Dokument-Nr. 697

La questione della neutralità del Belgio in una guerra futura secondo uno scrittore militare belga, März 1917

I.
Nel 1913 uscirono nella "Revue des questions scientifiques" (terza serie, volume XXIII, pag. 31 e seguenti; pag. 397 e seguenti. – Anno 1913), pubblicata dalla Società scientifica di Bruxelles, due articoli dovuti alla penna dello scrittore militare belga Jean Nélusey e intitolati: "La réorganisation militaire de la Belgique." Scopo di questi articoli [sic] esporre e discutere i miglioramenti introdotti nell'organizzazione militare nel Belgio dal mese luglio 1911 – cioè dal momento della tensione fra la Francia e la Germania per la questione marocchina – e quelli che rimanevano ancora da compiere.
L'autore vede l'Europa in un periodo di febbre militare originata dai frequenti conflitti fra nazioni; conflitti per i quali non è sempre possibile di trovare una soluzione pacifica. Per quel che concerne gli ultimi anni egli accenna alla guerra sudafricana e a quella russo-giapponese, come, inoltre, allo smembramento della Turchia.
La preoccupazione di essere coinvolti in conflitti ha, scrive egli, costretto gli Stati europei a sobbarcarsi a grandi sacrifici per avere a disposizione, in caso di guerra, una macchina militare il più possibile perfetta. Perciò la Germania, la Francia, la Svizzera e l'Olanda hanno accresciuto, mediante opportune leggi e misure, la loro preparazione militare. Al giudizio degli sforzi dello Stato belga per essere preparato ad ogni eventualità, l'autore fa precedere, nel suo primo articolo, una rassegna comparativa sull'evoluzione dell'organamento militare in Germania e in Francia; rassegna che per noi non ha interesse.
Importante è, invece, che l'apprezzamento della situazione militare del Belgio muove dalla supposizione di un conflitto franco-tedesco che, secondo l'avviso di Jean Nélusey, coinvolgerebbe nella sua estrinsecazione strategica il Belgio. Il Nélusey (pag. 54 e seguenti) scrive (vedasi appendice 1):
"Sino a tanto che gli eserciti dei nostri due grandi vicini furono numericamente troppo esigui per ritenere possibile che nelle vicinanze immediate della comune frontiera essi troverebbero un primo campo d'azione sufficientemente vasto; sino a tanto che le teorie tattiche, insegnate dai discepoli di von Sauer, permisero di credere alla possibilità di espugnare a viva forza le fortezze che i Francesi, sconfitti nel 1870, avevano costruito da Verdun a Belfort, fu pure lecito, sino a un certo segno, ai Belgi, di considerare verosimile l'ipotesi del rispetto della nostra neutralità nel caso di un conflitto franco-tedesco e di mostrarsi parsimoniosi nell'impiego del pubblico danaro per gli scopi della difesa nazionale.
Oggi gli esempi di Porto Arturo e d'Adrianopoli hanno dimostrato, in modo indubitabile, che le moderne piazzeforti sono capaci di opporre a un assediante una resistenza considerevole. Ne segue che la durata dell'assedio d'una piazzaforte, che occorresse espugnare prima di iniziare le operazioni in campo aperto, renderebbe necessarie spese che una grande nazione in stato di guerra non può sostenere.
Siccome i corridoi, che i Francesi hanno lasciato sussistere fra le loro grandi fortezze dell'est, non basterebbero allo spiegamento degli eserciti tedeschi, e siccome i fronti difensivi di Metz, Strasburgo e del medio Reno sono altrettanti ostacoli che i nostri vicini del sud dovrebbero, anzitutto, superare, la necessità di creare il più presto possibile una battaglia decisiva in campo aperto, ha reso verosimile l'utilizzazione del territorio belga (1) da parte di quello dei due avversari che mirasse a portare la guerra nel paese nemico".
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È molto interessante che un Belga, e per giunta un competente, dal fatto che le quattro grandi fortezze orientali della Francia si contrappongono ad uno spiegamento indisturbato di ingenti forze tedesche e che, d'altra parte, le fortezze di Metz, di Strasburgo e del medio Reno presenterebbero pure le medesime difficoltà ad una irruzione francese in Germania, inferisca per ciascuno dei due belligeranti l' imperiosa necessità di provare il più presto possibile una battaglia decisiva in campo aperto, e che egli, riconoscendo questa necessità, preveda la probabilità dell'occupazione del territorio belga da parte di quello dei due avversari che mirasse a portare la guerra in paese nemico.
Un Belga considera qui, dunque, nel caso di un conflitto franco-tedesco, l'invasione nel territorio belga quale un atto di necessità strategica per ognuna delle due nazioni, senza mescolare l'accertamento di questa necessità con la discussione del complesso delle questioni di diritto internazionale, e meno che mai con sdegno.
Rigua rdare, come egli fa, quale scopo dell'uso del territorio belga il portar la guerra in paese nemico, per sconfiggere là l'avversario, equivale a riconoscere che il più forte e il più celere ha, in forza della sua assoluta necessità, il diritto di ubbidire alle leggi di questa sua necessità.
Di queste considerazioni l'autore si giova per svegliare e intensificare la comprensione del popolo belga per la situazione militare della patria in un conflitto tra grandi Potenze, ogni giorno più probabile, e per motivare le riforme occorrenti nell'esercito belga per allontanare dal suolo belga l'eterna minaccia della guerra; riforme cui egli crede sia divenuta favorevole anche l'opinione pubblica alluminata dall'incidente d'Agadir nel 1911. Segue un breve ragguaglio sull'attività riformatrice del signor von Broqueville, nominato Ministro della guerra all'inizio del 1912, gli sforzi del quale l'autore vede coronati dalla imminente legge del 1913.
