Dokument-Nr. 8679

[Erzberger, Matthias]: La situazione della politica interna in Germania prima della pubblicazione della Nota tedesca alla Lettera Pontificia, 18. September 1917

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Si può ben dire che la tensione di politica interna, provocata in Germania dall'agitazione dei gruppi conservatori e pangermanisti, abbia toccato, al momento attuale, il suo punto culminante. È noto che il concetto di "tregua civile", proclamato dai partiti dopo lo scoppio della guerra secondo la parola imperiale: "Io non conosco più partito alcuno; io conosco soltanto tedeschi", venne a perdere ben presto, per i circoli pangermanisti, il suo significato. Prima di tutto fu la guerra subacquea – che secondo il modo di vedere di questi aveva indugiato troppo ad essere "illimitata" – quella che diede loro motivo per iniziare nel paese un'agitazione dissolvente. Venne poi la guerriglia mossa al Cancelliere dell'Impero, von Bethmann Hollweg; e, dopo la "risoluzione" di pace al 19 luglio, i loro assalti a base di sobillamento furono sferrati contro il Reichstag e insistentemente reiterati con un crescendo continuo, a mano a mano che i pangermanisti si accorgevano non riuscire le loro minacce e i loro allettamenti a staccare dal Parlamento il cancelliere Michaelis e a rimorchiarlo dalla loro parte. Tutti i gruppi e tutte le sfere che si usa compendiare sotto il concetto di pangermanisti, – cioè a dire i conservatori, i siderurgici, i singoli fautori della politica basata sulla forza, tolti dai circoli dei liberali nazionali, degli scienziati e dei giornalisti, – facevano la più attiva propaganda, servendosi di qualsiasi mezzo, pur di divulgare la loro parola d'ordine: "Stacchiamoci dal Reichstag". Questa agitazione crebbe minacciosamente; ed oggi non solo ha raggiun-
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to il punto massimo, ma, chi osservi attentamente, può ben dire che sia persino sorpassato.
Si sa di quel che si tratta. È la vecchia lotta appassionata per i fini di questa guerra e per le condizioni della pace che deve mettere termine al flagello. Il Reichstag germanico si pronunciò il 19 luglio, a grande maggioranza, per una pace di concerto; per una pace che rifiuta acquisti territoriali dovuti alla forza e a violazioni politiche, economiche o finanziarie; per una pace che crei la tanto anelata possibilità della conciliazione durevole fra i popoli e da concludersi su questa base al più presto possibile, cioè non appena gli avversari siano pronti a riconoscere la base stessa. I circoli personificati dagli organi e dai gruppi pangermanisti e conservatori non vogliono, però, saper nulla d'una pace d'intesa, nel senso della maggioranza del Reichstag; e vedono la salvezza della Germania e il futuro dell'Europa in una pace dettata dalla forza delle armi; per raggiungere la quale la guerra dovrebbe essere continuata fino al completo sfacelo delle Potenze dell'Intesa e specialmente dell'Inghilterra. A questo scopo serve una propaganda rumorosa e sgraziata; loro supremo compito: la guerra contro il Reichstag, rocca della pace di concordato. Questa loro propaganda infierì ancor più violenta quando fu pubblicata la Nota pontificia. La quale, per dire la verità, e astrazione fatta da poche eccezioni, fu accolta dai circoli pangermanisti ed anche da quelli protestanti senza troppo forti esplosioni di contrarietà; forse anche
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perché il Governo dell'Impero aveva avvertito la stampa di trattare la Nota Pontificia con dignità, in considerazione dell'altissimo seggio dal quale essa veniva. A questo avvertimento si adattò, come abbiamo detto, in generale, anche la stampa annessionistica; sebbene dovesse rigettare le proposte del Pontefice per una certa coerenza colla sua politica annessionistica. Ma tutta la rabbia si rovesciò, allora, raddoppiata, contro il Reichstag; contro la sua manifestazione di pace; e specialmente contro l'autore della medesima, – l'onorevole Erzberger, – che dovette fare, allora, da parafulmine di tutta l'amarezza e di tutte le furie scatenatesi in seno ai pangermanisti. Il fatto che la Nota Pontificia rivelò alcuni punti di contatto causali colla manifestazione del Reichstag, contribuì non poco ad acuire il furore di costoro.
