Dokument-Nr. 7000

[Erzberger, Matthias]: La politica estera al Reichstag e la situazione politica in Germania rispetto alla pace, 02. Oktober 1917

Sarebbesi potuto attendere che la risposta alla Nota pontificia avrebbe contribuito a calmare in Germania le agitate acque della politica interna. In essa, infatti, è l'esplicita dichiarazione che il Governo, nei suoi sforzi diretti a trovar la base di una pace giusta e duratura, è d'accordo con i desideri di Sua Santità e con la manifestazione del Reichstag per la pace (19 luglio). Il Governo, ossia, ha adottato, quanto alla pace, la politica del Reichstag e insieme con il Reichstag si adopera ad ottenere una pace per via d'intesa. Ma precisamente questo accordo fra Governo e Reichstag nella politica degli scopi di guerra era il punto intorno al quale più vivace ferveva la disputa delle opposte opinioni. La maggioranza e la sua stampa sostenevano che il Cancelliere, col suo discorso del 19 luglio, aveva reso perfetto l'accordo in questione, mentre i fautori d'una pace imposta colla forza e che noi, per brevità, chiameremo pangermanisti si erano attaccati alla dichiarazione del Cancelliere di credere di poter conseguire gli scopi del Governo nell'ambito della "risoluzione" del Reichstag "come egli la interpretava". A queste ultime parole del Cancelliere i pangermanisti avevano dato il significato di una riserva del Governo alla "risoluzione" del Reichstag e di esse si eran giovati per organare una lotta accanita contro la maggioranza del Reichstag e la sua azione per la pace. Sopravvenuto l'appello del Papa i pangermanisti gli fecero, sì, quanto alla forma, urbana accoglienza, ma quanto alla sostanza essi la respinsero con la massima energia, e
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l'esasperazione degli animi che, in considerazione dell'alta dignità dell'autore della Nota, dovette imporsi un freno, si scaricò con impeto tanto maggiore sulla maggioranza del Reichstag e su tutto il Reichstag perché sostenitori, in Germania, dell'idea della pace per via d'intesa. La discussione della risposta alla Nota del Papa nella Commissione dei sette e le notizie trapelate nella stampa da questa discussione sul contegno del Governo verso le proposte del Papa fornirono nuova esca agli attacchi furibondi dei pangermanisti, poiché queste notizie, dato il loro contenuto, non erano tali da appagare la mentalità, e i desideri di uomini politici siffatti. E allorché, poi, cominciarono pure a circolare e ad essere discusse nei giornali voci di una decisione presa dal Governo nella questione del Belgio, in conseguenza di una pretesa tastata di terreno dell'Inghilterra, gli sforzi della fronda pangermanistica crebbero sino all'inverosimile, tanto più che una seduta del Consiglio della Corona venne messa in relazione con la presunta decisione del Governo. I giornali dei Conservatori e dei pangermanisti pubblicarono articoli concitati nei quali fu proposto al Governo il caso di coscienza se davvero fosse stata fatta rinunzia al Belgio, con grave minaccia degli interessi vitali dell'Impero. I pangermanisti non si trattennero anzi dallo scongiurare il Governo di non dimenticare l'abbiccì di ogni negoziazione, di non essere così stupido da rinunziare prima d'ogni trattativa al Belgio, ma, in pari tempo, esigettero dal Governo che scoprisse le sue carte nella questione in parola. Un'informazione ufficiosa smentì che sul Bel-
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gio fosse stata presa una decisione. Cosa esattissima in quanto che è naturale che una decisione definitiva sul Belgio sarà presa solamente nelle future trattative di pace. Ma la smentita non negò tuttavia, e a ragione, che il Governo sappia bene quale criterio debba seguire nel trattamento della questione belga e che tale questione, come qualunque altra connessa con la pace, sarà risolta nel senso di una pace per via d'intesa e di accomodamento. La medesima tendenza ebbe l'informazione delle "Münchener Neuesten Nachrichten", che si sospettò di origine ufficiosa, stando alla quale l'avvenire del Belgio deve considerarsi e decidersi in connessione con tutte le questioni della guerra e della pace. Sia il Governo che la rappresentanza nazionale si sono prefissi, per tutte queste questioni, come direttiva, non la conquista, ma l'accordo e l'accomodamento, a condizione, beninteso, che anche l'Intesa rinunzi senza riserve alle conquiste e cerchi l'accordo e l'accomodamento. A guisa di deduzione di questo modo di considerar le cose le "Münchener Neuesten Nachrichten" scrissero, riguardo al Belgio che se l'Intesa è pronta a rinunziare alla sua politica di conquiste territoriali ed economiche ed alle conquiste già fatte durante la guerra, a spese della Germania e dei suoi alleati, certamente pure la Germania è pronta a reintegrare l'indipendenza del Belgio con le debite garanzie per l'esistenza delle varie nazioni in esso conviventi e per la sua vera neutralità. Sino a quando, però, il complesso delle questioni attinenti alla pace non sarà risolto, il Belgio continuerà ad essere né più né meno come sin