II.
Nel suo secondo articolo il Nélusey esamina le misure ideate per il riorganamento dell'esercito belga da cinque punti di vista, e cioè da quello del comando delle truppe, dei loro effettivi, dell'istruzione tecnica, dell'armamento e del materiale da guerra.
Di gran lunga più importanti sono le considerazioni che egli fa nel secondo capitolo sulla importanza del numero delle truppe in guerra, giacché egli mette in rilievo l'importanza degli effettivi militari belgi sottolineando il compito che l'esercito belga dovrebbe assolvere in caso di un conflitto franco-tedesco.
L'autore dà gran peso alla forza numerica delle truppe come espressione di potenza. Egli scrive: "Ce qui décide le succès à la guerre, c'est la puissance." La forza si spiega in strategia e tattica, ma queste non bastano ad ottenere il successo se la differenza numerica dei due avversari non conferisca peso decisivo ai vantaggi parziali dell'uno in confronto di quelli dell'altro. Solo il numero può questo.
Assegnando tale grande importanza al numero delle truppe l'autore propugna anche per il Belgio il più forte aumento possibile degli effettivi. Il Governo belga, scrive egli, aveva dichiarato necessario di portare l'esercito a 150, anzi a 175 mila uomini per corrispondere alle esigenze della strategia moderna e alle necessità dell'ora nel caso di un conflitto tra le nazioni confinanti con il Belgio. Secondo la motivazione contenuta nel disegno di legge, la cifra accennata venne stabilita sulla base della supposizione che il territorio belga sarebbe violato dell'ala estrema di un esercito straniero, che prendesse l'offensiva per portare la guerra in paese nemico.
In connessione a ciò e comprendendo pienamente le necessità strategiche di una scesa in campo degli eserciti colossali delle nazioni europee, a disposizione dei quali è il servizio generale obbligatorio, il Nélusey esamina la questione dell'effettivo dell'esercito belga nel riguardo della questione della neutralità belga in un conflitto franco-tedesco o addirittura in un conflitto europeo.
"La necessità dei nemici di tener pronte," scrive egli,"grandi masse di truppe per impiegarle, quando che sia, al momento e nel luogo voluto, li costringe a prendere a base del loro piano strategico vaste zone di avanzata, mentre il bisogno di affrettare le operazioni, per non gravare troppo le finanze dello Stato, li costringe ad evitare ostacoli fortificati." Da questa considerazione risulta per l'autore una motivazione sufficiente per l'aumento numerico dell'esercito belga quale è richiesto nel disegno di legge, d'iniziativa del Governo, del 1913. Egli prevede, infatti, assolutamente che l'esercito belga verrà a trovarsi di fronte al fatto che una delle due potenze belligeranti tenterà, per ragioni impellenti, di avanzare contro il nemico attraverso il territorio belga.
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Poiché comprende la necessità di un simile passo, egli non si fa illusioni di sorta, e non crede nient'affatto che la neutralità belga sarà rispettata unicamente in omaggio alla teoria. Egli si spinge, anzi, pure più in là. Noi leggiamo a pagina 408 e seguenti (vedasi Appendice 2).
"Sarebbero necessarie ragioni d'un valore eccezionale per costringere, nell'ora che volge, quello dei nostri vicini che prendesse l'offensiva contro l'altro, a rispettare al suolo belga e a consumare prematuramente la sua energia concentrando i suoi sforzi contro le fortezze che i Francesi o i Tedeschi hanno innalzato lungo la comune frontiera.
Fra queste ragioni eccezionali, alcuni polemisti, contrari, nonostante tutti gli ammonimenti, all'aumento delle nostre forze militari, collocano il rispetto dei trattati che garantiscono la neutralità.
Ecco il loro ragionamento: 'I nostri grandi vicini, attaccandoci, commetterebbero un delitto. Pretendere che i nostri vicini hanno il diritto di violare il nostro territorio per motivi strategici, significa tradire ad un tempo la giustizia, la verità e il paese. Un'aggressione simile costituirebbe un'offesa ai trattati e insieme alle leggi di guerra. La nazione colpevole si metterebbe al bando dell'umanità (2)'.
Considerato il modo presente di pensare delle nazioni, di cui bisogna bene tener conto se non si vuole relegarsi nella teoria, rimane a dimostrare che a giudizio dei loro storici i nostri grandi vicini commetterebbero un delitto attaccandoci. Di delitto si potrebbe parlare se l'attacco fosse imprevisto e immotivato. Ma quando si vede come i diplomatici lavarono di sottigliezza: come le loro combinazioni sono convenzionali e fondate, spesso, sulla scelta, più o meno felice, delle parole che impiegano: come essi sono abili a mentire con abilità, non si deve esitare un momento a credere che, divenendo una guerra inevitabile, il pretesto del conflitto sarebbe subito trovato. Il nostro Congo, oggetto di tante cupidigie, è, fra le altre, una sorgente inesauribile di discussioni. Le guerre più delittuose hanno avuto sempre, del resto, presso l'aggressore, la giustificazione necessaria a tranquillare la sua coscienza.
