Dokument-Nr. 7105

[Erzberger, Matthias]: Le commemorazioni del 4 Agosto in Berlino e in Londra, 09. August 1917

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Nel palazzo del Reichstag in Berlino e quasi contemporaneamente, nel Queenshall di Londra, hanno avuto luogo, il 4 agosto, solenni commemorazioni del terzo ricorso del giorno in cui l'odierna guerra immane si scatenò sul mondo. Ebbene, se si confronta il carattere delle due solenni commemorazioni del medesimo avvenimento ne risulta una differenza a vantaggio della Germania tale che anche l'estero non potrà a meno [sic] di parlar di una vittoria morale di lei riportata in questo giorno.
L'invito alla festa commemorativa tedesca era stato diramato dal Presidente del Reichstag: l'invito alla festa inglese da un "Comitato per gli scopi di guerra nazionali" di nuova costituzione, sul quale nulla si sa di preciso ma che, a giudicare dal risultato dell'adunanza, sembra destinato a mantener viva la volontà di guerra fra gl'Inglesi. Il discorso d'apertura del Presidente del Reichstag, dottor Kaempff, corrispose, nel suo contenuto, pienamente alla dichiarazione onde, due settimane addietro, (il 19 luglio), la maggioranza del Reichstag manifestò la sua volontà di una pace per via d'accordo e di accomodamento: di una pace che esclude ogni acquisto territoriale forzato e violamenti [sic] politici, economici e finanziari. Ma nel suo discorso il dottor Kaempff definì pure chiaramente una temerarietà quella dell'Intesa di bramare anche solo
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un palmo di territorio tedesco. Egli terminò il suo discorso così:
"La parola d'ordine del 4 agosto 1916 fu: "Noi non combattiamo una guerra di conquista!" Il 4 agosto 1917 noi ripetiamo, ad alta voce, il medesimo ai nostri nemici. Su essi ricada la responsabilità se non accetteranno la pace loro offerta e, d'altra parte, siano sicuri che noi manterremo affilata la nostra spada sino al raggiungimento della pace che ci è necessaria per mettere al sicuro la nostra patria e il nostro libero sviluppo. Questo noi giuriamo solennemente ricordando il 4 agosto 1914."
Dopo il Presidente del Reichstag i rappresentanti dell'agricoltura, delle città, degli operai, dei commercianti e degli industriali tedeschi dichiararono la loro fedeltà senza riserve alla causa della patria; la ferma volontà di sopportare anche i più gravi sacrifici per rintuzzare un nemico che vuol sconfiggere, dilaniare la Germania e sdegna una pace per via d'accordo; la seria intenzione di lavorare insieme, pur dopo la cessazione delle ostilità, per dare all'Impero sicurezza nei suoi confini e ai suoi abitanti un avvenire tranquillo e felice. Tutto questo fu confermato con speciale efficacia nelle brevi parole che il Cancelliere diresse ai presenti, al termine della riunione:
"Noi vogliamo tramandare intatta alle generazioni venture l'eredità ricevuta dai nostri padri. Noi vogliamo preservare i nostri figli e nipoti
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dalla sciagura della guerra. Noi vogliamo far sicura la nostra patria con una pace forte e saggia, affinché lo spirito tedesco abbia per sempre un solido campo per attuarsi."
