Dokument-Nr. 7187

[Erzberger, Matthias]: Il m essaggio di Wilson al c ongresso de ll'11 Febbraio, e la sua accoglienza in Germania, 18. Februar 1918

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Il messaggio che il Presidente Wilson rivolse l'11 febbraio al Congresso, e che avrebbe dovuto essere una risposta ai discorsi del Cancelliere tedesco e del conte Czernin del 24 gennaio, è stato accolto in Germania, in generale, col più grande ritegno. L'impressione generale è, per dirlo subito, questa: che il nuovo discorso di Wilson rappresenta
in quanto al suo significato qualitativo per la pace, un vero e proprio regresso se confrontato col messaggio del 9 gennaio.
Quest'ultimo messaggio esponeva quattordici punti programmatici per la pace, di cui almeno alcuni erano tali da formare – come disse anche il Cancelliere dell'Impero nel suo discorso del 24 gennaio – il punto di partenza per ulteriori discussioni. Orbene: questa impressione è stata spazzata via nuovamente dal recente discorso di Wilson; inquantoché, esaminandolo attentamente, non ci si può liberare dal dubbio che Wilson si sia voluto sciogliere dal contenuto concreto del messaggio precedente. Il signor Wilson invece di continuare la discussione nella linea tracciata da lui stesso nel suo precedente discorso, e che anche il Cancelliere dell'Impero aveva tenuta – cioè a dire replicando alle dichiarazioni del Cancelliere sui punti programmatici succitati, e più precisamente in un modo che avrebbe potuto condurre alfine all'avvicinamento – nel suo nuovo discorso si perde in elucubrazioni accademiche adattatissme a far credere che egli sia oggi d'opinione di essersi nel suo passato discorso in qualche cosa ingannato. Ciò non risulta, invero, dal tono delle sue dichiarazioni; e anche questo si riconosce in Germania che il Presidente degli Stati
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Uniti ha evitato di calcare il terreno delle invettive formali.
Il nocciolo delle prolisse argomentazioni di Wilson è, detto in poche parole, il seguente: Wilson qualifica durevole e giusta soltanto una pace ottenuta col sottoporre le questioni controverse ad un Tribunale mondiale, formato da tutte le nazioni belligeranti, il quale debba emettere un verdetto su ogni questione. Una volta scelto questo punto di vista, Wilson rigetta la soluzione delle varie questioni per mezzo di negoziati fra questa o quella nazione. Egli è contrario ai negoziati separati; contrario alla soluzione di qualsiasi questione alla quale non partecipino tutti quanti gli Stati belligeranti col loro voto.
La Germania ha tutti i motivi di essere oltremodo diffidente dinanzi a tale tesi, perché una pace conclusa col metodo del Tribunale mondiale darebbe un enorme vantaggio all'Intesa, e sarebbe ben lungi dal potersi dire una pace giusta. Questo metodo, infatti, dati i comuni interessi dell'Intesa in ogni questione e il grande numero delle Potenze solidali coll'Intesa (23 contro 4) mira a formare un'assoluta maggioranza contro le Potenze centrali, e, quindi, a indebolire fortemente quest'ultime. La pace che ne uscirebbe fuori, equivalendo ad una pace dettata dall'Intesa e lasciando molte e pungentissime spine nel cuore delle Potenze centrali, non potrebbe essere che di breve durata. È strano che la proposta wilsoniana di un Tribunale mondiale venga proprio nel momento in cui la pace separata, effettuatasi fra la Ucraina e le Potenze centrali, infrange da una parte il cerchio di ferro saldato intorno alle Potenze centrali; quel cerchio che l'Intesa ha tutto l'interesse di
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mantenere per render più efficace il suo blocco militare ed economico. Ma niente può intralciare i piani avversari – i quali sono ancora oggi di natura conquistatrice – più della pace separata degli Imperi Centrali con una nazione; sebbene un tal risultato sia stato provocato dall'Intesa stessa, che continua ad irretirsi nel non voler la pace generale.