Fede, giustizia, verità e paese sono traditi lasciando supporre che coloro i quali credono alla possibilità della violazione del nostro paese da vicini in guerra, per motivi strategici, pretendano che gl'invasori avranno il diritto di agire come agiranno. Sicuro che si avrà un'offesa ai trattati, ma chi non sa dunque ancora che fra Potenze i trattati non hanno valore solo sino a tanto che ciascuno vi trovi il suo interesse o che la parte lesa sia troppo debole per denunziarli? Noi siamo i primi a deplorare simili costumi. Ma la realtà è questa.
Ad ogni modo è assolutamente falso pretendere che l a violazione del nostro territorio costituirebbe un'offesa delle leggi di guerra …
Chi può osar di pretendere che per conservare il loro posto nel concerto delle Potenze o per rafforzarlo, i nostri grandi vicini esiteranno a ricorrere a mezzi che forse un giudice disinteressato condannerà, ma che i cittadini, il cui avvenire è in gioco, sosterranno con la massima energia?
La coscienza umana ha vituperato forse il Governo di Roma che strappò la Trippolitania ai Turchi: ma sebbene lo scopo della guerra, per importante che fosse, non concernesse l'esistenza medesima dell'Italia, questa non è stata posta al bando delle nazioni.
Inoltre la Camera ita liana non ha essa ratificato, con entusiasm o , le decisioni del Ministero? (3) L'Austria si è impadronita della Bosnia senza un serio motivo. È essa al bando delle nazioni? I Giapponesi lottando per il loro posto nel mondo e il loro avvenire economico, politico e nazionale, non hanno esitato un momento dinanzi alla necessità d'invadere la Corea e la Manciuria, paesi neutrali, giacché la strategia militare così imponeva. Essi non hanno esitato a far precedere la dichiarazione di guerra da un tranello marittimo che ridusse a ben poco la flotta di Porto Arturo. Quale Stato ha tenuto loro il broncio dopo questa azione?
Senza fare grandi scorrerie nel campo della storia sarebbe facile trovare che tutte la nazioni hanno da rimproverarsi atti che avrebbero dovuto metterle al bando dell'umanità e che il popolo interessato ha sempre approvato.
La lotta per la vita non si combatte con parole. I popoli, come gli uomini, hanno l'istinto della conservazione. Essi non si avviliscano punto moralmente se nel momento in cui il loro avvenire è in gioco si aggrappano a tutto quanto può migliorare la loro sorte futura.
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Per metter meglio in risalto il caso particolare del Belgio, paese neutrale, situato tra due vicini ostili, il lettore ci permetterà un semplice paragone. S'immagini egli che due nemici, costretti a metter fine ad una vecchia contesa, vengano, in un duello all'ultimo sangue, a trovarsi sull'orlo d'un precipizio dove il vincitore potrà gettare il vinto; che una terza persona, amica dei duellanti, obbligata ad assistere allo scontro, sia stata assicurata da essi che non sarà coinvolta nel conflitto; che questa persona, non essendosi potuta mettere a tempo in disparte, durante le vicende del duello, venga afferrata da quello dei duellanti che crede di aver la peggio e che si avvinghia disperatamente a lei perché s'accorge che il terreno sfugge sotto i suoi piedi.
Noi domandiamo; il combattente che sente la sua inferiorità, deve egli mantenere la sua promessa, e, se lo deve, la farete voi responsabile del suo atto disperato, lo caricherete di rimproveri perché, ricorrendo a un ' ultima ancora di salvezza, rischia di trascinare, nella sua caduta, lo spettatore neutrale?
Ciò che voi non farete, senza dubbio, per un singolo individuo, non lo farete certo per quelli che si assumono la responsabilità dell' esistenza di un gran popolo.
Se gli uomini di Stato e i duci militari d'una grande nazione ritengono, in coscienza, che in certi casi d'un conflitto armato la violazione d'un territorio vicino rappresenta l'unico mezzo di assicurare il buon esito della guerra , essi non esiteranno a farlo. Altrimenti sarebbero traditori della patria.
Essi non faranno uso d'un diritto ma subiranno le conseguenze d'uno stato di necessità . (4 )
Non bisogna dimenticare, affinché il nostro paragone conservi tutto il suo peso, che la guerra è l'ultimo argomento dei popoli in contesa. Essa non è il principio d'un duello, ma la sua ultima fase decisiva. Quando si vedono gli sforzi fatti dall'Impera tore Guglielmo per circoscriver gli effetti dalla crisi balcanica, non si può punto dubitare che questo capo supremo d'un esercito di primissimo ordine sia penetrato intimamente dalle intenzioni più pacifiche. Se egli si deciderà, un giorno, a proclamare lo stato di guerra, ciò avverrà, noi ne siamo profondamente persuasi, per ragioni patriottiche, d'indole affatto superiore, e quando tutti i mezzi di cui un popolo dispone per combattere in tempo di pace saranno stati inutilmente adoperati.
Quanto ai Francesi, le loro risorse sono per adesso tali che non permettono loro piani ambiziosi. La repubblica è essa pure, e per necessità, schiettamente pacifica.
Ma non bisogna scagliare con troppa fretta la pietra contro quello dei nostri due vicini che cercasse di attraversare il nostro territorio per invadere il paese nemico. In un conflitto europeo, chi prendesse l'offensiva attraverso il Belgio, non sarebbe di necessità il più forte dei belligeranti.