Queste parole possono bene considerarsi come una professione di fede del popolo tedesco. Il popolo tedesco vuol tramandare la Germania intatta ai posteri dopoché l'ha vittoriosamente difesa da un nemico di numero dieci volte superiore, che mirò, ed ancor mira, a strozzarla, sbranarla, rimpiccolirla. Il popolo tedesco non vuol però violentare né umiliare nessuno, ma solamente assicurare il suo avvenire e la libertà del suo sviluppo nazionale, economico, intellettuale. Il popolo tedesco vuol conseguir ciò mediante un accomodamento giusto e ragionevole, al quale, a dir vero, sino ad oggi, l'Intesa non si mostra disposta. In tutto ciò che nella cerimonia commemorativa di Berlino fu detto, come pure nel telegramma inviato all'Imperatore, non si nota una parola baldanzosa, vanagloriosa o di odio contro i popoli dai quali la Germania si deve difendere. Calmo, consapevole e sicuro della bontà della sua causa, il popolo tedesco, al limitare del quarto anno di guerra, ha manifestato ciò che per lui significa questa lotta spaventosa. È stata, insomma, una dimostrazione degna del suo carattere, delle sue tradizioni. Che questo giudizio sia imparziale lo ammetterà chiunque abbia partecipato alla commemorazione o abbia letto una relazione essa. Di un carattere
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affatto diverso è stata, invece, la cerimonia nel Queenshall di Londra, specie per il discorso di Lloyd George: discorso tipico di un demagogo divenuto nervoso e che cerca di persuadere i suoi uditori con ogni sbrigliatezza di forma e volgarità di pensiero. Lloyd George ha voluto far animo al suo paese e agli alleati e non si è vergognato, sebbene Primo Ministro, di ricorrere ai trucchi, agli svisamenti, alle metafore e alle spacconate più dozzinali, come sogliono i tribuni di scarto d'ogni paese e, in Inghilterra, i giornali di Lord Northcliffe. Tutti gli argomenti, le accuse, i paroloni ad effetto e le promesse che ritenne potessero anche lontanamente contribuire a ravvivare l'entusiasmo dei suoi uditori e lettori per la guerra Lloyd George li ha affastellati nel suo discorso. Non è privo d'interesse, anzi fa piacere di accertare che oggi, in Inghilterra, siano divenuti necessari metodi simili. Non pochi periodi del discorso rivelano che la corrente pacifista in Inghilterra va ingrossando. Lloyd George ha parlato di "certa gente" che adesso, con insistenza sempre maggiore, domanda perché mai l'Inghilterra non faccia la pace. Il numero di questi interroganti sembra che sia così grande da ispirare una certa inquietudine a Lloyd George e da spingerlo a sciorinare le più strampalate supposizioni per riattizzare il fervore bellico.
Fra l'altro egli ha detto che l'Inghilterra e i suoi alleati devono vincere la "più pericolosa congiura che sia stata mai tramata contro la libertà dei
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popoli." Egli ha accennato alle "rivelazioni sul consiglio della Corona in Potsdam, poche settimane prima della guerra", pubblicate dal "Times" e che adesso, a dispetto della smentita ufficiale tedesca, si seguitano a sfruttare e a diffondere. La storiella che il 5 luglio 1914 ebbe luogo in Potsdam, sotto la Presidenza dell'Imperatore, un consiglio austro-tedesco nel quale fu discusso l'ultimato austriaco e tutte le possibili conseguenze, venne pubblicata il 26 luglio u. s. dal "Times", come rivelazione destinata a fare immenso rumore, ma già il 31 dello stesso mese venne smentita categoricamente da fonte ufficiale tedesca. "Né nel giorno indicato, né in un altro giorno del mese di luglio ebbe luogo un tale consiglio in comune né con, né senza la partecipazione dell'Imperatore." La smentita confermò nuovamente che "il Governo germanico si astenne da qualsiasi ingerenza nella redazione dell'ultimato austriaco alla Serbia e che il contenuto di questo ultimato, prima del suo invio, rimase assolutamente ignoto al Governo di Berlino." Nonostante questa esplicita dichiarazione, Lloyd George non si è peritato di accogliere nell'arsenale della sua eloquenza demagogica la favola del "consiglio della corona [sic] in Potsdam", di cui già, poco prima, con una alzata di spalle, perfino il collega Lord Robert Cecil, imbarazzato, aveva mostrato di non voler sapere. La verità è che ad una "congiura contro la libertà dei popoli" le Potenze centrali non pensarono mai (la Bulgaria e la Turchia si decisero, del resto, a mettersi a fianco degli Imperi alleati solo
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durante la guerra), mentre, invece, l'Intesa, per accerchiare e isolare la Germania, ordì un vero complotto ideato primamente in Londra, nella città, ossia, dove ora Lloyd George cerca di capovolgere i fatti. Ma la politica d'accerchiamento di Re Edoardo contro la Germania è un fatto storico incontrovertibile, che non si può sopprimere tentando, come fa Lloyd George, di attribuire alla politica della Germania prima della guerra tendenze simili. Nello svolgere il suo ordine di pensieri Lloyd George ha pure domandato ipocritamente che cosa, in considerazione della "congiura tedesca", sarebbe accaduto se l'Inghilterra non fosse intervenuta nella guerra. Secondo Lloyd George il trionfo militare della Germania e la rovina dell'Europa sarebbero stati inevitabili, sicché l'Inghilterra ha il merito insigne di aver preservato i popoli d'Europa dalla sopraffazione tedesca. Ma se ciò è capace di far impressione, non per questo è meno falso. Il compito dell'Inghilterra avrebbe potuto essere grande e benefico se non si fosse trovata impigliata nei lacci e nei tranelli diplomatici della sua politica d'accerchiamento contro la Germania e se fosse stata in grado di collocarsi sopra i partiti guerraioli della Russia e della Francia. Se l'Inghilterra, prima dello scoppio della guerra, non fosse stata legata dalla sua politica d'accerchiamento e dagli istigatori russi e francesi della guerra avrebbe potuto minacciare, con tutto il peso della sua ostilità, chi avesse mostrato di voler violare per il primo la pace. A rendere impossibile questa politica avevano però provveduto Re Edoardo, i