Screditare il Reichstag con qualsiasi mezzo di propaganda, sembra essere oggi la sola missione dei pangermanisti. La stampa che ad essi ubbidisce qualifica la "risoluzione" della maggioranza come una deliberazione di sommissione; ed espone con gran ricchezza di particolari gli effetti dannosi che da essa derivano e deriveranno. Una pace conclusa in base alla "risoluzione" del Reichstag viene chiamata "la pace della vergogna" e "delle rinunce". Ogni sorta di rimproveri e di accuse vengono mossi alla maggioranza parlamentare e alla sua politica; come a dire che il Reichstag, col suo contegno nella politica mondiale prima della guerra, è stato colpevole della ritirata della Marna; che oggi non fa che prolungare la guerra; che presume di rappresentare la forza;
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che non è affatto vero aver dietro di sé la grande maggioranza del popolo tedesco; ecc., ecc. Per mezzo di articoli nei loro giornali tentano di far apparire sotto una luce sinistra presso l'armata la politica della maggioranza, architettando fra il supremo Comando e il Reichstag un contrasto inesistente. Le personalità più eminenti nei vari partiti della maggioranza se le sentono dire di cotte e di crude; ad esse si attribuiscono, a mo d'esempio, ambizione personale, egoismo di partito, e menzogne; le si chiamano vendibubbole e peggio ancora. I pangermanisti si sono spinti tanto innanzi, fino a domandare lo scioglimento del Reichstag, affermando che la sua maggioranza non corrispondeva affatto all'umore del popolo germanico. Quando, però, la stampa della maggioranza accettò una siffatta proposta, – malgrado le serie considerazioni avanzate e contrarie, naturalmente, all'ingaggiamento di una lotta elettorale proprio mentre più accanita infuria la guerra – dichiarando che la maggioranza non temeva affatto lo scioglimento del Reichstag; che, al contrario, le nuove elezioni avrebbero fornito la prova evidente come il grosso del popolo tedesco condividesse completamente il punto di vista dei suoi rappresentanti nel Reichstag; allora la scena cambiò e si comprese benissimo come i pangermanisti riconoscessero subito tutto il pericolo che presentava la loro stessa proposta. Il fatto, poi, aver la stampa pangermanista respinto lontano da sé l'accusa di aver, per la prima, inoculato nella discussione il pensiero dello scioglimento del Reichstag, fa riconoscere quanto poco essa sia sicura della sua medesima posizione, e mette al nudo gli sforzi evidenti per scuotersi da
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dosso la responsabilità che gliene verrebbe, nel caso che nuove elezioni portassero violenti sconvolgimenti nella situazione interna. Tuttavia, alcune teste calde hanno saltato a piè pari ogni savia considerazione; e quando si legge, per esempio, l'indirizzo che i pangermanisti, riunitisi a Berlino il 6 settembre, rivolsero, dopo un infuocato discorso del deputato Backmeister, al Cancelliere dell'Impero, ove parlarono "del nemico interno", della "mancanza di criterio", "dell'infamia e del tradimento", nel quale si prega il Cancelliere di emettere il seguente grido di guerra: "raccoglimento e lotta contro i sovvertitori dell'ordine sociale" e di stendere alla lesta "un potente pugno di ferro"; quando si legge tutto ciò, non si può fare a meno di supporre – come osserva la "Frankfurter Zeitung" – che i circoli pangermanisti sperino in segreto di aver trovato nel dottor Michaelis l'uomo forte invocato; il quale, disciolto arbitrariamente il Reichstag, possa continuare a governare senza parlamento, finché la pace non sia conclusa. La "Deutsche Tageszeitung", egualmente fautrice di uno scioglimento del corpo rappresentativo, non mancava però di cautele, e propugnava lo scioglimento a patto che lo precedessero "schiarimenti necessari ed ampi". Si chiedeva, in altre parole, che il Governo dell'Impero partecipasse con tutto il suo apparecchio ufficiale ai maneggi contro la maggioranza del Reichstag. Ora questo grido d'invocazione al Governo sarebbe davvero incomprensibile se tutto il lavorio dei pangermanisti esplicato per vincere l'opinione delle masse, avesse dato risultati soddisfacenti. A ragione la succitata "Frankfurter Zeitung" dice che se anche tutto quanto