Se la Germania, per esempio con i suoi venticinque corpi d'armata e le sue numerose riserve, dovesse combattere contro venti corpi francesi una guerra circoscritta a queste due sole nazioni, essa avrebbe, sembra, compiuto già ora il massimo dei sacrifici necessari per poter ripromettersi un buon risultato dalla lotta, anche se questa si svolgesse unicamente nei territori contigui alla frontiera comune. Ma la Germania non ritiene di aver fatto abbastanza, giacché crede assai probabile che sarà costretta a far fronte ad una coalizione. Essa non vuole tremare dinanzi alla superiorità numerica dei suoi nemici.
E siccome, in conclusione, la legittimità dei nostri diritti non basta a darci su cento casi favorevoli al rispetto della nostra responsabilità cento ipotesi realizzabili, non ci rimane che persuadere sin d'ora i vicini dell'inutilità di sporgersi troppo oltre il muro di confine dietro il quale noi li attenderemo a piè fermo e in grado di far pagare loro assai cara l'indiscrezione.
Si può, del resto, domandarsi se i nuovi sacrifici imposti alla nazione tedesca per l'esercito, nel 1913, non sono stati provocati, in parte, dalla nostra decisione di rendere una buona volta inattaccabile il Belgio.
Se i sudditi del Kaiser devono far fronte ai due avversari, i Russi e i Francesi, essi attaccheranno il nemico che abbia mobilitato più rapidamente – cioè l'occidentale – in modo da poter, dopo la vittoria decisiva, riportata sopra un fronte, volgersi verso l'est e arrestare l'invasione russa.
Sino a quest'oggi l'esercito germanico poteva, girando a nord le linee di sbarramento francesi, sperar di ottenere a tempo la vittoria, mentre i corpi d'armata schierati fra Königsberg e Posen, ritarderebbero l'offensiva degli Slavi, offensiva che non comincerebbe, del resto, se non un mese dopo la dichiarazione di guerra. [91r]Ma se noi rendiamo impossibile la violazione del territorio belga, noi costringiamo i Tedeschi ad attaccare la Francia movendo dalla frontiera comune. Le operazioni si svolgeranno allora più lentamente e bisognerà quindi ritardare pure il momento dell'eventuale ingresso dei Russi in Berlino. Questo nuovo compito sarà affidato ai corpi d'armata e alle divisioni di riserva che l'incorporazione annuale di cinquanta o settantamila reclute non mancherà di far istituire in un prossimo avvenire."Nel leggere queste considerazioni non bisogna mai dimenticare che sono di un Belga e risalgono ad un anno prima dello scoppio della guerra.
Che cosa dice il Nélusey?
Riassumiamo brevemente le sue argomentazioni.
Il Nélusey crede oltremodo probabile che in una guerra franco-tedesca necessità strategiche congiunte con l'esigenza dell'economia delle forze condurranno i belligeranti ad invadere il territorio belga.
L'assalto contro i forti tedeschi e francesi lungo la frontiera comune è impresa che né i Tedeschi i Francesi si possono permettere.
Per nessuno dei due belligeranti il rispetto dei trattati, che garantiscono la neutralità del Belgio, può costituire, in caso di conflitto armato, un motivo sufficiente di rispettare il suolo belga, mettendo così a repentaglio l'esito della guerra.
Un passo quale la violazione del territorio belga, compiuto per ragioni strategiche, non può definirsi un delitto fuori che se compiuto subitaneamente e senza motivo.
Sennonché la situazione internazionali europea è tale che, divenuta la guerra inevitabile, nessun attacco può essere immotivato.
L'atmosfera politica europea è cosi carica di materie di conflitto e di contrasti d'interesse che le nazioni non si obbligano né possono obbligarsi all'osservanza assoluta dei trattati.
Ciò è rincrescevole ma semplice conseguenza della situazione generale.
Un diritto legale a metter piede sul suolo belga non l'ha nessuno dei belligeranti.
Ma al diritto del Belgio alla inviolabilità del suo territorio, al – droit – del Belgio fa riscontro la "necessit é" dei belligeranti.
Questa necessità può divenire ogni giorno più urgente, la questione capitale per la Potenza che intende farsi ancora valere in Europa.
Se una tale Potenza, violando il territorio belga, si rende colpevole di un attentato allo spirito dei trattati, è nondimeno falso il sostenere che essa trasgredisca le leggi della guerra: di una tale trasgressione essa non si rende colpevole.
In ogni tempo le nazioni hanno combattuto guerre di pura conquista e la storia o le altre nazioni non le hanno per ciò condannate. Ai popoli non si può rimproverare, come non è stato mai loro rimproverato, se nella lotta per la propria esistenza, lotta che si combatte non con parole ma con mezzi violenti, nel momento in cui il loro avvenire è in gioco, fanno ricorso a tutti i mezzi capaci di salvare o migliorare questo loro avvenire.
Gli è delle nazioni come della persona singola, che si trova in pericolo: le sue azioni non possono in questo caso venir sottoposte a valutazione morale.
Tanto meno può venir condannato il modo di agire dei duci d'una nazione, che vedono in pericolo il paese delle cui sorti sono responsabili.
Essi tradiscono la patria se in caso di guerra sono convinti che il successo può venire assicurato esclusivamente mediante la violazione del territorio di uno Stato vicino e non osano violarlo.
Essi non hanno da pensare su quel che è giusto o ingiusto ma da piegarsi alle leggi della necessità.
Per quel che concerne la Germania, date le profonde sincere disposizioni pacifiche dell'Imperatore, è assolutamente certo che se l'Imperatore dichiarerà un giorno lo stato di guerra, vorrà dire che alla nazione tedesca non sarà rimasta altra scelta.