La Germania ha ragione, come abbiam detto, ad accogliere con scetticismo il pensiero di un Tribunale mondiale e a valutarne molto bassa la forza pacificatrice. Del resto, come anche rileva un giornale berlinese organo del Centro, "Germania", un tale metodo per la soluzione di controversie internazionali è stato da molto tempo rigettato. Esso contraddice ai principi già esposti alla prima conferenza di pace dell'Aja, i quali vogliono escludere che si possa formare una maggioranza ai danni di una delle parti. Il Tribunale dell'Aja si basa sul principio che le parti in contesa su una questione, scelgano dalla lista degli arbitri permanenti un eguale numero di fiduciari e che questi eleggano a loro volta un altro giudice che faccia da presidente: questo per poter garantire continuamente la formazione di un Tribunale completamente obbiettivo. Ora, il signor Wilson rinuncia senz'altro all'obbiettività quando proclama di voler risolvere il viluppo delle questioni sorte colla guerra mediante un Tribunale mondiale. Egli sembra opinare che risiede nel suo interesse e nell'interesse dell'Intesa di portare, in certo qual modo, le Potenze centrali davanti al giudizio del mondo. Certo la Germania è, insieme alle sue alleate, d'opinione che dalla guerra sieno sorte numerosissime questioni; specialmente quelle che mirano a impedire le guerre future e a fondare una Lega delle Nazioni; questioni che, riferendo-
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si a tutto il mondo in generale, non possono essere risolte che da un'Assemblea generale. Ma prima si tratta di ordinare i rapporti dei singoli Stati l'uno coll'altro; ed è in questo ordinamento che si prospetta la maggior parte delle questioni le quali, solo se risolte con reciproca soddisfazione dei singoli Stati cui si riferiscono, la pace può assumere forma stabile e duratura. Si tratta, anzitutto, in altre parole, di regolare i rapporti fra Stato e Stato pareggiando le varie questioni una dopo l'altra. Ché non si crea certo una pace mondiale giusta e duratura sottoponendo a tutti gli Stati belligeranti, – anche a quelli, cioè, che di fatto non ne sono interessati – una questione che riguarda, per esempio, due soli belligeranti, ma sulla quale gli altri possono influire in forza del numero sulla decisione a danno del vero interessato e a favore di uno dei loro alleati. Con un tale procedimento la questione verrebbe risolta non in forza della giustizia ma in forza della maggioranza. Solo quando i singoli Stati si saranno intesi direttamente tra di sé sulle loro proprie questioni; quando, cioè, la pace sarà conclusa fra Stato e Stato in base alla reciproca politica reale, solo allora si potrà parlare sulla possibilità e sulla prospettiva di un organamento che vada al di là dello Stato; un organamento che riguardi tutti i belligeranti, non escluse le Potenze neutrali europee. Wilson si sbaglia a partito quando dice che la "risoluzione" del Reichstag contiene il riconoscimento di un Tribunale mondiale, come se lo pensa lui. Per giudicare l'errore stesso, riproduciamo ancora una volta, alla fine di questa relazione, il testo della famosa "risoluzione".
La sfiducia opposta dalla Germania alla nuova mani-
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festazione di Wilson è dovuta, inoltre, alla confusione generata dall'aver Wilson, sì, risposto, in quanto alla forma, a Hertling e a Czernin, esprimendo persino la sua gioia sullo scambio di vedute, ma dopo aver manifestato nel Consiglio di Guerra di Versailles la sua pronunciatissima volontà di continuare la guerra, e dichiarato chiusa la discussione fra i due partiti nemici mediante discorsi pubblici di statista a statista. Ora ci si domanda, e a ragione: di qual genere e di quale importanza è la legittimazione di Wilson a parlare in nome di tutta l'Intesa? Anche se, ammessa in Wilson la buona fede, gli Imperi centrali venissero a condividere con lui alcuni punti di vista, come potrebbe questo giovare alla pace quando l'Inghilterra e la Francia proseguono per la loro via e dichiarano solennemente di volere addivenire colla sola forza delle armi alla pace che fa per loro? È quindi facile pensare che Wilson e l'Intesa recitino separatamente le parti che si sono divise: Wilson inducendo moralmente, colla sua risposta, le Potenze centrali ad un'ulteriore discussione e a procrastinare l'impiego della loro forza, mentre Inghilterra e Francia ne traggono giovamento, sia spiegando di fatto i loro mezzi bellici, sia esercitando una pressione sulle Potenze centrali colla minaccia della guerra ad oltranza. Si trova strano in Germania che nel discorso di Wilson non vi sia nemmeno una parola atta a chiarire il controsenso fra le sue parole e quelle di Versailles, le quali debbono essergli ben note.
