Dokument-Nr. 430

Verhees, Emiel: La traduzione. Brüssel, vor dem 05. Oktober 1917

[Übersetzung]
Santo Padre,
Noi, Fiamminghi Cattolici, vengono rispettosamente al Trono della Sua Maestà, gridando con umile rispetto ed amore la Vostra protezione in un affare che pesa sulla nostra coscienza.
Certamente, non è sconosciuto alla Vostra Sapienza, Santo Padre, che noi, Fiamminghi siano da tempo in gravi conflitto per avere i nostri diritti più naturali, specialmente per la ragione della nostra lingua materna.
Quandunque noi Fiamminghi formino la più grande parte della popolazione Belga, la nostra nazionalità non fu mai apprezzata, come essa merita, ma piuttosto danneggiata, coll'aiuto del Governo, dal numero minore della popolazione che parla la lingua Francese.
Prima dell'anno 1898, la lingua unica ed autentica in Belgio fu la lingua Francese. Dacché 1898 si riconosceva, come tale, pure la lingua Fiamminga, ma non veniva mai praticata come il Francese ed i Governanti coi suoi impiegati, i quali dovrebbero eseguirla, erano i primi a calpestarla. A noi mancava fin ora, la possibilità di avere un istituto per l'istruzione più alta nella nostra lingua propria; alle università veniva istruita sempre la lingua Francese solamente. Nell'Istruzione media, non abbiamo quasi che non un piccolo posto. Nelle scuole Elementari, le scuole veramente del popolo, viene, con grande perdita del tempo, quasi ovunque istruita la lin-
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gua Francese, pure ai quei bambini Fiamminghi che non l'adoperano mai. Vi sono luoghi persino, dove viene data ai nostri bambini Fiamminghi la lingua Francese come mezzo per imparare il Fiammingo; cosicché essi non restano solamente addietro nella loro lingua propria, nella vita comune, ma di modo che essi non possono neppure pregare bene nella sua lingua materna. Tutta l'istruzione è accomodata, non a benessere del popolo comune, ma solamente a favore di colui che sono più autorizzati nonostante che siano molto inferiori in quantità ed i quali si hanno separato dal loro popolo, cioè: della nazione in comune, per accettare la lingua Francese, come lingua quotidiana.
Qui, Santo Padre, crediamo che noi Fiamminghi dobbiamo far sentire la nostra voce, attorno ad una cosa che nostro popolo, poveri Fiamminghi, faccia più compassione degli altri popoli oppressi dell'Europa, come per esempio gl'Irlandesi ed i Polacchi. Poiché quei popoli abbiano almeno i loro condatori [sic] naturali: i chierici, la nobiltà e la più alta personalità che lavorano in comune e con amore, elevandosi coi loro popoli il più possibile dal giuoco nemico. Qui, in contrario, essi rimangono indifferenti, o peggio, si avvicinano, si uniscono coi nemici della nostra lingua.
Il risultato di questa separazione fra il popolo borghese ed il popolo più basso, il nostro popolo è privo del suo posto tra i popoli civili dell'Europa; ed invece di avere il suo posto d'onore, il quale dovrebbe avere secondo la sua tradizione gloriosa, esso rimane sul grado più basso della
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civiltà.
Fin ora abbiamo ritenuto in alto la nostra fede, ma nondimeno, ognuno fra noi chierici, che sta lavorando nei centri più industriali del nostro paese, potrebbe testimoniare, come anche in nostro popolo è penetrato e già profondo, il socialismo e la profonda irreligiosità.
Per far finire a questa confusione e per la massima possibilità d'ottenere, noi Fiamminghi, lo stesso diritto come lo hanno i popoli di Vallonia pel loro sviluppo, non ne sono altri mezzi abbastanza sicuri, se non questo: la separazione amministrativa del Belgio, secondo il naturale confine di lingua.