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l'apparato ufficiale si mettesse a servizio dell'agitazione pangermanista, non cambierebbe nulla a questo fatto irrefragabile: che la politica della maggioranza del Reichstag – una politica sorta dall'amore verso la patria e conscia dei suoi intenti – ha il suo saldo appoggio nel popolo stesso. Per destare l'impressione che ampi circoli popolari seguano compatti i pangermanisti, questi organizzarono, ed organizzano tutt'ora, manifestazioni in piccoli luoghi; fanno votare ai presenti contro il Reichstag ordini del giorno che sogliono, poi, dar motivo ad un telegramma ora al Cancelliere, ora a Hindenburg. Questi ordini del giorno vengono, quindi, accuratamente pubblicati nei giornali pangermanisti in una rubrica apposita intitolata: "Contro la maggioranza del Reichstag", e muniti di commenti miranti alla sobillazione degli animi. Quanto grande sia la "massa del popolo" che i pangermanisti e i loro simili presumono aver dietro, si può capire dal numero dei membri che le loro associazioni contano. Il numero dei membri dell'Associazione pangermanista ammonta a 60000; quello del Comitato indipendente a 150000; e quello del Comitato popolare per il rapido annientamento dell'Inghilterra a soli 20000. Ma queste cifre non possono essere nemmeno sommate; perché, con tutta sicurezza, moltissimi membri di un'associazione appartengono anche all'altra, se non a tutt'e tre, contemporaneamente. Tuttavia, anche fatti i conti con una certa larghezza, il numero dei pangermanisti non può superare i 200000. Or, come può un nucleo così esiguo pretendere di rappresentare la stragrande maggioranza del popolo tedesco che conta 70 milioni?
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La risposta di Wilson alla Nota pontificia ha dato motivo ai pangermanisti di sfogare nuovamente il loro sdegno contro il Reichstag e la sua politica. In quanto all'accoglienza in Germania della risposta di Wilson al Papa si deve dire che il goffo tentativo di Wilson di piantare una zeppa fra il popolo e il suo Governo e di immischiarsi nell'ordinamento interno della Germania, è stato rigettato con sdegno da tutta quanta l'opinione pubblica, da tutta quanta la stampa, compatta dietro i partiti della maggioranza. Anche l'organo socialista "Vorwärts" non poté fare a meno di dire che la Germania sola deve sapere quello che deve fare. E aggiunge, che, però, il desiderio della Germania di pervenire a riforme interne, non deve sfuggire alla sua realizzazione solo perché un Wilson, che non dà affatto regola, viene oggi colla pretesa di riforme in Germania. Alcuni organi della maggioranza hanno osservato che la domanda di Wilson "dover il popolo tedesco dare una garanzia per la durevolezza della pace" è già stata, e in precedenza, esaudita colla "risoluzione" del Reichstag; che in Germania non si deve, è vero, procedere ad innovamenti sotto la pressione dell'estero, ma che questi non debbono esser però tralasciati quando sono riconosciuti necessari, solo per il timore che possano essere interpretati come concessioni fatte a pressioni straniere. È stato espresso ancora il concetto ottimista che laddove i fini di guerra di Wilson sono obbiettivi, essi non si trovano troppo lontani da quelli del Reichstag germanico; che, quindi, non sono ancor chiuse le porte alla pace; molto più che l'Intesa non ha ancora risposto. L'azione di pace del
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Pontefice può essere ancora condotta a buona fine. Questi concetti svolti dalla stampa della maggioranza, hanno dato motivo ai circoli pangermanisti di inveire ancora una volta contro il Reichstag. La "Deutsche Tageszeitung" ha continuato nel suo linguaggio di spregio contro il Reichstag, qualificando la Nota di Wilson un "appello alla maggioranza per indurla ad impossessarsi del potere"; imputando ad essa l'intenzione di voler giungere, in tal modo, ad una "pace Scheidemann-Erzberger", e cacciando fra le righe l'insinuazione che Wilson e la maggioranza del Reichstag lavorino di conserva. La "Kreuzzeitung" scrisse che le parole di Lansing "non poter l'America considerare la parola dell' attuale Governo in Germania come una garanzia per la durevolezza di un accordo" potrebbe averle pronunciate il signor Erzberger; e cercò di trarre capitale dal pensiero che la democrazia tedesca tiene dalla parte di Wilson se oggi non rinuncia alle sue vecchie pretese.