Wilson dice che gli Stati Uniti non hanno desiderio di immischiarsi in questioni europee; ciò che trovasi in certo qual modo in contrasto colla sua tesi del Tribunale mondiale, perché in questo Tribunale tutte le belligeranti
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dovrebbero partecipare alla discussione di ogni questione controversa. Ma c'è da osservare anche altro sulle dichiarazioni di Wilson. Quel voler procedere al contradditorio fra i due discorsi di Hertling e di Czernin colla tendenza risultata chiara nelle intenzioni di Wilson, – costruendo cioè un contrasto fra questi due uomini di Stato per seminar discordia fra i due Stati da essi uomini personificati – costituisce già un'ingerenza nelle cose europee, e, naturalmente, è stato rigettato in Germania ed in Austria-Ungheria colla più grande energia. Parlando espressamente degli scopi opposti seguiti dai due uomini di Stato, Wilson, evidentemente, vuol prospettar la situazione in modo da far credere che l'Austria-Ungheria voglia la pace e la Germania no. Egli appioppa al conte Czernin persino la tendenza ad approvare le condizioni di pace avanzate dall'Intesa; ossia condizioni al detrimento della sua maggiore alleata; ascrivendogli l'opinione che la Polonia abbia ad esser indipendente ma anche con quelle parti della Germania, nonché l'altra opinione che egli approvi l'esigenza dell'Intesa che il Belgio debba essere sgombrato senza chiedere garanzie di sorta, e ricostituito; astrazion fatta dalla possibilità che l'Intesa abbia a domandare ancora qualcosa alla Germania. L'organo ufficioso viennese "Freie Presse" ha risposto per le rime a Wilson scrivendo al suo indirizzo che è un inutile perdimento di tempo darsi in braccio a siffatte intenzioni e speranze. L'alleanza tedesco-austriaca che riuscì ad impedire per lungo tempo lo scoppio della guerra – ha risposto – è oggi più salda che mai; e sarà anche per il futuro, meglio di qualsiasi altra costellazione, la più forte garanzia per la pace europea.
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Uno scopo identico a quello riguardante le relazioni tedesco-austriache, vien perseguito da Wilson nei riguardi dell'unione del popolo tedesco che il presidente americano crede di poter sfasciare, laddove parla "dei signori militari della Germania" che avrebbero peccato contro la pace e contro la sicurezza dell'umanità. Ritorna qui ad affacciarsi alla finestra il vecchio concetto di Wilson e dei suoi alleati; che, cioè, l'Intesa ha il diritto di accusare il militarismo come causa della guerra mondiale. La Nazione tedesca non entrò in guerra mossa da ambizioni militaristiche, ma per volontà unanime, dopo che la pace d'Europa – al cui mantenimento la Germania, che oggi si afferma vittoriosa, aveva contribuito per ben 45 anni – era sottominata da una coalizione immensa fino al punto che la Germania dovette ricorrere alle armi se non voleva rimaner sopraffatta e sparire. Che tutto l'apparecchio bellico tedesco – una volta scoppiata quella guerra che l'insania degli avversari avevan reso inevitabile, – abbia ben funzionato e funzioni tutt'oggi a meraviglia, non è argomento plausibile per farlo segno all'accusa di aver esso scatenato la guerra, e che coloro che lo guidano considerino la guerra come fine a se stessa. Del resto lo stesso Wilson si pone in contraddizione con se stesso quando dice che la questione delle nazionalità e lo stato insostenibile di queste fu la causa principale della guerra. Se anche questa interpretazione corrisponde, naturalmente, agli interessi dell'Intesa, non corrisponde però alla verità dei fatti. Le più grandi cause della guerra sono state, come disse anche il Cancelliere nel suo ultimo discorso: 1) la volontà dell'Inghilterra di romperla una buona volta e per sempre colla Germania sua pericolosa concorrente; 2) l'in-