Tutti gli altri mezzi e specialmente quei adoperati dal Governo, cioè l'uso di tutte le due lingue, non conducono mai al buon termine, ma rendono soltanto le consistente indecenze.
Ma di questa soluzione però, il Governo non vuole sentire; esso non vuole conoscere il nostro diritto naturale nemmeno con noi Fiamminghi trattare come vengono trattati costui che parlano la lingua Francese; esso cerca sempre di creare l'unità coi mezzi di oppressioni, e questo in un paese dove, secondo il diritto naturale, dovrebbe regnare l'unità fra tutti.
I nostri fratelli versano la loro sangue [sic] a benessere del Governo tre anni in vano; ma però, finora il Governo non si muove da legarsi a noi colle promesse serie per l'avvenire.
Neppure esso vuole l'applicazione nelle scuole delle Leggi sulla lingua nei luoghi non invasi, quandunque codeste leg-
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gi non siano neanche bastevoli.
Ciò che il nostro Governo ha trascurato, viene fatto possibile dagli occupanti Tedeschi. Essi fanno rispettare la piccola parte dei nostri diritti che sono legati nelle leggi Belghe; essi danno prova d'avvedutezza alla nostra necessità. Per questa via venne una vita nuova nel nostro movimento nazionale.
Noi, Cattolici dell'Arcivescovado di Malines, ci unirono con loro movimento in pubblico ed in silenzio, il quale non adoperarsi che non è permesso dal diritto Divino e del diritto umano.
Ma ora s'è, al nostro grande dispiacere, il nostro Rev. mo Arcivescovo, Sua Em. il Card. Mercier, messo contro di noi, ed Egli adopera la Sua autorità morale per sbarrare la via al nostro movimento di lingua.
Egli ne ha trattato nel Suo discorso ai Suoi Rev.mi chierici della Sua Arcidiocesi il 29 Gennaio 1917, al giorno di festa del San Francesco di Sales. E poi nei Suoi discorsi dell'8 Giugno, ai Superiori dei Colleghi Arcivescovili, eppure nel mese di Luglio in un'istruzione ai Suoi Seminaristi.
Concernente questi discorsi, di Sua Em. sono, tanto nella stampa quando fra i Cattolici, le più triste voci in circolazione.
Negli ultimi tempi s'è mostrato la nemicizia di Sua Em. in un altro modo, più inasprita, contro l'interesse dei Fiamminghi.
Preti e Seminaristi venivano a causa la loro convinzione
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politica e loro attività nazionalistica, puniti; altri si sentono minacciati per le stesse ragioni.
Il giorno presso il discorso dell'8 Giugno ai superiori dei Colleghi Arcivescovili, il Rev.mo Reggente del Collegio di S. Norberto ad Anversa, dichiarò che in seguito sarebbe un peccato grave di lavore [sic] in qualunque modo pel movimento Fiammingo.
Da parecchie settimane, alcuni Preti dichiarano ai loro penitenti, autorizzati dal Card. Mercier, che sia un peccato mortale di leggere giornali attivisti o di promuovere la separazione amministrativa.
Un delegato di Sua Em. E. H. Bruyssels, poteva pubblicare nel giornale Olandese "De Tyd" (num. 21405 del 6 Agosto 1917), appoggiandosi sull'istruzione dal Card. stesso, che Sua Em. il Card. Mercier aveva dichiarato come peccato, e talvolta in casi gravi come peccato mortale, la cospirazione alla separazione amministrativa.
È naturale che questo uso dell' autorità spirituale in un affare pure politico, cagiona nella coscienza Cattolica confusione ed è svantaggioso alla religione.
Perché tanti e tanti Fiamminghi vedono con tristezza come l'Arcivescovo è molto più zeloso contro il movimento nazionale dei Fiamminghi, che contro la propaganda empio, la quale in Belgio trova la loro via ora tanto quanto prima della guerra. E tanti non sanno neppure capire come un Cardinale della Chiesa Cattolica può; stringere la mano di massoni, mentre Egli, per noi Preti Cattolici e laici zelosi, non ha altro che sola severità.