Il sobillamento contro il Reichstag si è edificato in quest'ultimo tempo una nuova rocca colla fondazione di un nuovo partito, il cosiddetto "Partito della Patria" (Deutsche Vaterlandspartei), alla cui testa trovasi quel tale direttore generale in pensione, Kapp, acerrimo nemico di Bethmann Hollweg; e fra gli altri, anche l'ammiraglio von Tirpitz. Questo partito presume di voler proteggere la patria dal male ereditario della disunione; e proclama questo suo compito con un appello pieno zeppo di invettive contro la maggioranza del Reichstag e pretendendo che ampi circoli del popolo tedesco non concordino col contegno di questa maggioranza dinanzi
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alle più importanti e vitali questioni. La maggioranza del Reichstag viene incolpata di mettere in pericolo la patria, e di favorire, se anche involontariamente, (manco male!) il nemico; e questo perché essa combatte nel momento attuale ed agita questioni che troppo toccano lo Statuto. L'appello si rivolge infine e direttamente, opponendosi ad una rapida realizzazione della riforma elettorale, contro il messaggio pasquale e il decreto del luglio dell'Imperatore. Combattere la mozione del Reichstag per la pace e le riforme interne è lo scopo di questo partito che crede di potere, nell'ultimo istante, attrarre la situazione nella sua orbita di pensiero.
Diciamo: nell'ultimo istante. Infatti, se proprio ora i pangermanisti spiegano uno zelo grandissimo; se non fanno da tanto a riunirsi, a discorrere, a votare ordini del giorno, a spedire telegrammi; se il coro della loro stampa non fa che ripetere mattina e sera dover il Reichstag esser chiuso e i deputati mandati a casa con loro vergogna e scorno; tutto ciò ha bene le sue ragioni; ed avviene perché, ormai, i pangermanisti hanno capito che il Governo dell'Impero non pensa affatto di mettersi in conflitto colla maggioranza del Reichstag, e subodorano la possibilità che questo loro timore abbia a realizzarsi già nella risposta alla Nota di pace del Papa. Per questa ragione hanno raddoppiato gli sforzi di propaganda e di intimidazione appunto nel tempo in cui la risposta al Papa veniva discussa e preparata. Se la loro agitazione ha raggiunto adesso il massimo diapason è certo l'amarezza che provano nel comprendere che ormai il dado è tratto: che la decisione in quanto alla risposta alla Nota Ponti-
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ficia, deve essere avvenuta nel senso della "risoluzione" del Reichstag, e che non si può far più nulla in contrario.
La risposta alla Nota del Pontefice fu concordata in seno alla "Commissione speciale presso il Cancelliere", alla quale, oltre che 7 rappresentanti dei grandi partiti del Reichstag, appartengono anche 7 membri del Consiglio federale; e che si riunì il 10. settembre sotto la presidenza del Cancelliere. Questa commissione ha soltanto voto consultivo e non prende deliberazioni di sorta, le quali spettano soltanto al Cancelliere che ne assume la responsabilità. Dal momento che il Cancelliere aveva dichiarato il 22 agosto "non poter la risposta tedesca al Papa essere informata altro che allo spirito di una pace in base all'accomodamento e ai compensi", così come era stata espressa dal Reichstag nella sua "risoluzione" del 19 luglio – cioè a dire una pace che non si concili con forzati acquisti di territorio, né violazioni politiche, economiche o finanziarie – era già data la base su cui la risposta al Pontefice si sarebbe mossa. Comunque, rimase aperta la questione: in qual misura la "risoluzione" del Reichstag avrebbe dovuto servire di norma per la politica del Governo nella risposta alla Nota Pontificia. Nella stampa della maggioranza si ammise, già, sin dal principio, che la risposta tedesca al Pontefice avrebbe confermato ancora una volta il sincero desiderio di pace della Germania, non solo, ma avrebbe tracciato una linea del carattere da imprimersi alla politica del Governo. Così la "Germania" scrisse che la risposta alla Nota Pontificia avrebbe dato al Cancelliere
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l'occasione di chiarire la questione che forma oggi motivo di riunioni e di lotte accanite nella stampa; sé, cioè, egli intendeva agire in modo da soddisfare le pretese dei pangermanisti, ovvero voleva collaborare con quella maggioranza del Reichstag verso la quale aveva sin qui mostrato di tendere. La "Frankfurter Zeitung" ha scritto di confidare che la risposta al Papa faccia riconoscere la vera direttiva del Governo. Oltre a ciò e prima della riapertura del Reichstag fissata per il 26 settembre, bisogna bene che in seno al Governo siano chiarite le basi dei fini di guerra tanto combattuti, e prese deliberazioni che creino per il Cancelliere davanti al Reichstag le basi di una non ambigua politica. Bisogna sapere con tutta chiarezza se il Governo vede o no nell'attuale Reichstag la vera rappresentanza del popolo germanico; o se intende farsi sviluppare dalle maglie degli intrighi pangermanisti. Un tale dubbio non può più esistere a lungo. Gli assalti pangermanisti contro il Reichstag e il Governo hanno cresciuto tanto di violenza, forse appunto perché i pangermanisti sanno benissimo che non possono essere ormai che di una breve durata.