Con ciò si ha la premessa della "necessità", che deve dettare la norma dell'azione.
Nessun Belga ha il diritto di scagliare la pietra contro colui che penetra nel territorio belga per portare la guerra nel paese nemico contro il quale è costretto a difendersi.
Se la Germania avesse da fare soltanto con la Francia non avrebbe bisogno di rinforzare il suo esercito per vincere la lotta, né avrebbe bisogno di invadere a tal fine il territorio belga.
Ma, assai probabilmente, la Germania dovrà combattere contro una coalizione.
In considerazione di ciò, l'autore crede di dover annettere particolare importanza all'aumento dell'esercito belga, giacché ritiene oltremodo probabile che la Germania, se dovrà sostenere una guerra simultaneamente contro la Francia e la Russia, violerà la neutralità belga. Egli opina, anzi, che l'aumento delle forze di terra, disegnato in Germania nel 1913, sia da attribuirsi alle corrispondenti intenzioni del Belgio a compiere altrettanto. Secondo il Nélusey queste misure del Belgio sarebbero state giudicate in Germania tali da rendere il Belgio effettivamente inviolabile. In tal caso la Germania si vedrebbe costretta a prendere di petto, sullo scacchiere occidentale, la comune linea fortificata franco-tedesca, il che rallenterebbe lo svolgimento delle operazioni e richiederebbe un maggiore impiego di truppe. La Germania avrebbe ricorso – sempre secondo il Nélusey – ai nuovi armamenti del 1913 per disporre di truppe sufficienti contro l'avanzata degli eserciti russi.
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Noi sorvoliamo qui sul rapporto di causa ed effetto fra il rinforzamento dell'esercito belga e del tedesco, notando solo di passaggio che il Nélusey lo riconnette con l'idea di una guerra che la Germania dovrebbe sostenere contro una coalizione nemica. Né noi vogliamo qui indagare punto le singole congetture dell'autore, né obbiettare che egli ha immaginato le sue ipotesi prescindendo dal fatto già da un pezzo esistente della politica d'accerchiamento anglo-franco-russa.
La cosa per noi più interessante nelle considerazioni del Nélusey è che egli considera la questione della neutralità belga, in una guerra futura, senza gli occhiali del sentimento e delle teorie, ma unicamente dal punto di vista degli interessi vitali dei popoli che sono, in caso d'una guerra, interessati alla marcia attraverso il Belgio, più ancora che egli si erige ad avvocato della nazione che la necessità costringe a battere questa via per salvare la propria esistenza e il proprio prestigio.
Per la Germania, che si vedeva divenuta l'oggetto di un accerchiamento e, allo scoppio della guerra, assalita dalla coalizione più formidabile che abbia mai minacciato un popolo; per la Germania cui la guerra venne imposta e che fu costretta a combatterla per difendere la propria indipendenza politica e il posto conquistatosi nel mondo, sia nel campo politico che nell'economico, una tale condizione di necessità era data. Nondimeno la Germania non volle penetrare nel Belgio come nemica, ma cercò di ottenere il permesso di transito dando le più larghe assicurazioni e garanzie.
Il Governo belga le negò questo permesso, fedele alla politica cui si era lasciato trascinar prima della guerra dall'Intesa per gli scopi di questa ostili alla Germania. Il piano dell'Entente cordiale, di fare del Belgio una base di operazione contro la Germania in una guerra offensiva, non solo il Governo belga l'ha tollerato, ma lo ha approvato e appoggiato. Solo ultimamente sono stati pubblicati estratti dagli atti dello Stato Maggiore belga, gli accordi anglo-belgi del 1906, accordi che concernono la precisa determinazione della specie, del numero, del l'arrivo e del trasporto delle truppe inglesi che avrebbero dovuto partecipare ad un'azione offensiva contro la Germania.
Tali accordi, nei riguardi del Belgio, significano l'abbandono della neutralità. Il Belgio, del resto, non ha mosso alcuna protesta contro la meditata usurpazione del suo territorio e delle sue fortezze da parte dell'Inghilterra e a sostegno delle sue mire contro l'Impero germanico. Il Governo belga nulla ebbe da obbiettare allorché, nel 1912, in Bruxelles, l'addetto militare inglese dichiarò pubblicamente che l'Inghilterra, in un conflitto franco-tedesco, sbarcherebbe di sicuro truppe nel Belgio, senza attendere di essere a ciò invitata, né nulla fece per impedire l'abuso del suo territorio come campo d'invasione contro la Germania, fortificando, per esempio, la costa e le frontiere. Il Belgio non era già più neutrale allorché la Germania, accordandogli ogni desiderata garanzia per la sovranità del suo territorio, lo pregò del permesso di transito di cui aveva bisogno nella sua situazione estremamente critica.
Aggiungendo alle considerazioni di principio del Nélusey che il Belgio non aveva più alcun diritto di esigere di essere trattato come un paese neutrale e contrapponendo l'una cosa e l'altra alla tempesta di calunnie che il Governo belga e tutta l'Intesa, con l'Inghilterra alla testa, ha suscitato per il passo compiuto dalla Germania in istato di legittima difesa, si ha una prova di più di come l'Intesa malmeni senza scrupoli la verità quando si tratta di danneggiare il nemico discreditandolo moralmente. Nella sua campagna diffamatrice contro la Germania, giudicando il passo compiuto da questa, l'Intesa ha dimenticato senz'altro le necessità strategiche, – necessità riconosciute per tali dai suoi stessi competenti, – e ha fondato la condanna unicamente sulla violazione formale dei trattati sulla neutralità belga, sebbene contro lo spirito di essi il Belgio stesso avesse agito già prima della guerra dimostrandosi arrendevole verso i desideri dell'Intesa circa l'uso del suo territorio contro la Germania.