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Noi, Cattolici sono assai afflitti dal modo d'agire del nostro Arcivescovo.
Noi crediamo di essere buoni patrioti, cercando di poter avere il diritto che ci appartiene legalmente; noi crediamo che non possa essere altro che del bene al Belgio, quando non i Valoni solo, ma le due stirpi che aiutano il paese possino avere la loro piena sviluppazione, ed Egli chiama noi traditori della patria.
Noi credevamo di combattere per una cosa retta, ed Egli chiama il nostro modo d'agire: peccati mortali.
Vi sono alcuni che temono che la separazione amministrativa sarebbe in pregiudizio dei Cattolici della Valonia, dove sono in numero inferiori, perché essi sarebbero così spogliati del costegno [sic] dei Cattolici Fiamminghi.
A ciò rispondiamo che la Chiesa Cattolica non ha mai obbligato un popolo di negare i loro diritti naturali, a causa dell'interesse religione d'un altro popolo, tanto meno di farsi opprimere d'un altro popolo, per quale i motivi siano.
Per altro, non abbiamo mai inteso seriamente i motivi perché la separazione amministrativa indebolirebbe i Cattolici Valoni; perciò ci pare di essere soltanto un timore, inspirato d'un sentimento anti-Fiammingo.
Incontrario, noi siamo convinti che non andiamo a contra la Chiesa o la religione col nostro movimento Fiammingo.
Noi Fiamminghi siamo quasi tutti Cattolici e la maggior parte anche Cattolici buoni.
Da tanto tempo, noi Fiamminghi Cattolici, seguiamo con amore
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e fedeltà la nostra Madre la Chiesa Cattolica ed il suo Clero. Il movimento Fiammingo, che è veramente un movimento Nazionale, il quale nacque senza pressione estere, e perciò non è mai stato nemico alla Chiesa. Se venissero compiti i loro desideri, tutto sarà in favore del popolo Fiammingo e perciò in favore d'un popolo Cattolico. Il popolo Fiammingo fu da lungo tempo già il sostegno più forte della partita Cattolica in Belgio. Se ora, alla prima domanda del popolo Fiammingo verrà compiuta, cioè: la generazione amministrativa, allora sarà senza dubbio, e più di prima, il sostegno più forte ancora del Cattolicismo e della partita Cattolica per la Chiesa Madre cioè: per la Chiesa Cattolica Romana, ed il paese nostro sarà, più del tempo addietro, un paese veramente Cattolico.
Poco tempo fa, il Signor Camillo Huismans, uno dei capi della partita socialista in Belgio, dichiarò: "Io non prendo parte all'azione Fiamminga, perché tale sarebbe certo la vittoria del Cattolicismo." Indubitabile, qui c'è d'aspettarne un vantaggio, tanto per l'azione Cattolica quanto per la politica. Si sappia pur troppo che la sovranità della partita Cattolica non stava fermo prima della guerra e che il Belgio fu in pericolo d'avere, invece d'un Governo Cattolico, un Governo nemico della Chiesa. Questo pericolo sarebbe ancora più grande pel Belgio dopo la guerra. Dappertutto, dove da noi è penetrata la lingua Francese, si vede la maggioranza voltare la spalla alla religione e approvare precauzioni Francesi dell'oppressione della nostra Madre, la Santa Chiesa.