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tenzione della Francia di divenire ancora una volta la Potenza dominante in Europa ai danni dell'antica rivale; 3) infine lo sfacelo interno minacciante la Russia, ed al quale si credette rimediare richiamando altrove i pensieri della Russia malcontenta e rivoluzionaria, mediante una guerra contro l'estero; una guerra che avrebbe dovuto effettuare le tanto anelate espansioni panslavistiche. La questione della nazionalità sbocciò a guerra inoltrata, solo dopo assunse il significato che oggi l'Intesa le annette. L'Intesa si servì di questa parola d'ordine – che altro non fu e non è nelle intenzioni dei nemici della Germania – solo per attrarre nella sua orbita i popoli e rivolgerli contro la Germania. La questione delle nazionalità era un'esca adattatissima per far proseliti e si presentava egregiamente a giustificare la brama d'espansione ai danni delle Potenza centrali. Che oggi il signor Wilson ascriva un valore grandissimo al principio delle nazionalità per la liquidazione della guerra, ha, dunque un valore tutto speciale.
Nell'ultimo suo discorso il Cancelliere dichiarò che il riconoscimento dell'integrità dei territori delle Potenze centrali da parte dell'Intesa è l'unica base possibile per poter parlare di pace. Ora, le Potenze dell'Intesa non hanno proceduto sin qui a tale riconoscimento, ma deliberato invece a Versailles di raggiungere colle armi i loro intenti di conquista. In Germania ci si dice che se Wilson desiderasse davvero una pace giusta e duratura, suo primissimo compito dovrebbe esser quello di dissuader l'Intesa da siffatti sogni di conquista. Invece nemmeno una parola vi è nel suo discorso che suoni anche lieve rampogna alle Potenze occidentali. Che ne pensa Wilson? È egli pronto ad obbligare l'In-
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tesa, nell'interesse della pace, a riconoscere l'integrità dei territori delle Potenze centrali? Solo quando la Germania e le sue alleate riceveranno garanzie per la loro sicurezza territoriale, saranno al caso di entrare in discussione sui quattro punti che Wilson chiama i punti fondamentali per lo scambio delle intenzioni. Questi punti hanno un carattere così generale e così elastico che, in certi casi, bisogna saperne prima l'interpretazione esatta per poter giudicare se sono idonei a servir di base per una pace giusta e accettabile da tutti i partiti. È davvero ridicola l'opinione wilsoniana che la concretazione di questi punti fondamentali venga impedita esclusivamente dai "capi del partito militare ed annessionistico tedesco". Gli annessionisti non hanno in Germania influenza alcuna nel Governo, a differenza dell'Inghilterra e della Francia ove l'annessionismo fa parte ufficiale del programma del Governo. Non è l'annessionismo tedesco che impedisce il concretarsi della pace, sibbene i signori Lloyd George e Clemenceau. Su questi personaggi – si dice in Germania – Wilson dovrebbe esercitare la sua influenza, se veramente vuole che il mondo si avvicini alla pace. La Germania può dire a ragione di sé che nella via della pace ha fatto un ben più lungo cammino dell'Intesa. Nòmini il signor Wilson un solo uomo di Stato dell'Intesa il quale, come il direttore principale della politica tedesca, abbia rinunciato chiaro e tondo alle annessioni ed offerto all'avversario la mano per addivenire alla pace. Citi il signor Wilson un solo Parlamento dell'Intesa nel quale, come in quello germanico, sia stata accettata a grandissima maggioranza una risoluzione proclamante la pace in base all'accordo; la pace edificata sulla riconciliazione, e il rigetto di qualsiasi annessio-
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ne territoriale, politica ed economica operata colla violenza. La Francia vuole strappare a forza dall'Impero tedesco l'Alsazia-Lorena ove l'87 % della popolazione parla il tedesco, e l'Inghilterra la sostiene in questa sua intenzione. Quest'ultima dice di non voler restituir più le colonie tedesche, e vuol stender la mano su parti dell'Impero turco. L'Intesa prepara una guerra economica per il dopo la guerra affine di impedire alle Potenze centrali il rifornimento delle materie greggie. Finché certi piani e certe intenzioni non saranno abbandonati è assolutamente escluso che si possa addivenire ad una pace giusta e duratura. La Germania ha manifestato anche troppo spesso il suo desiderio di entrare in negoziati, ma per negoziare fa d'uopo di una base comune; la base dell'accordo sincero e della, rinuncia reciproca a qualsiasi violenza.