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giornali di Lord Northcliffe e Sir Edward Grey. Lloyd George sa naturalmente che se l'Inghilterra non fosse stata pronta a intervenire nella guerra, né la Francia né la Russia avrebbe osato marciare. La pace non sarebbe stata rotta. Ma una politica inglese la quale da anni aveva lavorato all'isolamento della Germania, aizzato lo sciovinismo francese e incoraggiate le velleità espansionistiche della Russia, non poteva, in verità, battere questa strada senza romperla interamente con il passato, Lloyd George, enumerando agli alleati mormoranti tutto ciò che l'Inghilterra ha compiuto, sembra che abbia dovuto distoglierli dal considerare la vera concatenazione delle cause e degli effetti, e specialmente far dimenticare ai più piccoli che le loro speranze nell'Inghilterra, che li spinsero ad intervenire nella guerra, hanno fatto miseramente naufragio. Lloyd George sa benissimo, come si è detto, che la guerra fu resa possibile esclusivamente dall'Inghilterra e che solo le assicurazioni di essa trascinarono tanti Stati nel vortice. Ciò spiega anche la sua domanda retorica se forse l'esercito serbo e l'esercito belga avessero pensato di marciare su Berlino. Sicuramente per conto proprio né l'uno, né l'altro volle ciò. Ma i Governi di Bruxelles e di Belgrado confidarono nella loro grande alleata, nelle cui mani riposero la sorte dei loro popoli, sotto la cui garanzia scesero in campo. Ed ora che questa garanzia inglese si è rivelata una speranza fallace; ora che, per esempio, la Serbia e la Rumenia soffrono le conseguenze di questo disinganno e, assai probabilmente, fanno sen-
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tire all'Inghilterra la loro grave delusione, Lloyd George scarica sulla Germania la colpa e cerca di trasformare il malumore degli alleati in un sentimento di eterna gratitudine verso l'Inghilterra.
Quanto ci tenga Lloyd George a rafforzare la volontà di guerra dell'Intesa lo dimostra la sua temeraria supposizione che la Germania non intende rinunziare alle annessioni. Lloyd George dice ciò nonostante la "risoluzione" del Reichstag, le molteplici dichiarazioni del Cancelliere Dr. Michaelis e il proclama dell'Imperatore del 1 agosto! Senza badare alla qualità, Lloyd George si giova di qualunque mezzo che possa servire alla sobillazione della pubblica opinione contro la Germania.
Le sue inaudite arti demagogiche dimostrano che la situazione dell'Inghilterra non è buona. Né egli può nascondere la catastrofe russa, sebbene in ogni periodo del suo discorso dica una menzogna o per lo meno una verità alterata. Ma Lloyd George si consola e consola i suoi uditori a modo del giocatore spensierato, affermando che tutte le strade hanno scese e salite e annunziando in tono profetico di vedere "chiaramente la mèta che conduce di nuovo in alto." Lloyd George scorge questa mèta, chiaramente, già da tre anni, ma non riesce a far credere che vi si sia avvicinato. Egli lo tenta, sì, prendendosela con quelli che incalzano per una prossima conclusione della guerra e il cui numero, in Inghilterra, è, evidentemente, cresciuto tanto che Lloyd George e gli altri fanatici di Marte, incapaci di metter giu-
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dizio, anche dopo tre anni, credono di dover fare qualche cosa per rialzare lo spirito del popolo. Lloyd George ha paura del nemico interno. Egli scongiura, minaccia. Non solamente i pacifisti sono per lui un grave pericolo ma anche il gran numero dei malcontenti, dei partigiani, dei critici che, biasimando e brontolando, corrono dietro al carro del Governo e vogliono fermarlo. Lloyd George paragona la nazione ad un alpinista, che dispera di giungere sulla cima, torna indietro, e poi, più tardi, rimprovera se stesso accorgendosi quanto vogliono egli si fosse spinto alla mèta. L'Inghilterra sarebbe oggi in questa condizione. Sennonché questo paragone ricorda molto da vicino le parole pronunziate da Churchill in un discorso elettorale nell'estate del 1915. Parlando dell'impresa dei Dardanelli, Churchill disse, allora, che poche miglia intercedevano da una vittoria quale il mondo non aveva ancora veduta. Sennonché, pochi mesi appresso, l'esercito dell'Intesa scompariva, nottetempo, dalla costa fatale dei Dardanelli. Anche fra gli Inglesi non mancano oggi quelli che son stufi delle eterne profezie, che rassomigliano troppo alle vantazioni [sic] di biscazzieri. Per esempio il "Daily Mail" scriveva, non è molto, in un articolo di fondo intitolato "Ottimismo inopportuno":
"Troppo il paese ha imparato, durante la guerra, perché possa affidare ciecamente la sua sorte nelle mani di Ministri e funzionari. Fra coloro che conoscono i particolari delle perdite
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sul mare predomina il sentimento che l'ottimismo ostentato da alti funzionari è immotivato. I consiglieri del Primo Ministro stimano forse opportuno di assumere una posa ottimistica per ingannare il nemico, ma c'è gran pericolo che invece il paese venga ingannato."