Se fosse vera l'opinione che la nostra domanda nazionalistica
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danneggerebbe gl'interessi religioni, allora indichiamo sul vantaggio che deve venire di ciò alla Chiesa Cattolica. Poiché si vuole dal nostro paese fare un paese Francese in generale la cura di anime veniva continuamente fatta nella lingua Francese, dunque in una lingua sconosciuta del nostro popolo. Il nostro Clero Fiammingo, per la maggior parte si mostra, già nel loro tempo di studi, troppo Francese. Quindi, i nostri Chierici, curatori di anime, principalmente nelle città Fiamminghe più grandi, si sono allontanati dai loro parrocchiani, i quali spesso non comprendono le predicazioni che si fanno in lingua Francese, poiché, essi in generalmente, non capiscono abbastanza la codesta lingua. Tanti Preti, persino, vi non vanno ascoltare le confessioni nella lingua Fiamminga. E perciò i veri Fiamminghi, i contadini, in somma il popolo delle classe media, i quali erano da tanti secoli in qualunque modo veri Fiamminghi, nonostante che le tentativi dei loro nemici della loro lingua. La conduzione naturale di ciò è: le prediche Francesi non vengono ascoltate, o, poiché essi non le comprendono, non hanno effetto e perdono il loro scopo. Già nell'anno 1842 il Rev.mo Generale dei Gesuiti Padre Beckx, nato Fiammingo, che conobbe benissimo le situazioni, aveva preveduto chiaro questa cattiva situazione e ne ha più volte accennato. E poi i Chierici Fiamminghi coi loro Cattolici hanno da quel tempo sempre fatto sentire le loro voci, tanto al pubblico come fra loro stessi, quanto danneggiamento veniva dato alla Chiesa Cattolica dalla lingua Francese usandola ovunque, anche fra i Fiamminghi, come lingua maestra. Ma pero, le loro
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lamentazioni rimasero in vano.
A Brusselles e sobborghi, dove la maggior parte della popolazione e specialmente i Cattolici, sono Fiamminghi, ed i quali non capiscono la lingua Francese od almeno pochissimo, la situazione lì è peggiore. In alcuni parrocchie il Curato non comprende che non poche parole Fiamminghe e quindi egli non può stare in relazione, come deve essere, colla maggior parte dei suoi parrocchiani. Nella più grande parte delle Chiese, le Domeniche si danno soltanto in una o due Messe un'istruzione nella lingua Fiamminga. Migliaia di bambini Fiamminghi ricevono l'istruzione quasi esclusivamente nella lingua Francese; anche il catechismo l'insegnano nella lingua Francese; quest'istruizione non la sentono nelle loro anime, non la comprendono e non la possono raccogliere; anch'essi, poco dopo che hanno lasciato la scuola, dimenticano tutte le loro preghiere e la loro dottrina.
Questi sono i risultati creati a riguardo della religione dall'imposizione forzata della lingua Francese nel Belgio-Fiandra.
Motivi di qualità religiosi, il nostro Arcivescovo non li conta per niente, quand'Egli si alza contro di noi; e noi non possiamo credere neppure che le Sue azioni possino essere scopi religioni, che ce si faccia conoscere a noi altri Fiamminghi. Il Signor Cardinale è un Valone. Egli ama tutto di cuore la coltura Francese ed Egli sta, a ritardo a noi altri Fiamminghi, come uno straniero. Già prima della guerra, Egli fu un avversario del nostro movimento Fiammingo e della nostra lin-
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gua allorquando essi andavano avanti soltanto pian piano e quasi senza la previsione di compire il suo destino. Il Signor Cardinale divide il sentimento di colui che credono che la Fiandra sia un paese dove la lingua Francese e la lingua Fiamminga siano diffuse uguagliamente e dove la lingua Francese, come lingua mondiale, merita la preferenza.
Questo però è falso.
La Fiandra e un paese dove il popolo conosce e parla solamente la lingua Fiamminga, essendo la loro lingua materna.
Perché si parlano, specialmente nelle classe più alte, la lingua Francese? Perché l'istruzione media viene data per la maggior parte nella lingua Francese e nelle scuole più alte totalmente in quella lingua. Ecco la ragione perché si parlano, nelle classe più civilizzate, la lingua Francese. Perché, la nostra lingua materna non è un ostacolo nella coltura più alta, dimostra la storia del nostro popolo nei secoli passati, ed una prova sopratutto, se ne vedono presso i nostri vicini-Settentrionali, gli Olandesi, dei quali la lingua è la stessa che la lingua nostra.