La suprema e più ambita mira di Wilson dovrebbe esser quella di determinare anche nell'Intesa questa base, esistente ormai da lungo tempo nelle Potenze centrali. Se gli riuscirà di dissuadere le sue alleate delle loro intenzioni di conquista e di obbligarle a riconoscere l'integrità del territorio delle Potenze centrali, allora anche le Potenze centrali saranno pronte a discutere i quattro principi fondamentali avanzati da Wilson. Wilson si richiamò alla "risoluzione" del Reichstag del 19 luglio 1917. Chiunque legga questa "risoluzione" vede subito come il popolo tedesco consideri gli acquisti territoriali colla forza e le violenze in genere, inconciliabili col suo concetto della futura pace mondiale; ma che, però, la libertà e l'indipendenza della Germania e l'intangibilità del suo possesso territoriale è la conditio sine qua non di una pace alla quale possa assentire.
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Quello che vale per la Germania vale anche per le alleate, le quali tutte combattono unite per l'intangibilità dei propri territori.
Ed ecco qui riprodotto, nella sua traduzione letterale italiana, la "risoluzione" del Reichstag del 19 luglio 1917:
"Il Reichstag dichiara:
Come il 4 agosto 1914, anche alla soglia del quarto anno di guerra, han valore pel popolo tedesco le parole del discorso del Trono: "Noi non siamo spinti da brama di conquiste". La Germania ha impugnato le armi per la difesa della sua libertà, della sua indipendenza, e per l'integrità dei suoi possedimenti territoriali.
Il Reichstag aspira ad una pace di accomodamento e a una durevole riconciliazione dei popoli. Con una pace siffatta sono inconciliabili acquisti territoriali conseguiti colla forza, nonché violazioni politiche, economiche e finanziarie.
Il Reichstag respinge tutti i piani che tendono alla serrata economica e all'inimicizia fra i popoli anche dopo la guerra. La libertà dei mari dovrà esser sicura per tutti. Soltanto la pace economica preparerà il terreno alla convivenza amichevole dei popoli.
Il Reichstag promuoverà energicamente la creazione di organizzazioni per la difesa del diritto internazionale.
Sino a quando, però, i Governi nemici non aderiscano a tale pace, finché essi minacceranno la Germania e i suoi alleati colle conquiste e le violazioni; il popolo tedesco rimarrà sempre unito come un sol uomo, persisterà incrollabile e combatterà finché non sarà assicurato il diritto suo
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e quello dei suoi alleati di vivere e di svilupparsi.
Il popolo tedesco è, nella sua unione, invincibile. Il Reichstag sa di essere concorde con gli uomini che proteggono la Patria in una eroica lotta, e ai quali è assicurata l'imperitura gratitudine di tutto il popolo."
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], Il m essaggio di Wilson al c ongresso de ll'11 Febbraio, e la sua accoglienza in Germania vom 18. Februar 1918, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 7187, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/7187. Letzter Zugriff am: 29.03.2024.
Online seit 02.03.2011.