Dokument-Nr. 6738

Ojetti SJ, Benedetto : [Kein Betreff]. [Vatikan], vor dem 23. August 1919

[Votum]
Num. II
Emi Padri,
Mons. Nunzio di Monaco insiste per avere la soluzione di una questione, che è sorta in Baviera all'occasione delle recenti vicende politiche, e che presenta una tal quale urgenza. In base al Concordato colà vigente, allorché si trattava di nominare dei parroci, i Vescovi proponevano al Real Governo una terna di candidati, per poi nominare e canonicamente istituire il prescelto. Caduto il Governo reale e succeduti ad esso dei nuovi Governi, debbono i Vescovi regolarsi come in antecedenza o la linea di loro condotta in proposito deve cambiarsi a norma delle cambiate condizioni?
Mons. Uditore della Nunziatura, in assenza di Mgr. Nunzio, riceveva ed inviava a Roma una istanza dell'Arcivescovo di Monaco e Frisinga diretta alla soluzione della questione. La Segreteria di Stato con somma prudenza rispose che la S. Sede era disposta ad esaminare le esigenze della nuova situazione, quando la Baviera avesse ottenuto un Governo che presentasse garanzie di stabilità e desiderio di trattare in proposito con la S. Sede; intanto i Vescovi, senza pregiudizio dei principi canonici e senza compromettere la S. Sede si regolassero da loro, soltanto in via di fatto, costituendo possibilmente economi parrocchiali.
Però questa soluzione della questione, pratica e in via di fatto, mentre da un lato lasciava sussistere la questione
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di diritto, dall'altro si incontrava in difficoltà pratiche non lievi. La maggiore di queste, che credo sia quella che rende malcontento il clero, il quale vorrebbe quindi che i Vescovi seguitassero senz'altro col nuovo Governo il modo usuale della presentazione della terna, è una questione puramente canonica <economica>1.Gli economi parrocchiali ricevono dal Governo una pensione assai inferiore a quella dei parroci.
Dal punto di vista giuridico i giudizi e la conseguente prassi dei Vescovi non è concorde. Fu richiesto di un suo voto Mons. Hollweck, meritamente stimato per la sua scienza canonica, il quale poggiandosi sulla dottrina dell'Emo Cavagnis rispose per l'affermativa, giudicando che si dovesse continuare a presentare le solite terne, essendo ancora in vigore il Concordato, che le ha sanzionate. L'argomento, su cui egli si fonda, è il solito e notissimo argomento, che il Concordato è un patto conchiuso tra la S. Sede e il popolo o la nazione di cui si tratta; il soggetto che rappresenta la nazione può variare, la nazione rimane; rimangono quindi i patti con lei conchiusi, qualunque modificazione essa introduca su chi debba legittimamente rappresentarla. Argomento questo del tutto cogente e inconfutabile, se fosse vero e indubitato il principio su cui si fonda. Io però debbo confessare che non fui mai convinto di questo principio e ho sempre visto con dolore che esso fosse da tanti dotti canonisti asserito e portato nelle loro argomentazioni come uno di quei principi di piena evidenza, dei quali nessuno è tenuto a dare la prova. Io anzi credo di più che se i bravi canonisti, a cui ho accennato, dovessero portare una prova qualsiasi della loro asserzione, si troverebbero nel massimo imbarazzo, e proverebbero col fatto che in riguardo a questo principio è accaduto quello che accade assai spesso in casi simili. Si gitta là una asserzione non ben ponderata, forse da chi ha meritata stima e fama di dotto, e gli altri che seguono, spesso dii minorum gentium, ricopiano religiosamente la frase e finiscono per farle acquistare il veleno di un assioma. Dove infatti è fondata nel caso nostro l'asser-
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zione suddetta, se prescindiamo da una estrinseca autorità assai discutibile, e ci interniamo invece nell'esame intimo dei Concordati? Se il Concordato è un patto (accettiamo pure per amore di brevità nella discussione questa teoria), l'intima forza di esso è da dedursi esclusivamente dalla volontà dei contraenti. Con chi l'uno e l'altro dei contraenti intende di celebrare il contratto, e a chi l'uno e l'altro intende obbligarsi? Come in ogni patto, così anche nei Concordati la risposta a questa questione non può esser data se non dalla espressione stessa della intenzione degli stipolanti, che è conservata nella materiale formulazione del patto. Ora io non credo che vi siano Concordati, o almeno sono eccezioni, nei quali si dica che la Chiesa contrae con una nazione; si dice invece sempre che il S. Padre regnante contrae col Principe o Capo di Stato. Così ad esempio il Concordato con l'Austria è così concepito: "Conventio inter Sanctitatem Suam Pium IX Summum Pontificem et Maiesta te m Suam...Franciscum Iosephum I Imperatorem Austriae. In nomine SSmae et individuae Trinitatis Sanctitas Sua...et Maiestas Sua...concordibus effecturi studiis ut...sollemnem inire conventionem decreverunt".