La sostanza ed il centro del nostro movimento in tutto è quindi: la questione di lingua.
Che noi possiamo chiedere l'aiuto della Vostra Santità, ed il quale noi Fiamminghi quindi facciamo con riverenza, questo ci dà coraggio e conforto.
Noi altri sappiamo che la nostra Sacra Chiesa Cattolica ed i loro supremi mandatori [sic], i Papi, hanno detto le prime parole, tanto per ogni diritto naturale quando pel diritto di lingua,
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delle nazioni piccole. Il Vostro Santo Antecessore sulla Santa Sede, Papa Leone XIII, l'ha fatto più volte con forza, ed Egli ha obbligato pure i Vescovi d'agire in questo senso. Noi ci ricordiamo le magnifiche parole nel Suo Enciclico "Reputantibus" del 20 Agosto 1901, ai Vescovi di Boemia e Moravia.
Noi sappiamo pure che la Vostra Santità stessa, ha difeso più volte le nazioni piccole la cui libertà veniva oppressa nell'uso della loro lingua materna.
Noi ci ricordiamo che la Vostra Santità, dalla Sua Bolla "Cambria, Celtica gentis origine" del 7 Febbraio 1916, ha stabilito in Wales una provincia Ecclesiastica propria pel popolo che parla la lingua Celtica e con ciò, riconosciuto il diritto di lingua di costui che sono nella minoranza.
Noi ci ricordiamo inoltre la Vostra decisione nel conflitto di lingua in Canada, dove il Governo Inglese opprime la lingua Francese, essendo quella la lingua materna della popolazione; lì esisteva la medissima situazione di lingua nella Chiesa e nelle scuole, come da noi in Fiandra.
Nella lettera Vostra, dell'8 Settembre 1916, a Sua Em. il Cardinale Arcivescovo Bégin a Quebec, ed agli altri Vescovi del Canada, la Sua Santità dimostrava che il loro dovere era di far terminare il conflitto fra i Cattolici in quanto la lingua, tanto nelle Chiese quanto nelle scuole, e quando le voci loro non erano abbastevoli [sic], essi devono chiamare in ciò la decisione della Santa Sede: "Causam ad justitiae et caritatis leges sic divimet, ut fideles pacem mutuamque benevolentiam, sicut decet sanctos, in posterum conservent."
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Appunto perché noi sappiamo che lo scopo del nostro Arcivescovo nella Sua condotta in quanto la nostra domanda nazionalistica non è di sorta religione, ma piuttosto una predilezione unilaterale per la coltura Francese;
Appunto perché noi sappiamo che il nostro scopo non è dannevole alla religione, ma piuttosto favorevole;
Appunto noi sappiamo che in Polonia, dove la situazione è la medissima, in quanto il diritto umano come da noi, i Vescovi spronano i Cattolici di sottomettersi all'ordine ed alle regole degl'invasori, vi proclamati a favore del diritto umano, e d'ubbidire ai capi;
Appunto noi sappiamo che nei casi, come i nostri, una supplica alla Santa Sede viene sempre ascoltata; perciò, noi ci rivolgiamo dalla vostra Santità, il nostro povero popolo si trova nel strazio della coscienza.Perché sarebbe proibito per noi altri di posare il piè pel nostro diritto, cosa permessa chiara dalla Santa Sede negli altri casi?
Noi non vogliamo altro che il semplice diritto dell'ugualità della lingua nostra, e qui, non ci troviamo sostegno presso il nostro Vescovo. Ora, mentre il diritto della nostra, lingua materna e lo sviluppo della nostra nazione stanno per effettuarsi, il nostro Arcivescovo adopera tutta la Sua autorità per combattere quel che abbiamo già ottenuto e per impedire le altre conquiste che potrebbero condurre al nostro disegno.