E pochi giorni fa, la rivista settimanale "Truth" dichiarava al Governo che il popolo vuole finalmente altro che venir periodicamente rimandato alla vittoria sicura nella prossima primavera o nel prossimo autunno. Il popolo vuol finalmente sapere come si pensi di metter fine alla guerra. Ma Lloyd George, nel suo discorso, non ha appagato questo desiderio. Egli ha parlato di nuovo, come nel passato, della vittoria, pure avendo dinanzi agli occhi la disfatta della Russia e il fiasco dell'offensiva inglese nelle Fiandre. Naturalmente egli ha convertito questa disfatta in una vittoria dell'Inghilterra, né si è vergognato di far cenno degli avvenimenti cruenti in Fiandra con parole indegne di un Presidente del Consiglio e di un popolo che si rispetta. Egli ha detto: "Simili battaglie ci occorrono, esse fanno piacere ad entrambe le parti." L'aver avanzato tre chilometri, l'aver fatto prigionieri e distrutto alcune trincee tedesche costituiscono per lui un trionfo dell'Inghilterra. Un trionfo tre chilometri di terreno guadagnati in pochi punti del fronte d'attacco, lungo venticinque chilometri? Lloyd George è divenuto davvero assai modesto! Egli
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ha menato vanto dei prigionieri che le truppe inglesi avrebbero fatti, ma ha taciuto le perdite terribili da esse riportate, perdite, che, secondo calcoli attendibili, stanno alle tedesche nel rapporto di 10:1. L'obiettivo tedesco sullo scacchiere occidentale è la resistenza all'attacco del nemico, invece quello dell'Inghilterra era ed è lo sfondamento del fronte tedesco, l'indebolimento della difesa tedesca e l'annientamento della base d'operazione dei sottomarini sulla costa fiamminga. Nulla di tutto ciò è stato raggiunto. Il primo Ministro inglese ha affermato che l'avanzata degli Inglesi procede lenta ma sicura. Il generale Haig, però, – sia osservato tra parentesi – al principio d'aprile, aveva già ordinato i cinematografisti per il suo ingresso trionfale in Bruxelles, verso cui, oggi, dopo quattro mesi, su tutto il fronte d'Arras non si è avvicinato che di sei chilometri e nelle Fiandre solo di tre!
Lloyd George si è sforzato in ogni modo di convertire gl'insuccessi nelle Fiandre in una vittoria inglese perché teme gli effetti deleteri della politica di pace tedesca sugli alleati, e perfino sugli Inglesi stessi. Egli teme pure gli effetti della rivoluzione russa, e va notato che nel suo discorso egli è insorto contro l'istituzione di consigli di operai e soldati secondo l'esempio russo, ed ha parlato dell'introduzione di metodi pericolosi nell'esercito inglese, del sotterramento dell'autorità, delle "organizzazioni" che pretendono "di dirigere la guerra o di dettare la pace." Brutte
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realtà, queste, ma innegabili. Infatti, in Inghilterra, esiste un comitato che prepara la costituzione di consigli di operai e soldati e che in un congresso generale vuol deliberare sulla organizzazione di tutte le forze del ceto operaio per ottenere la pace con l'intervento del popolo nella politica dei Governi belligeranti. Ciò dimostra chiaramente che non è più lontana l'ora in cui il popolo inglese ne avrà piene le tasche delle vane promesse e delle forsennate istigazioni e cercherà nuove vie e nuovi uomini per metter fine alla guerra.