So bene che il Capo di uno Stato interviene in un Concordato come persona pubblica, allo stesso modo che come persona pubblica vi interviene il Papa. Ma né l'uno né l'altro vi intervengono come rappresentanti o procuratori della Società, cui presiedono. È l'autorità sociale della Chiesa e dello Stato che contraggono, non è la Chiesa in quanto dice la comunità dei fedeli, né lo Stato in quanto dice la nazione. Il che a me sembra tanto più certo, in quanto, se si riflette, il Concordato non riguarda i fedeli da un lato e i cittadini o i membri della nazione dall'altro, se non in quanto essi saranno sottomessi alle decisioni pratiche che risultano dal Concordato e che sono loro imposte dalle rispettive autorità sociali dentro l'ambito a cui sono loro soggetti.
Quindi, se io non mi inganno, deve dedursi che quando l'autorità sociale cambia, non nell'individuo che la possie-
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de, ma nella stessa sua natura e specie di autorità, il Concordato decade. Ora questa mutazione, che si riferisce alla natura o alla specie stessa della autorità, la quale non può verificarsi nella Chiesa, in cui la costituzione e i diritti della suprema autorità sociale sono definiti da un immutabile diritto divino, può benissimo verificarsi e si verifica di fatto nello Stato, nel quale e il soggetto della autorità e i limiti dentro i quali essa gli è conferita, dipendono dalla nazione cioè dai membri della società.1
Quindi è che, come col succedersi dei vari Re in un Regno o dei vari Presidenti in una Repubblica, il Concordato persevera e si mantiene, così al contrario decade quando un Regno si muti in Repubblica o una Repubblica in Regno.
Capisco la difficoltà che a tutto ciò si può opporre, dedotta dalla prassi. Sia ad esempio il Concordato Francese conchiuso con Napoleone, che la S. Sede ha ritenuto valere ancora quando l'Impero si convertì in Repubblica, e che non fu denunziato dai Poteri repubblicani se non con protesta da parte della S. Sede. E la protesta fu certamente gravissima come fu grandemente ingiuriosa la denunzia, né solo a ragione del modo. Però io non credo che al momento del cambiamento il Concordato rimanesse in valore; esso per natura delle cose decadde. Ma vi intervenne subito una ratifica o una rinnovazione di fatto. Continuando di mutuo tacito accordo le due autorità, lo [sic] pontificia e la repubblicana, a regolarsi nelle scambievoli relazioni a norma dei patti concordatari, cui tacitamente furono ratificati e rinnovati, e quando nel 1905 il Concordato fu denunciato dalla Francia, essa inflisse alla S. Sede, anche prescindendo dal modo della denunzia, una ingiuria atroce, contro la quale essa protestò giustamente.
Quindi io sono d'opinione che il Concordato bavarese è decaduto nei riguardi del nuovo Governo, e quindi debbo con dispiacere dissentire dall'opinione di Mons. Hollweck ed anche da quella di Mons. Nunzio, che ritiene essere esso rimasto in vigore nel suo complesso. Però
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veggo con piacere che Mons. Nunzio, quantunque nel suo Rapporto abbia formulato il giudizio su riferito, parlando genericamente, non sembra poi mantenerlo quando si scende ai particolari. Esso infatti prosegue: "ma sembra che sarebbe lecito di domandarsi se l'eccezione, ammessa espressamente da Mgr. Hollweck per il diritto di nomina alle sedi vescovili vacanti, non valga altresì per la presentazione alle parrocchie e ai benefizi non concistoriali". E a confortare questa sua osservazione apporta tre argomenti validissimi, che cioè i privilegi contra ius, quale è questa del diritto di nomina e di presentazione, debbono interpretarsi strettamente e perciò sono da ritenersi piuttosto come personali che come reali; che la nuova Repubblica potrebbe non presentare alla S. Sede quelle garanzie che presentava il Re di Baviera, al quale detto diritto fu concesso; che lo stesso Emo Cavagnis insegna il diritto regio di patronato non concedersi generalmente al Principe del territorio, ma ad una determinata dinastia o almeno ad una determinata corona. Argomenti assai gravi, che non veggo quanto siano in armonia coll'affermazione fatta di sopra, ma che a mio credere furono strappati al sottile ingegno e alla grande rettitudine di Monsignor unzio [sic] dall'avere, forse anche incoscientemente, intuito il grave imbarazzo in cui si troverebbe la S. Sede se o dovesse riconoscere in favore del nuovo Governo il permanente valore del Concordato, o fosse costretta a denunziarlo tirando con ciò su i cattolici della Baviera l'odio e il risentimento di un Governo certo non devoto, forse anche apertamente ostile, alla Chiesa.