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qui per l'Impero germanico un pegno al pari di ogni altro territorio occupato. Anche questa informazione non ebbe la capacità di tranquillare i pangermanisti, che, rispetto al Belgio, non vogliono saperne nient'affatto della teoria dei pegni. Nessuna persona ragionevole pensa in Germania all'annessione del Belgio, ma è pur chiaro che anche l'Intesa deve rinunziare alle sue conquiste e dare correspettivi. Questo avviso fu manifestato anche nella maggior parte dei giornali della maggioranza del Reichstag, contro il quale i pangermanisti e la loro stampa continuarono la loro lotta accanita con lo scopo precipuo di separare il Governo dal Reichstag discreditando la maggioranza di questo e i suoi membri i più eminenti.
La risposta della Germania alla Nota pontificia era imminente, la si aspettava con ansietà, particolarmente per il dubbio che essa contenesse un'esplicita dichiarazione di conformità della politica del Governo con quella del Reichstag e una speciale menzione del Belgio. La risposta contenne di fatto l'esplicita dichiarazione che il Governo era d'accordo, quanto alla pace, con la politica della "risoluzione" del Reichstag. Peraltro nella Nota si era tralasciato di toccare da vicino le questioni controverse degli scopi di guerra e quindi anche la questione belga. Tuttavia, con il suo aperto riferimento alla manifestazione del Reichstag per la pace, la Nota faceva sicuramente intendere che pure per il Belgio valeva la rinunzia a conquiste violente, senza aggiungere che lo spirito che tutta la pervade escludeva una soluzione della questione belga secondo il desiderio dei pangermanisti.
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È chiaro infatti, che la pace per via d'intesa del Governo, che è quella del Reichstag, implica pure la ristaurazione del Belgio a condizione dell'adempimento di certi patti. L'accoglienza della pubblica opinione tedesca alla Nota fu questa: i giornali della maggioranza l'approvarono anche per il fatto che essa non era entrata in particolari e non si era, quindi, diffusa neppure sulla questione belga, come quella che doveva essere riservata alle trattative, salvo pochi a giudizio dei quali sarebbe stato desiderabile un accenno sulle intenzioni del Governo riguardo al Belgio. La stampa pangermanistica la respinse o manifestò, con finta ingenuità il giudizio che essa nulla contiene che si opponga all'appagamento dei suoi desideri. Rinforzata dalla agitazione del neo Partito della patria, questa stampa continuò, del resto, a sbraitare contro il Reichstag, che, come iniziatore della politica moderata, è sempre il bersaglio degli strali pangermanistici, la panca delle tenebre su cui viene sfogato tutto il loro malcontento per l'accordo intervenuto fra Governo e Reichstag circa la pace. Si segue, tuttavia, dai pangermanisti la tattica di accapparrarsi [sic] per sé il Cancelliere, dottor Michaelis nella speranza che, almeno nella questione belga, egli finirà per battere una strada diversa da quella indicata dal Reichstag. La voce di una nota verbale, che, secondo fu bisbigliato nei giornali, avrebbe integrato la risposta scritta al Papa e nella quale il Governo avrebbe esposto precisamente il suo pensiero sulla questione belga, diede nuovo incentivo all'esasperazione dei pangermanisi [sic]. Da tutte le parti s'invocò, quindi
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che si facesse una buona volta piena luce sugli scopi del Governo e cioè sugli scopi generali di guerra quanto in particolare, sul Belgio. Nei giornali della maggioranza si espresse l'esigenza che il Cancelliere si staccasse, infine, apertamente dai pangermanisti, mentre, dal canto suo, la stampa di questi ultimi intimò al Governo di romperla con il Reichstag.