La Germania ha indicato più d'una volta la via, che è quella dell'accordo e delle mutue concessioni. Ma appunto questo è ciò che Lloyd George e i suoi complici non vogliono, perché dimostrerebbe l'inconsistenza delle ipotesi onde s'indusse ad assumere il potere. Con frasi volgarissime Lloyd George ha asserito che il nuovo Cancelliere e l'Imperatore hanno incespicato nella parola "reintegrazione" la quale è la prima lettera dell'alfabeto della pace, che i soldati inglesi insegneranno ai Tedeschi. Ma Lloyd George non ha detto chiaramente che cosa egli intende con questa reintegrazione. Probabilmente egli pensa anche all'Alsazia-Lorena. E se è così i discorsi del Presidente del Reichstag e del Cancelliere gli han dato già la debita risposta. Nel rimanente la Germania non si lascia dettar questa parola. La Germania deve l'aver [sic] potuto preservare, quasi interamente, dalla furia nemica il suo territorio al valore del suo esercito, e ad ogni modo dal fatto che le potenze nemiche non sono riuscite ad ottenere il
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medesimo non si può dedurre alcuna pretesa morale verso la Germania. La guerra è di propria natura devastatrice. Pure l'Intesa non l'ignora. Se fosse stata capace di portarla in territorio nemico si crede forse che essa avrebbe esitato? E la Prussia Orientale non ha poi sperimentato che cosa significhi aver la guerra nel paese? E come ha agito l'Inghilterra in Rumenia? Come ha agito l'Intesa in Grecia? Come il blocco dell'Intesa ha attraversato il commercio dei neutrali? Reintegrazione! Ma questa parola vale per l'Inghilterra e l'Intesa almeno nella stessa misura che per la Germania, che respinge ogni violazione, mentre la Francia, sostenuta dall'Inghilterra, appunta le sue brame sull'Alsazia-Lorena e la sponda sinistra del Reno, senza discorrere delle cupidigie dell'Intesa nei riguardi dell'Austria-Ungheria e della Turchia. Anche qui va ripetuto il medesimo. La Germania deve "reintegrare" ubbidendo agli ordini dell'Inghilterra, mentre quest'ultima vuole accampare liberamente le sue pretese. Nessun accomodamento, dunque, nessuna reciprocità, nessun accordo, ma sottomissione e costrizione.
Questa è la differenza fondamentale fra le due commemorazioni del 4 agosto 1917 in Berlino e in Londra, da una parte un popolo che, insieme con il suo Governo, si dichiara disposto ad una pace per via d'accordo, una pace che esclude ogni violazione, pur garantendo l'integrità e la sicurezza della patria; un popolo che manifesta la ferma volontà di mantenersi unito sino a tanto che la pace non sia raggiunta. Dall'altra sobillazione demagogica per la continuazione della guerra sino alla
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completa sconfitta del nemico. Da un lato il riconoscimento del diritto all'esistenza di tutti i popoli, dall'altro oppressione politica ed economica. Da un lato morale nazionale informata a spirito europeo, dall'altro demagogia nazionalistica al servizio dell'imperialismo anglo-sassone.
A dispetto, però, del discorso di Lloyd Gorge la pace in Inghilterra si fa strada. La persecuzione di ogni propaganda per la pace ha reso Lloyd George così odiato da costringerlo a provvedere alla propria sicurezza personale come un tiranno dei tempi andati. A buon punto giunge la descrizione del socialista Ramsay Macdonald nel "Leicester Pioneer" della cerimonia di Glasgow nella quale venne conferita la cittadinanza onoraria a Lloyd George. Bisognò ricorrere ad una scorta di soldati con le baionette inastate per proteggere la sua automobile dalla folla indignata. Si dovettero pubblicare notizie false per ingannare la popolazione sull'ora, dell'arrivo di Lloyd George, il quale, per ripartire inavvertito, dovette traversare furtivamente le strade.
Di tali precauzioni ha bisogno il principale assertore dell'imperialismo inglese. Che meraviglia quindi possono destare le parole di Lloyd George nel Queenshall contro il nemico interno?
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], Le commemorazioni del 4 Agosto in Berlino e in Londra vom 09. August 1917, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 7105, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/7105. Letzter Zugriff am: 29.03.2024.
Online seit 24.03.2010.