E dissi a ragione: argomenti assai gravi, come ognuno può persuadersi solo che per poco li consideri, e tra i quali gravissimo è fra tutti, a mio avviso, quello della minore garanzia che nel caso potrebbe incontrare la S. Sede.
Poiché se è regola di diritto che "in generali concessione non veniunt ea, quae quis non esset verisimiliter in specie concessurus" (reg. 81 iuris in 6.º), e ciò appunto perché, come commentano i Dottori, qualunque concessione deve estendersi fino, e non oltre quei
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limiti, che sono definiti dalla espressa o dalla presunta volontà del concedente, non potendosi la concessione, che dipende essenzialmente dalla volontà del concedente, estendersi al di là di essa; io non veggo come lo stesso principio non si estenda al caso, in cui non trattisi dell'oggetto della concessione (e per la stessa ragione del patto), ma trattisi del soggetto e della sua mutazione. Come potrebbesi non ritenere prodiga la S. Sede, che stringesse dei patti o facesse delle concessioni, il cui oggetto fosse così delicato come la nomina dei parroci e la presentazione dei vescovi, quando questo patto o questa concessione dovesse intendersi estesa anche ad un eventuale soggetto o non cattolico o anche persecutore sia pure in guanti gialli, come suol dirsi? Quindi io opino che una concessione fatta o un Concordato conchiuso (il quale comprenderà certo più di una concessione) con un Principe cattolico, decade senza altro, se succede un Principe acattolico o almeno quel tale non cattolico.
Né è a dirsi che il Concordato è una legge pontificia insieme e civile promulgata per una particolare nazione allo scopo di definire le relazioni tra la Chiesa e lo Stato. Perché, se io non erro, questa definizione non tanto si addice al Concordato riguardato nella sua natura, quanto piuttosto si appropria allo stesso Concordato riguardato nei suoi effetti. Quindi non può dirsi che il Concordato, se ne studiamo l'essenza, sia una legge, la quale abbia quindi i caratteri propri della vera legge, tra i quali precipuo quello della perpetuità, almeno sulla intenzione del legislatore; esso nella sua essenza è un patto (per rimanere nella terminologia già adottata), dal quale risulta come effetto l'obbligo imposto dai contraenti ai loro sudditi, obbligo che dura quindi tanto, quanto dura il patto, di cui è effetto, e che cessa con esso, perché un effetto dipendente nella sua esistenza da una causa non può sussistere quando essa venga meno.
Io quindi credo che con la mutazione del Governo avvenuta in Baviera il concordato già concluso coi Re di Baviera
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è decaduto del tutto. Però potrebbe risorgere non solo con una espressa rinnovazione, ma anche con una rinnovazione tacita, che si potrebbe avere anche in una tacita acquiescenza da parte della S. Sede e del nuovo Governo. Ora è bene che la S. Sede o apertamente ratifichi il concordato o metta da parte sua questa acquiescenza che avrebbe e certo potrebbe avere il carattere di tacita rinnovazione?