Caratteristico per la tendenza del giudizio dell'Intesa sulla marcia delle truppe tedesche attraverso il Belgio è ciò che l'autore dice sul contegno della Francia di fronte ad una eventuale violazione del territorio belga da parte della Germania. La Francia non pensa a muovere alla Germania il rimprovero di tradimento oppure di violazione dei trattati e delle leggi di guerra, ma rinnova le fortificazioni di Maubeuge. La Francia dimostrò così prima della guerra di considerare la questione belga in un conflitto colla Germania come una questione strategica e non morale.
Adesso, in verità, il giudizio della Francia è tutto morale.
La presente indignazione dell'Intesa è psicologicamente comprensibile se si ten presente che la marcia presente della Germania attraverso il Belgio riusc ì e le diede il possesso del paese di cui l'Intesa, come abbiamo detto, avrebbe voluto servirsi essa stessa nella sua offensiva contro l'Impero. I rapporti del ministro belga in Berlino non lasciano alcun dubbio sull'esistenza di questi piani aggressivi contro la Germania. Non è però logico che il giudizio sull'avanzata tedesca nel Belgio sia dato unicamente da chi col suo piano preparato di lunga mano col Belgio a scopi d'offesa non ebbe, nel momento decisivo, fortuna in conseguenza dell'efficacia delle contromisure.
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Non v'è dubbio che l'Intesa, qualora le sue intenzioni offensive contro la Germania fossero state nel Belgio coronate di successo, avrebbe trovato facilmente per la sua condotta una giustificazione morale, come seppe – e qui si allude specialmente all'Inghilterra, – dietro il velo del suo preteso rispetto dei trattati belgi, svolgere senza scrupoli una politica egoistica d'interessi contro l'Impero germanico, che osservò sempre il trattato sulla neutralità del Belgio del 1839.
La lotta per la propria esistenza, alla quale la Germania si vide trascinata da una formidabile coalizione di nemici, giustifica la marcia delle truppe tedesche attraverso il Belgio.
"Necessità non conosce legge" disse il Cancelliere dell'Impero.
Né cosa diversa affermò il Belga Jean Nélusey, un anno prima dello scoppio delle ostilità, in un momento in cui la chiarezza del giudizio non era ancora offuscata dalle calunnie e dagli svisamenti dell'Intesa.
Appendici.
Di Jean Nélusey: La Réorganisation militaire de la Belgique nella Revue des Questions scientifiques. (Publiée par la Société scientifique de Bruxelles.) 3.a serie, volume 23, pag. 31 e seguenti e 397 e seguenti. Louvain. 1913.
Appendice 1.
Pag. 54. Aussi longtemps que les armées de nos deux grands voisins eurent des effectifs assez peu considérables pour qu'on pût admettre qu'elles trouveraient aux abords immédiats de la frontière commune un premier champ d'action suffisamment vaste; aussi longtemps que les théories tactiques enseignées par les disciples de von Sauer laisserent croire à la possibilité d'enlever de haute lutte les barrières fortifiées que les Français, battus en 1870, avaient construites de Verdun à Belfort, il fut permis, jusqu'à un certain point, aux Belges,
d'envisager comme vraisemblable l'hypothèse du respect de notre neutralité en cas de conflit franco-allemand, et de se montrer parcimonieux des deniers publics nécessaires à la défense nationale.
Aujourd'hui les exemples de Port-Arthur et d'Andrinople ont démontré, sans laisser subsister le moindre doute, que les places modernes sont susceptibles d'offrir une résistance considérable à un assiégeant. Il s'ensuit que la durée du siège d'une place qu'il faudrait enlever avant d'entamer les opérations de campagne, nécessiterait des dépenses qu'une grande nation en état de guerre ne pourrait pas supporter.
Comme les couloirs que les Français on laissé subsister entre leurs quatre grandes places de l'Est ne suffiraient pas au déploiement des forces armées allemands et comme les fronts défensifs de Metz, Strasbourg et du Rhin moyen seraient autant d'obstacles à bouleverser d'abord par nos voisins du Sud, la nécessité de chercher au plus vite une bataille décisive en rase campagne a rendu vraisemblable l'utilisation du territoire belge par celui des deux adversaires qui chercherait à porter la guerre chez son ennemi.
Appendice 2.
Pag. 408. Il faudrait des arguments de valeur primordiale pour obliger, à l'heure qu'il est, celui de nos voisins, qui prendrait l'offensive contre l'autre, à respecter le sol belge et à user prématurément ses efforts contre des forteresses, que Français ou Allemands ont élevées le long de leur frontière commune.
Parmi ces raisons primordiales, certains polémistes, hostiles malgré tous les avertissements à l'augmentation de nos charges militaires, placent le respect des traités garantissant la neutralité.
