
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terra, non ha, come sembra, tolta alle Potenze occidentali l'illusione di poter raggiungere il loro scopo attraverso una crisi interna delle Potenze centrali. Persone avvedute negli stessi paesi dell'Intesa hanno diffidato dall'assegnare agli scioperi parziali in Germania, già da un pezzo terminati, un'importanza maggiore che a quelli scoppiati, di tanto in tanto, in tutti gli Stati belligeranti; dal considerarli più che una momentanea reazione degli operai, sobillati da demagoghi, contro le durezze e difficoltà che il lungo stato di guerra porta fatalmente con sé. Quale errore commettano le Potenze occidentali fondando le loro speranze sui terminati scioperi in questione si comprende solo a riflettere che fu soltanto una piccola parte della classe operaia che abbandonò il lavoro e che lo sciopero, invece di estendersi, venne presto meno da sé, per mancanza di qualsiasi organizzazione, poiché tanto i sindacati e gli operai in essi federati, quanto il partito socialista se ne tennero lontani. In Berlino gli operai sono circa un milione e mezzo e di essi solo 180.000, dunque il 12 %, si misero in sciopero. Nella provincia gli scioperanti furono anche meno. Nulla di meglio adatto della decisione del Consiglio supremo di Versailles a persuadere ogni ordine di cittadini in Germania che anche la migliore disposizione a una pace per via d'accordo, che anche la massima arrendevolezza non giova a indurre le Potenze occidentali a liquidare la guerra mostruosa; nulla di meglio adatto di questa decisione a rinsaldare la concordia in Germania. In tutta la stampa tedesca, anche nei giornali liberali, socialisti e del Centro, in tutti quelli, insomma, che sostennero sempre l'idea dell'intesa e della riconciliazione nella politica estera, si
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riconosce che la speranza d'indurre con la parola i capi dei Governi dell'Intesa alla pace è tramontata definitivamente, sicché più non rimane che ricorrere di nuovo ai cannoni. Si è convinti che è sonata l'ora di agire e si è fermamente decisi a ottenere la pace per mezzo delle armi. E che vi si riuscirà nessuno, in Germania e nei paesi alleati, ne dubita. Come disse il Cancelliere dell'Impero nel suo discorso alla Commissione principale del Reichstag, la situazione militare delle Potenze centrali è oggi cosi buona come mai per l'addietro. Nel momento in cui il Cancelliere fece questa dichiarazione, sul fronte orientale, in conseguenza della dissoluzione dell'esercito russo, non v'era più nulla da temere, e adesso, con la stipulazione della pace coll'Ucraina, che sopprime un tratto notevolissimo di questo fronte, la condizione delle Potenze centrali è divenuta anche più favorevole. La pace coll'Ucraina significa per le Potenze centrali un miglioramento per ciò che riguarda ai rifornimenti di viveri e di materie prime. Dimostrerà però il futuro se l'annunziata smobilitazione dell'esercito russo sia da equipararsi al ritorno di uno stato di cose simile alla pace.
La Germania è adesso in grado di spostare il centro di gravità della sua pressione militare sul fronte occidentale. Che cosa ciò significhi non occorre dimostrare. Sui mari i sottomarini tedeschi seguitano a lavorare e intralceranno sicuramente assai il soccorso americano, che non si può ancora prevedere in qual misura sarà attuato.
La Germania combatterà sul fronte occidentale contro qualunque nemico che le si pari dinanzi. Né certo è sua colpa che si debbano compiere ancora enormi sacrifici di sangue e di beni per giungere alla pace nell'ovest: la Germania,
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nel manifestare la sua buona disposizione a metter fine alla guerra è giunta ai limiti estremi compatibili con la sua dignità nazionale. La responsabilità per tutto ciò che sta per accadere è esclusivamente dell'Intesa.
La Germania ridarà al mondo la pace. L'Imperatore lo dichiarò nel discorso pronunziato il 10 febbraio in Homburg v. d. Höhe, al popolo festeggiante la pace coll'Ucraina:"Noi dobbiamo restituire al mondo la pace; noi vi riusciremo ad ogni modo. Ieri ciò si è potuto ottenere con le buone. Al nemico che, sconfitto dai nostri eserciti, riconosce che non giova più di seguitare a combattere e che ci tende la mano, noi diamo la nostra mano. Noi non ci rifiutiamo alla stretta. Ma il nemico che non vuole accettare la pace, che, al contrario, vi si oppone e costringe il nostro popolo e il suo a nuovo spargimento di sangue, deve esservi obbligato. Questo adesso è il nostro compito. Per questo dobbiamo lavorare tutti, uomini e donne.
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], La Germania e le decisioni del consiglio di guerra di Versailles vom vor dem 25. Februar 1918, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 394, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/394. Letzter Zugriff am: 29.03.2024.
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