Il fatto che i rappresentanti dei partiti della maggioranza nella "Commissione speciale presso il Cancelliere" si sono dichiarati unanimi nell'approvare l'abbozzo della risposta della Germania al Papa, non ha lasciato, nell'opinione pubblica, dubbio alcuno che la risposta è avvenuta nel senso della dichiarazione di pace della maggioranza del Reichstag. Ma appunto questa circostanza e la troppo naturale deduzione che il Governo è risoluto di mettere la politica pacifista tedesca in accordo colla
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volontà della maggioranza parlamentare, deve aver contribuito ad aumentare l'esasperazione dei circoli pangermanisti nel modo già descritto. Un'altra circostanza ha contribuito ad una maggiore agitazione degli animi. Le notizie riportate dai giornali di colloqui coll'Imperatore, della presenza a Berlino del Governatore generale del Belgio, di conferenze dei capi dello Stato Maggiore e dell'Ammiragliato, e del ricevimento di alcuni Ministri di Stato presso Sua Maestà, hanno indotto alla logica argomentazione che, attualmente, avessero luogo fra gli uomini di governo trattative sul particolari relativi alle richieste di pace tedesche. Si supponeva giustificatamente che la responsabilità della Nota al Papa, portante seco eventualmente molte probabilità di ulteriori trattative, dovesse avere per condizione una unione completa di tutta quanta la politica governativa riguardante la politica dei fini di guerra e la politica di pace; e che i colloqui coll'Imperatore trovassero la loro spiegazione in questa necessità. Dato il contegno preso dai pangermanisti davanti alla questione belga; considerato che essi vedono in tale questione il perno della politica tedesca sui fini di guerra; è troppo evidente che, temendo un accordo fra Governo e Reichstag sul punto essenziale dei fini di guerra, si diano in preda all'agitazione. Si aggiunga a tutto ciò che da qualche giorno corrono voci di prossima pace, anzi di proposte di pace, venute, nientemeno, da parte dell'Inghilterra; voci raccolte qua e là anche dai giornali. Come non può la stampa pangermanista nutrire timori per il suo intento belga? Comunque, il sentimento predominante è questo:
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che "qualche cosa avviene"; che "si sta dinanzi a risoluzioni di portata straordinaria", come scrisse il 13 settembre un giornale pangermanista di Berlino. Indi il nervosismo, la grande tensione, l'amarezza.
Dopo la comunicazione fatta alla stampa, che la risposta alla Nota Pontificia sarebbe data ben presto; e, più tardi, che la Nota tedesca era già stata inviata; per l'opinione pubblica non evvi ormai più dubbio alcuno, che le decisioni attese in un prossimo futuro, sono invece già state prese da qualche giorno.
Sono state prese; e non certo nel senso dell'agitazione pangermanista, messasi all'opera con sforzi disperati. Le supposizioni sollevate dalla stampa e determinate dai colloqui di personalità eminenti coll'Imperatore, non erano state fatte a casaccio: mentre quello che di autentico erano riusciti a sapere i giornalisti, si adattava benissimo, invero, a disilludere da una parte i pangermanisti e a indurli ad un ultimo assalto, non foss'altro che per sfogo; e, dall'altra parte, a produrre soddisfazione altissima nella stampa della maggioranza.
Presso l'Imperatore ebbe, infatti, un Consiglio della Corona al quale assistettero, oltre ai ministri di Stato, anche il feldmaresciallo Hindenburg e il Principe ereditario. In questo Consiglio, dopo aver chiarito i punti principali su cui si imperniano i fini di guerra tedeschi, si approvò la risposta da darsi al Papa; quella risposta che, come abbiamo detto avanti, era già stata progettata e discussa nella Commissione speciale presso
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il Cancelliere" e di comune accordo coi rappresentanti della maggioranza parlamentare. L'alto significato di questo avvenimento è chiarissimo, naturalmente, anche ai pangermanisti. Infatti si tratta, né più né meno, del fatto che la Corona, il Governo e il Supremo Comando dell'esercito, approvano e sostengono compatti la nota di risposta al Pontefice; una Nota basata sulla politica di accomodamento del Reichstag; si tratta, in altre parole, di aver, così, fermato una volta per sempre, le basi definitive della politica di pace del Governo, corrispondenti in tutto e per tutto alla "risoluzione" del Reichstag.