Voici leur théorie: "Nos grand voisin en nous attaquant commettraient un crime. C'est trahir à la fois la justice, la vérité et le pays, que de prétendre que nos voisins sont en droit de violer notre territoire, pour des motifs stratégiques. Cette agression constituerait à la fois une atteinte aux traités et aux lois de la guerre. La nation coupable se mettrait au ban de l'humanité". (5)
Vu la neutralité actuelle des nations, qu'il faut bien admettre si on ne veut pas se confiner dans la théorie, il reste à prouver que, au jugement de leurs historiens, nos grands voisins commettraient un crime en nous attaquant. Il y aurait crime si l'attaque était imprévue et nous motivée. Mais quand on constate combien les diplomates jonglent sur des pointes d'aiguilles, combien leurs combinaisons sont conventionnelles et reposent souvent sur le choix plus ou moins heureux des expressions qu'ils emploient, combien ils sont habiles à jouer du mensonge savant, on ne doit pas hésiter un moment à croire que si la nécessité d'une guerre s'imposait, le prétexte du conflit serait rapidement trouvé. Notre Congo, objet de tant de convoitises est, entre autres, une source indéfinie de discussions. Les guerres les plus criminelles ont d'ailleurs trouvé chez l'agresseur une justification qui satisfaisait sa conscience.
94r
C'est trahir à la fois la justice, la vérité et le pays, que de laisser supposer que ceux qui croient à la possibilité de la violation de notre pays par des voisins belligérants, pour des motifs stratégiques, prétendent que les envahisseurs auront le droit d'agir comme ils le feront. Sans doute y aurait-il atteinte aux traités, mais qui donc ne sait pas encore qu'entre puissances les traités n'ont de la valeur que pour autant que chacune continue à y trouver son intérêt, ou que celle qui est lésée soit trop faible pour le dénoncer? Nous sommes des premiers à regretter de telles mœurs, mais il faut bien les subir.
Il est en tout cas absolument faux de prétendre que la violation de notre territoire constituerait une atteinte aux lois de guerre... Qui oserait prétendre que, pour garder leur partie dans le concert des Puissances, ou pour l'accroître, nos grands voisins hésiteront à avoir recours à des moyens qu'un juge désintéressé réprouvera peut-être, mais que les citoyens dont l'avenir est en jeu, appuyeront avec la dernière énergie?
La conscience humaine a peut-être honni le gouvernement romain qui arrachait la Tripolitaine aux Turcs; mais, bien que le but de la guerre, tout important qu'il fût, ne visât pas l'existence même de l'Italie, celle-ci n'a pas encore été reléguée au ban des nations. D'ailleurs, la Chambre italienne n'a-t-elle pas ratifié avec enthousiasme, les décisions du ministère (6)? L'Autriche s'est emparée de la Bosnie sans motif sérieux. Est-elle au ban des nations? Les Japonais luttent pour leur position mondiale et leur avenir économique, politique et national, n'ont pas reculé un instant devant l'obligation d'envahir la Corée et la Mandchourie, pays neutres, parce que les nécessités stratégiques les y attiraient; ils n'ont pas hésité à faire précéder la déclaration de guerre par un guet-apens maritime qui réduisait à peu de chose la flotte de Port Arthur. Quelle Puissance leur a fait grise mine après leur action?
Sans grandes incursions dans le domaine de l'histoire, on trouverait facilement que toutes les nations ont à se reprocher des actes qui auraient dû les mettre au ban de l'humanité et que le peuple intéressé a toujours couverts de son satisfecit.
La lutte pour la vie ne se paye pas de mots. Les peuples, comme les hommes, ont l'instinct de la conservation. Ils ne s'aviliront pas si, au moment où ils risquent leur existence future, ils s'accrochent à tout ce qui peut l'améliorer.
Pour mieux faire valoir le cas particulier de la Belgique, pays neutre placé entre deux voisins hostiles, le lecteur nous permettra une simple comparaison. Nous le prions d'imaginer que deux ennemis, contraints de vider une ancienne querelle, soient conduits dans un duel à mort, au bord d'un précipice ou le vainqueur pourra lancer le vaincu; qu'une tierce personne, amie des deux premières, obligée d'assister à la rencontre, ait été assurée, par les deux combattants, de rester en dehors de la lutte; que n'ayant pu s'écarter à temps, au cours des péripéties du duel, elle est saisie par celui des duellistes qui s'imagine avoir le dessous, et qui s'accroche désespérément à elle parce qu'il s'aperçoit que le terrain se dérobe sous ses pas.
Nous vous le demandons, le combattant qui sent son infériorité, devait-il tenir sa promesse et, s'il le devait, le rendez-vous responsable de son acte désespéré, le chargerez-vous d'anathèmes parce que, recourant à une dernière chance, il risque d'entraîner le spectateur neutre dans sa chute?
Ce que vous ne ferez sans doute pas pour un individu, vous ne voudrez pas le faire pour ceux qui assument la responsabilité de l'existence d'un grand peuple.
Si les hommes d'État et les chefs militaires d'une grande nation estiment en conscience que, dans certains cas d'une conflagration armée, la violation d'un territoire voisin constitue l'unique moyen d'assurer le succès de la guerre, ils n'hésiteront pas à le faire. Sinon, ils seront traîtres à la Patrie.
Ils ne feront pas l'usage d'un droit mais subiront les conséquences d'une nécessité (7).
95r
Il ne faut pas oublier, pour que notre comparaison ait bien toute sa portée, que la guerre est l'ultime argument des peuples en compétition. Elle n'est pas le début d'un duel, mais sa dernière phase, la phase décisive. Quand on voit les efforts déployés par l'empereur Guillaume pour localiser les effets de la crise balkanique, on ne doit point douter que ce grand généralissime d'une armée de tout premier ordre, soit pénétré, intimement, des intentions les plus pacifiques. S'il se décide un jour à proclamer l'état de guerre, ce sera, nous en sommes profondément convaincus, pour des raisons patriotiques, d'une essence tout à fait supérieure, quand tous les moyens de lutter dont un peuple dispose, en temps de paix, auront été vainement épuisés.