Tale, per sommi capi, la situazione in cui il Reichstag riprese, il 26 settembre, le sue sedute. Il chiarimento di essa si attendeva da un discorso politico del Cancelliere nel quale, dal punto di vista della maggioranza del Reichstag, non era necessario che egli esponesse più determinatamente la rotta politica del Governo nei riguardi della pace, dopoché questa rotta era stata indicata a sufficienza nella risposta al Papa. Per la maggioranza del Reichstag non v'era né v'è su tale punto incertezza. Nondimeno si ritenne opportuno che il Cancelliere dichiarasse nuovamente che la politica del Governo circa la pace era la medesima del Reichstag.
Il Cancelliere parlò nella Giunta del bilancio il 28 settembre. Nel suo discorso meritano di esser notati soprattutto due punti.
Soffermandosi sulla criticata mancanza di positive dichiarazioni su questioni singole nella risposta alla Nota pontificia, il Cancelliere disse che ogni esperto della situazione internazionale e delle consuetudini diplomatiche deve comprendere che egli si rifiuti di fissare, con svantaggio della Germania, la soluzione di
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importanti questioni particolari, indissolubilmente congiunte con il complesso dei problemi che si discuteranno nelle eventuali trattative di pace, con una pubblica unilaterale dichiarazione. Nell'odierna fase della guerra ogni pubblica dichiarazione di questo genere, aggiunse il Cancelliere, non potrebbe che originare confusione e nuocere agli interessi tedeschi. Se la Germania fosse entrata, nella sua Nota, in particolari, i suoi avversari avrebbero detto, unanimi, che le concessioni tedesche erano da interpretarsi come l'indizio del suo crescente indebolimento, da considerarsi naturalissime e però senza valore. La Germania non si sarebbe avvicinato [sic] d'un sol passo alla pace. Al contrario, la persuasione dell'Intesa che solo il cattivo stato delle cose avesse indotto il Governo germanico ad un atteggiamento così strano per ogni esperto della tecnica diplomatica avrebbe avuto l'effetto di prolungare la guerra. Per queste ragioni, disse il Cancelliere, egli doveva negarsi a determinare adesso gli scopi di guerra tedeschi e a vincolare i futuri negoziatori della Germania. Ed esortò i membri del Reichstag e la stampa a consentire a questo suo modo di vedere.