È un colpo forte per le aspirazioni pangermaniste, non lo neghiamo; tanto forte che nel primo momento non ha incontrato nemmeno reazione negli organi pangermanisti rimasti muti. La "Deutsche Tageszeitung" in un articolo editoriale dal titolo: "Si è rinunciato?" domanda se è proprio vero che il Governo "ha rinunciato alla supremazia e al reale controllo sul territorio e la popolazione dell'ex-Regno del Belgio", e chiede con tutta urgenza dal Governo una dichiarazione netta. Un altro giornale pangermanista si lamenta che il corso degli eventi sia entrato in una strada che "deve condurre senza remissione all'impotenza e alla povertà germanica, non possedendo il signor Michaelis la forza di realizzare le sue grandi e promettenti parole; che, cioè, non si sarebbe fatto togliere di mano la direzione." E così i pangermanisti provano le più acerbe disillusioni riguardo a Michaelis, col quale non parlano più, anche per il tiro loro giocato, pure ultimamente, colla fondazione di una Polonia indipendente.
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Se, e in qual modo, i pangermanisti cercheranno di adattarsi alla nuova situazione, lo vedremo alla pubblicazione della Nota. Può darsi che la quiete presente preluda ad una nuova e più furiosa tempesta e che gli avversari stiano raccogliendo le forze. In ogni caso essi avranno piena coscienza di agire contro tutto e contro tutti: Governo, Reichstag, Imperatore e Supremo Comando dell'esercito; e che il Governo, sicuro di agire nell'interesse generale e colla generale approvazione, potrà più facilmente mettere fine alle loro agitazioni. Intanto le risposte ricevute dal novellino "Partito della Patria" ai suoi telegrammi intenzionalmente indirizzati all'Imperatore, al Cancelliere e a Hindenburg, non sono certo quelle sperate, né si prestano ad incoraggiare questo partito nella strada presa. L'Imperatore fece rispondere dal suo consigliere di gabinetto von Valentini, soltanto che "ringraziava sentitamente per il rinnovato voto di fedeltà e di amore verso la Patria"; mentre il Cancelliere e Hindenburg risposero pure brevemente, ringraziando l'uno "per la comunicazione" riguardante la fondazione del "Partito della Patria", e l'altro incitando principalmente all'unione interna.
Mentre si stanno scrivendo queste righe, giungono le prime notizie sulla grande impressione prodotta nella stampa dal discorso tenuto dall'on. Erzberger nel suo collegio elettorale sulla politica di pace del Reichstag. Le approvazioni delle grandi masse accorse a sentire l'on. Erzberger vengono male a proposito per la stampa pangermanista, la quale sfruttava sin qui certe manife-
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stazioni isolate di alcuni dissidenti del Centro nella Germania meridionale, per far credere che una parte di questo partito non condividesse le opinioni della maggioranza del Reichstag. Che tutto va a rotoli, lo dicono anche i tentativi di attaccare con grande accanimento l'on. Erzberger, l'autore della "risoluzione" presa poi dalla maggioranza del Reichstag; l'uomo che ha fatto lo sforzo maggiore per imporre l'unità di concetto nella questione della politica di pace, e si è reso oltremodo meritevole del Reichstag e del Governo.
Riassumendo brevemente la situazione attuale in Germania si viene a questa conclusione: che la lotta fra i fautori della politica d'accomodamento e quelli della politica basata sulla forza, è stata decisa a favore dei primi; e questo fatto è di altissima importanza pratica e reale imperocché il Governo tedesco è ormai deciso a realizzare effettivamente una politica pacifista sulla base della "risoluzione" votata dal Reichstag germanico.
18. 9. 1917.
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], La situazione della politica interna in Germania prima della pubblicazione della Nota tedesca alla Lettera Pontificia vom 18. September 1917, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 8679, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/8679. Letzter Zugriff am: 29.03.2024.
Online seit 24.03.2010, letzte Änderung am 24.10.2013.