Quant aux Français, leurs ressources ne leur permettent pas, actuellement d'avoir des visées ambitieuses. La République est, elle aussi et par nécessité nettement pacifique.
Mais il ne faut pas trop vite jeter la pierre à celui de nos deux voisins qui chercherait à passer sur notre territoire pour envahir le pays ennemi. Dans un conflit européen, celui qui prendrait l'offensive à travers la Belgique ne serait pas, nécessairement, le plus fort des belligérants.
Si l'Allemagne, par exemple, avec ses 25 corps d'armée et ses nombreuses réserves, devait lutter contre 20 corps françaises, en combat singulier, elle aurait, semble-t-il, dès à présent, atteint le maximum des sacrifices nécessaires pour bien augurer des résultats de la lutte, fut-ce en se confinant sur les théâtres d'opérations de la frontière commune. Cependant elle ne se juge pas satisfaite; c'est qu'elle envisage comme très probable, l'obligation de faire face à une coalition. Elle ne veut pas trembler devant la supériorité numérique de ses adversaires.
Comme en définitive, le bien fondé de nos droits ne suffit pas pour nous donner cent cas favorables au respect de notre neutralité sur cent hypothèses réalisables, il nous reste à convaincre. Dés maintenant, les voisins de l'inutilité de se pencher trop fort au dessus du mur mitoyen, derrière lequel nous les attendrions de pied ferme et en situation de leur faire payer très cher leur indiscrétion.
On peut d'ailleurs se demander si les nouveaux sacrifices imposés à la nation allemande, pour l'armée en 1913, ne sont pas provoqués partiellement par notre décision de rendre enfin la Belgique inviolable.
Si les sujets du Kaiser doivent faire face à deux adversaires, Russes et Français, ils attaqueront l'ennemi le plus rapidement mobilisé – celui de l'ouest – de manière qu'après la victoire décisive, obtenue sur un front, ils puissent se retourner vers l'est, pour arrêter l'invasion russe.
Jusqu'à ce jour, en évitant par le nord la barrière fortifiée des Français, l'armée allemande pouvait espérer obtenir à temps la victoire, tandis que les corps d'armée portés entre Königsberg et Posen retarderaient l'offensive des Slaves qui ne commencerait pas d'ailleurs avant le 30me jour après la déclaration de guerre.
Mais si nous rendons impossible la violation du territoire belge, nous imposons, aux Allemands, l'obligation d'aborder la France par la frontière commune. Les opérations seront plus longues; il faudra donc retarder encore le moment de l'entrée éventuelle des Russes à Berlin. Cette nouvelle mission sera confiée aux corps d'armée et aux divisions de réserve que l'incorporation annuelle de 50 à 70.000 recrues supplémentaires ne manquera pas de faire créer dans un avenir prochain.

87r
(1) Il corsivo è del compilatore del rapporto, invece le parole spazieggiate sono nelle citazioni dell'autore del libro.
89r
(2) Estratto del "Patriote". Gennaio 1913. (Nota dell'autore.)
89r
(3) È curioso notare che l'Ufficio internazionale della pace, in Berna, avendo domandato al comitato italiano di esprimere il suo avviso e quello degli amici pacifisti della penisola, si ebbe per pronta risposta: Il comitato italiano dichiara senza reticenze che nel caso determinato, i pacifisti italiani sono affatto d'accordo con il Governo. (Nota dell'autore.)
90r
(4) Notiamo che i Francesi sono persuasi che rimanendo la forza militare del Belgio quale essa presentemente è, i Tedeschi, in caso di guerra, violerebbero la nostra neutralità. I nostri vicini del sud non parlano di delitto, di tradimento, di attentato ai trattati e alle leggi di guerra. Essi non dicono che la Germania si metterà al bando delle nazioni … Tutto ciò, per essi, non è che frase vuota. Più pratici, essi sono ritornati sulla loro decisione anteriore di demolire la fortezza di Maubeuge per farne, al contrario, un punto d'appoggio di primo ordine. Ecco degli atti che valgono meglio di tutti gli argomenti. (Nota dell'autore.)
93r
(5) Extrait du Patriote. Janvier 1913.
94r
(6) Il est piquant de noter que le bureau international de la Paix, Berne, ayant demandé au comité italien, de donner son avis, et celui des frères pacifistes de la Péninsule, la réponse ne se fit guère attendre: le comité italien déclara, sans ambages, qu'en l'occurrence, les pacifistes italiens étaient tout à fait d'accord avec le Gouvernement.
94r
(7) Notons que les Français sont persuadés que, dans l'état actuel des forces militaires belges, les Allemands, en cas de guerre, violeraient notre neutralité. Nos voisins du Sud ne parlent pas de crime, de trahison, d'atteinte aux traités ou aux lois de guerre. Ils ne disent pas que l'Allemagne se mettra au ban des nations… Tout cela, pour eux, n'est que paroles. Plus pratiques, ils sont revenus sur leur décision antérieure de démanteler la forteresse de Maubeuge et en font, au contraire, actuellement, un point d'appui de premier ordre. Voilà des actes qui valent mieux que tous les arguments!
Empfohlene Zitierweise
Anlage vom März 1917, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 697, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/697. Letzter Zugriff am: 23.04.2024.
Online seit 24.03.2010, letzte Änderung am 13.08.2012.