Per rispondere a questa questione è evidentemente da tener conto in primo luogo delle presenti condizioni della Baviera. Esse ci sono chiaramente esposte da Mons. Nunzio, il quale non solo le ha potute constatare di persona ma col suo fine intuito le ha sapute vagliare e apprezzare nel loro valore. Ora dal suo Rapporto si deduce che l'attuale Governo non presenta alcuna vera stabilità; che esso è rappresentato da uomini ostili alla Chiesa; che si tende a gran passi in Baviera alla separazione officiale dello Stato dalla Chiesa. La costatazione di questo triplice stato di fatto costituisce, a mio giudizio, un triplice argomento per rispondere negativamente alla questione proposta. Quindi io penso, e mi sembra convenire in ciò anche Mgr. Nunzio, che sia più decoroso per la S. Sede e praticamente più espediente l'attendere l'ulteriore svolgersi dei fatti, non compromettendosi intanto né con teoretiche né con pratiche ricognizioni in favore del nuovo Governo; ritenendo anzi come principio regolatore nella pratica che simili mutazioni di Governo importano la decadenza di qualunque Concordato e di qualunque concessione fatta dalla S. Sede agli antichi Governi. Questo principio a me sembra tutelare da una parte la libertà della Chiesa e preservarla da danni pressoché certi; e dall'altra non impedire nessun vantaggio alla Chiesa. E questo non solo per la Baviera, ma in genere. Dovunque si va alla democrazia; questa sarà o cristiana o acristiana se non anticristiana. In questa seconda ipotesi, che disgraziatamente è la più probabile, sarà assai più decoroso questo dignitoso riserbo che impedirà anche l'insulto di una scortese denuncia del Concordato da parte del Go-
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verno; nell'altra, purtroppo meno probabile, ci sarà sempre tempo di trattare e di intendersi con un Governo bene intenzionato.
Quanto poi al caso pratico della presentazione alle parrocchie e ai benefizi in Baviera, potrebbero forse i Vescovi tentare di nominare senz'altro i parroci, dando poi al Governo comunicazione della nomina fatta. Se il Governo non protesta e paga gli assegni dovuti, tanto meglio. Nel caso contrario i Vescovi potrebbero presentare alcuni candidati, non tre, alla scelta dello stesso Governo. Tutto questo in via di fatto, senza compromettere in alcun modo la S. Sede. Ho detto di non presentare tre candidati, per adottare un modo diverso da quello già seguito a norma del Concordato. Ciò avrà il vantaggio che non si possa pretendere avere la S. Sede tacitamente confermato il Concordato stesso.
Questo, Padri Emi, il mio pensiero che rimetto incondizionatamente all'illuminato vostro giudizio, domandando venia se per l'urgenza della cosa e la conseguente ristrettezza del tempo l'ho espresso troppo astrattamente.
Intanto ecc.
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(1) Tale affermazione non è efficacemente contraddetta dall'asserzione di qualche autore che i Concordati siano da annoverarsi tra i Trattati internazionali.
I Concordati infatti non possono dirsi Trattati internazionali, se non al più prendendo questo nome nel suo senso ge nerico; ma non possono affatto dirsi tali, se il nome si prenda nel suo senso specifico. E difatto in questo senso specifico essi dicono un patto fra due società pubbliche o fra due Stati, i quali per conseguenza si trovino in parità di condizione o di giurisdizione tra loro. Ora la Chiesa è società superiore, anzi suprema; quindi i patti da lei conclusi con gli Stati civili non sono, specificamente parlando, Trattati internazionali. Ciò è tanto vero, che gli stessi scrittori e giuristi civili ricusano, partendo dal principio diametralmente opposto della superiorità dello Stato e della inferiorità della Chiesa, il carattere di Trattati internazionali ai Concordati. Sia ad es. il Contuzzi (Diritto internazionale pubblico p. I cap. 10), il quale dice: "È elemento essenziale per la esistenza di un Trattato, che esso sia conchiuso tra due Stati. Non sono da considerarsi come Trattati né gli accordi tra un Governo ed un privato (contratti), né quelli tra un Governo e la S. Sede (concordati)." E altrove (p. I cap. 2): "I Concordati non si possono ritenere come Trattati nel senso tecnico, in cui la parola Trattato si trova adoperata nella terminologia". Egli anzi, coerentemente ai suoi principii, ammette che la S. Sede potesse stringere veri Trattati, finché ebbe il potere temporale e fu vera Potenza, non già dopo; ché anzi "da quando gli Stati della Chiesa vennero annessi al Regno d'Italia (1871), allora caddero tutti i Trattati già esistenti tra la Chiesa cattolica e tutti gli altri Stati; conseguentemente rimasero intatti i Concordati, che la S. Sede teneva con le varie Potenze."
1Hds. gestrichen und eingefügt von unbekannter Hand, vermutlich vom Verfasser.
Empfohlene Zitierweise
Ojetti SJ, Benedetto, [Kein Betreff], [Vatikan] vom vor dem 23. August 1919, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 6738, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/6738. Letzter Zugriff am: 16.04.2024.
Online seit 04.06.2012, letzte Änderung am 14.04.2014.