Dokument-Nr. 3760
[Saedt, Felix Graf von]: [Kein Betreff]. [Füssen], 10. Oktober 1921
Cam. Segr. di Spada e Cappa, Sopranum. (Gerarchia Catt. 1921 pag. 608), suddito della Arcidiocesi di Monaco-Frisinga, ora in carcere per sentenza del Tribunale di Augusta 23. Aprile 1921, communica a Sua Eminenza il Cardinale von Faulhaber la seguita condanna ed espone lo stato delle cose così:
Il mio delitto consiste, secondo la sentenza dei Giurati e a termini del § 235 RStrG, nell'aver svolto dalla casa paterna, con astuzie e con inganni, e con mire impudiche, un giovane diciottenne di nome Eduardo, figlio di certo Schwimbeck, sacristano d'una chiesa protestante in Füssen. Dall'accusa di licenze commesse contro natura, a termini del § 178, con cui si soleva appunto dimostrare la pravità delle mie intenzioni, fui assolto.
Ecco ora di che si tratta:
Previo assenso sia dei genitori e sia del pastore protestante Kutter assunsi di insegnare la lingua francese al piccolo Schwimbeck, il quale veniva a tal scopo ogni sera a casa mia. Giovane com'egli era di bella maniera e di laudevoli costumi non mi peritai di prenderlo meco talora a passeggio, la qual cosa diede subito presa, dietro le spalle s'intende, a sconvenevoli dicerie. Avendo poi i Genitori aderito ad un mio avviso di ritirare cioè quel giovane da una Fabbrica di Füssen, ove egli si esercitava fabrilmente nell'articolo macchine, ecco che le ciance s'ingagliardirono. Il giovane vi si trovava a disagio ed era vago di una coltura superiore, ed oltre a ciò tirava in quella fabbrica un'aria che l'avrebbero moralmente ammorbato. Non solo i genitori ma anche
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il parroco ne furono paghi, e però d'accordo che a
mie spese lo prendesse un architetto di Faulenbach/Füssen. Della qual cosa fu la gente tutta
che ha attinenze colla fabbrica più che mai inviperata, essendo la ragione precipua che ci
mosse ad allontanarlo quel ragazzo dalla fabbrica a tutti palese, i pericoli cioè e lo
scosso di costumi di quel luogo; e inde il generale mormorio più insistente e maligno. Fu
poi disdetta grande il questo dei rapporti tra figlio e genitori. Già dall'inizio delle
nostre relazioni, mi diedero i genitori a capire che era loro brama vivissima che lo
adottasse quel figlio. Se lo prenda tutto, veniva dicendomi il padre, alle cui cervellotiche
insinuazioni non dava punto retta, pur raffermando le mie intenzioni di proteggerlo semper
quel buon figliolo, solo che egli mi dia prove di amore e di zelo grande per lo studio.
Essendo poi i genitori da un lato inaspriti dalle dicerie della strada per quanto
inattendibili, e dall'altro spiacenti che mancasse oggimai quel profitto pecuniario che
veniva loro della fabbrica, e finalmente molestati dal punzecchiarli e metterli sugli avvisi
che faceva il loro parroco, nacquero assai volte attriti ostinati col figlio e turbolenze
domestiche. Non ostante le esterne cortesie di quel parroco dovetti più volte convincermi
ch'io gli era, essendo cattolico, una spina negli occhi, e che temeva non mettessi nel cuore
di quel figlio orrore della sua fede. Ma a torto marcio poiché, come dichiarai costantemente
in Giudizio, non mi venne mai in capo cosa sì fatta, e fui sempre, all'opposto, sollecito
che quel giovane che alquanto sgarrava ed era indifferente in cose religiose, riprendesse
regolarmente e con impegno i suoi esercizi evangelici, recitando mattina e sera
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le sue orazioni, e mando assiduamente alla chiesa cioè
assistendo ogni dominica al sacro culto nella chiesa protestante. Di ciò mi tratenai [sic]
assai volte con quel parroco, e mi sembrava anche che lo avesse molto a grado, e me ne fosse
riconoscente. Ma invece dietro le spalle mi prendeva in giro, si faceva beffe delle funzioni
dei camerieri pontifici, e d'accordo colla madre, intollerantissima, e sotto l'egida di un
buon numero di soci del consiglio ecclesiastico, procacciava a tutti nome di togliermi via
quel figlio conoscendo la grande influenza e l'efficacia della mia parola sull'animo suo.
Quale prova che d'un sì fatto contenersi del parroco non fu giammai motivo il timore e
sospetto che gli mai nutrisse di rapporti menché onesti fra me e quel figliolo, valga la
deposizione al Tribunale sia del parroco che dei genitori, che cioè essi giammai prestarono
fede a cotali relazioni. E ciò non pertanto è fuor d'ogni dubbio che l'accusa è opera in
modo particolare del parroco. Prova perentoria sono le sue odiose affermazioni in Giudizio,
la cui quint'essenza è che io abbia traviato e divelto quel giovane dal cuor dei genitori,
mentr'io all'opposto non cessava mai d'inculcargli l'osservanza del 4° commendamento. È
naturale che i genitori, dipendenti e subordinati com'erano al parroco, non potevano deporre
diversamente. Non nego che il ragazzo non mi fosse affezionato, che lo era anzi a tal segno
che chiesto dal padre, in seguito ad un vibratissimo caloroso alterco, a chi dei due volesse
meglio, se al conte o ai genitori, scattò e rispose che al conte, di che il padre forsennato
diè subito di piglio ad un revolver, e minacciando lo caccia di casa. Il giovane venne
allora con tutte 44v
le sue cose da me, ed io non mancai di
darne tosto avviso al Padre commenendolo dei suoi doveri e dandogli in seguito più e più
volte a capire che il figlio suo era perfettamente libero e poteva ogni ora far ritorno alla
casa paterna. Ne risultò infatti un buon accordo fra i genitori e il loro figlio sì che
questi andava quinci innanzi a casa loro ogni domenica. Ma non desiderando essi che si
ritornasse decisamente, si rimase il giovane, poi ch'io gli ebbi procurato un bel posto appo
l'architetto Scheiler di Füssen, fino a nuovo ordine a casa mia. Sorpreso poi ch'io fui
dalla citazione, mi fu giuoco forza licenziarlo; e trovò subito ospitalità presso certi
parenti nei sobborghi di Augusta.Quantunque l'avvocato difensore dimostrasse ad evidenza e nella forma la più stringente che il caso del § 235 non aveva luogo né punto né poco, venne dai Giurati non pertanto ammesso il ratto morale ([seelisch]), cioè a dire, fui ritenuto reo di avere strappato e divelto la psiche del giovane dal cuore dei genitori. Unico amminicolo poi di mire disoneste, ciò che il giovane medesimo recisamente nega, fu l'affermazione d'una teste che volle averci veduto in un passeggio pubblico di Füssen, e in un contegno da non ridire. Quantunque la parola di questa donna porti da sé e senz'altro l'impronta della menzogna, ai Giurati non parve di contraddire e vi si attennero essendo stata profferita con giuramento.