Dokument-Nr. 778

Müller, HermannBartmann, Bernhard: [Kein Betreff]. Paderborn, 12. April 1921

Tradizione
Nessun teologo ignora che natura e grazia rappresentano un problema. I competenti sanno altresì che parecchio resta ancora da fare per la soluzione del medesimo, se pure ve ne è una. Sarà un merito del libro del Prof. Rademacher (Der Einheitsgedanke in der Theologie – L'idea dell'unità in Teologia) di avere posto nuovamente il problema. Prescindendo dal Monismo panteistico, è anche del tutto lodevole la tendenza di addivenire ad un "Monismo cristiano". È infatti poco felice il mettere Iddio, l'Assoluto, accanto al mondo contingente, nel senso del dualismo semplicista. Ciò vale pure per la natura e la grazia. Gli Scolastici se la cavano con una formula monistica e dualistica insieme: actus est totus Dei et totus hominis.
S. Agostino chiama la conservazione delle cose una continua creatio. A mio parere, i propugnatori del Teismo non possono abbastanza insistere sulla stretta unità tra Dio e la natura, presso a poco come tra il sole ed il raggio. Il Rademacher si sforza di fare di Dio e della natura un principio unico d'azione. Egli sa benissimo che il suo punto di vista è nuovo e sente quanto la sua esposizione alle volte si avvicini ad espressioni pelagiane. Però egli previene l'accusa di pelagianismo distinguendo in principio la natura dalla grazia e ritenendole ambedue. È vero che, secondo lui, l'ordine della grazia, per quanto concerne l'applicazione della medesima, ossia la graduale sua esplicazione nel corso della storia e nella vita individuale, si attua nell'ordine della natura. Secondo la potenza evolutiva – gli Scolastici dicono: la recettività – essa (la grazia) si trova sin dal principio nell'uomo, ma diviene "mobile", viva ed efficace sotto il continuo influsso di Dio. A tale proposito il Rademacher ha tralasciato con proprio danno di appoggiarsi a parecchi Padri, che avrebbe ben potuto utilmente citare. Inoltre sarebbe stato necessario di fare almeno men-
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zione della interruzione della evoluzione morale a causa della caduta (peccato originale) e di riannodare ad essa la riparazione per mezzo della Redenzione di Cristo, la quale è essenziale per il Cristianesimo. È vero che egli concede esser stata tale evoluzione ostacolata dal peccato. Nella prefazione dice altresì che egli si arresta dinnanzi a Cristo ed alla sua opera. Sarebbe però meglio, se il Rademacher aggiungesse in qual modo egli possa positivamente inquadrare nella propria costruzione Cristo e la sua opera, ossia in qual modo questa può divenire un fattore efficace di salvazione. In tal modo egli potrebbe anche smussare le frasi abbastanza angolose delle pagine 66-70.
È certamente più facile di condannare semplicemente un libro di questo genere che di portare su di esso un giudizio positivo. A mio parere, tuttavia, uno scritto circondato da tante cautele non dovrebbe oggi costituire una impossibilità. Del resto difficilmente esso capiterà in mano di chi non dovrebbe leggerlo, perché, all'infuori dei teologi di professione, difficilmente vi sarà qualcuno che si interessi della "Metodologia della Teologia cattolica".
Ho scritto quanto sopra nell'interesse della libertà della scienza, non perché aderisca al Monismo cristiano del Rademacher, che io non divido. Credo che all'apologista, il quale muove sempre dalla natura, si debba accordare una simile libertà intellettuale di movimento. Sono certo che i teologi, specialmente tomisti, lo combatteranno.
(firm.) Bartmann.
Mi associo al surriferito parere
(firm.) Müller.
7r, unterhalb der Datumszeile hds. von unbekannter Hand, vermutlich von einem Mitarbeiter des Heiligen Offiziums, notiert: "S.O. 829/1924 reg. 11 Luglio 1924".
Empfohlene Zitierweise
Müller, Hermann, [Kein Betreff], Paderborn vom 12. April 1921, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 778, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/778. Letzter Zugriff am: 29.03.2024.
Online seit 14.05.2013, letzte Änderung am 15.12.2015.