Nessuno negherà ad un Vescovo il diritto di mischiarsi nelle
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cose politiche purché queste non vengono in conflitto coi Suoi doveri morali e gli ordini del Papa vengono seguiti. Ma noi sappiamo pure che i Pontefici, e specialmente Sua Santità il Papa Leone XIII, ha spronato più volte il Clero di adoperare la moderazione nelle cose politiche. Noi ci ricordiamo le parole di Leone XIII nel Suo Enciclico "Constanti Hungarium'' dell'11 Settembre 1893: "I Chierici devono andare a lavorare nelle cose politiche con avvertenza ed essi non se ne devono occupare più ch'è necessario. Essi penseranno spesso alla parola di San Paolo: Nemo militans Deo, implicat se negotiis saecularibus: ut ei placeat, cui se probavil." (II. Tim. II,4)
"Certo, non si possono" – come dice San Gregorio Magno – "trascurare le cure esteriori, quand'esse servono agl'interessi interiori; vale a dire: quando queste vengono adoperate da difendere della religione e servono da ben essere dell'umanità; allora non si possono lasciare quei mezzi, i quali vengono ammessi secondo i tempi e le circostanze. Ma però è necessario la più grande circospezione e la massima attenzione, acciocché i Chierici non oltrepassino i confini del loro posto e non si mostrino di essere più mondani che celesti."
Quando noi lavoriamo pure nel tempo della guerra all'incoraggiamento del popolo Fiammingo, siamo convinti d'agire in accordo col diritto umano e colla dottrina della Santa Chiesa. Perciò crediamo che noi non siamo colpevoli nella nostra coscienza. Noi sappiamo le magnifiche parole della Sua Santità, il Papa Leone XIII, nel Suo Enciclico "Immortale Lei", del 1 Novembre 1885; che nessun Cattolico fedele, di cui si conosce
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l'affezione alla Santa Sede, per la sua persuasione nell'affare di Stato, si possono accusare del danneggio o del vilipendio della fede Cattolica.
Noi non crediamo che il nostro modo d'agire venga in conflitto coll'opinione della Sua Santità, il Papa Leone XIII o degli altri Papi.
Colla vera confidenza nella Vostra Sapienza e la Vostra giustizia, noi ci rivolgiamo a Voi, Santo Padre.
La Vostra Santità sia per noi altri un giudice retto ed un Padre buono, che ha compassione dei Suoi figli, i quali combattono pei loro diritti più cari; e che La Vostra Santità potesse riconoscere il diritto del nostro popolo nella sua lingua propria e sulla propria sorte.
Liberateci dal peso dal quale siamo caricati, dalla misura politica del nostro Arcivescovo, e del quale i nostri Confratelli degli altri Vescovadi non conoscono nulla.
Aiutateci nella nostra anzietà [sic] di coscienza.
Siate voi, Santo Padre, il nostro Aiuto ed il Liberatore nella nostra oppressione, nella quale noi ci siamo trovati; poiché la nostra aspirazione non viene apprezzata.
Abbiate pietà della nostra situazione ed aiutateci per acquistare la vittoria in quest'affare sì caro e retto pel nostro popolo in questi tempi sì tribolati.
Avendo noi, Ossequioso, soggettoso [sic] e colla massima confidenza depositate le nostre anzietà [sic] innanzi al Trono Vostra,
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noi preghiamo Vostra Santità di volerci concedere la Vostra Benedizione Apostolica.
Brusselles il 15 Settembre 1917.
(Seguono le firme, in tutto: 112.)
Empfohlene Zitierweise
Verhees, Emiel, La traduzione, Brüssel vom vor dem 05. Oktober 1917, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 430, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/430. Letzter Zugriff am: 20.04.2024.
Online seit 24.03.2010.