Che tali dichiarazioni del Cancelliere non siano in contradizione [sic] con la politica del Governo e del Reichstag circa la pace, politica nelle sue linee fondamentali già fissata, ma si riferiscano unicamente alla tattica da seguirsi del trattamento diplomatico delle singole questioni, si ricava da un'altra dichiarazione del Cancelliere impossibile a fraintendersi. Durante la discussione il Cancelliere disse che il pensiero del Governo sugli
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scopi di guerra era stato manifestato chiaramente dalla risposta alla Nota pontificia, sicché ogni altra spiegazione era superflua, tanto più che nella risposta in parola si fa esplicita menzione della "risoluzione" del Reichstag del 19 luglio u. s. Questa dichiarazione conferma che gli scopi di guerra del Governo germanico non sono punto in contrasto con la "risoluzione" del Reichstag per la pace, ma al contrario collimano pienamente con essa, di guisa che è chiaro che il Governo dell'Impero sia disposto, insieme col Reichstag, a concludere una pace senza violenti [sic] annessioni di territori, senza soverchierie economiche, politiche o finanziarie. Inoltre il Cancelliere dichiarò inesatto che il Governo germanico sia già entrato in rapporti con questo e quel Governo nemico e senza aspettare le trattative di pace, abbia ceduto nella questione di certi territori occupati. Il Governo dell'Impero si è conservata mano libera per ogni possibile trattativa di pace pure rispetto al Belgio. Anche questa dichiarazione non contradice nient'affatto al principio accettato dal Governo di una pace senza annessioni conseguita per via d'accordo e di accomodamento. Il concetto dell'accordo implica che pure la parte contraria prenda a base delle trattative il proposto principio. Certo è naturale che la Germania non rinunzi fin da ora, a territori occupati lasciandosi così sfuggir di mano i suoi argomenti più validi: nondimeno la dichiarazione del Cancelliere fu necessaria perché i pangermanisti avevano divulgata la diceria che il Governo, con il suo consenso ad una pace per via d'accordo, quale la maggio-
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ranza del Reichstag desidera, vuole incamminarsi verso una vera pace-bancarotta, nella quale solo o quasi solo alla Germania toccherebbe di far concessioni e i negoziatori tedeschi intorno a certi punti avrebbero le mani legate. In realtà sarebbe una follia se la Germania, come pretendono uomini di Stato e giornali inglesi, sgombrasse già oggi i territori che occupa o si obbligasse a restituirli in qualunque caso. La maggioranza del Reichstag non ha mai pensato a ciò: una simile interpretazione della sua "risoluzione" venne data specialmente da coloro che respingono in principio, senz'altro, una pace per via d'intesa, ossia una pace da concludersi per via di accomodamento ma non senza tener conto dell'effettiva carta di guerra, e vogliono una pace dettata colla forza. Questo malinteso, artificiosamente alimentato, cui il Cancelliere, con la sua dichiarazione, ha tolto ogni fondamento, spiega, in buona parte, lo stato d'animo da cui attinge il suo impulso il Partito della patria per dare addosso alla maggioranza del Reichstag e a tutti i propugnatori d'una pace per via d'intesa ai quali si rimprovera debolezza, viltà, e perfino fellonia.
La dichiarazione del Cancelliere è diretta soprattutto all'interno del paese. Essa deve controbattere gli attacchi mossi negli ultimi tempi, e con furia crescente, alla politica del Governo. Al tempo stesso, con il richiamo alla "risoluzione" del Reichstag del 19 luglio, essa deve dimostrare chiaramente che fra Governo, Comando supremo dell'esercito e maggioranza del Reichstag esiste piena conformità d'idee e di propositi.
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Suo scopo precipuo agevolare l'attuazione di una nuova tregua civile. E dalla discussione seguita al discorso del Cancelliere sembra che, almeno per il momento, tale scopo sia stato raggiunto. Nella sua sostanza, il discorso del Cancelliere (pace per via d'accordo, nessuna annessione, quindi una pace conforme alla "risoluzione" del Reichstag, e, tuttavia, nessuna rinunzia incondizionata a territori occupati, ma mano libera per i negoziatori) è tale che la maggioranza del Reichstag può aver fiducia nel Governo. E dell'esistenza di questa fiducia è prova il fatto che il deputato Erzberger, il padre della "risoluzione" del Reichstag del 19 luglio, si disse d'accordo con la dichiarazione del Cancelliere manifestando inoltre il desiderio, che raggiunta l'intesa fra Governo e Parlamento, tutto il popolo aderisse agli scopi del Governo e combattesse per questi, lasciando ai moderatori responsabili la soluzione dei particolari. Deve ritenersi che il deputato Erzberger fu, nel dir questo, il portavoce della maggioranza del Reichstag. Nella opposizione dei conservatori e dei liberali-nazionali si avrà, forse, adesso una sosta, ma non è possibile sperare che i pangermanisti desisteranno dall'assalire la politica del Governo circa la pace.
Subito dopo il Cancelliere si levò a parlare il Segretario di Stato per gli affari esteri, dottor von Kühlmann, per integrare le parole del primo, come fece, con grande successo. Il modo con cui il signor von Kühlmann parlò della coraggiosa iniziativa del Papa per la pace, la cui offerta di mediazione rappresenta un fatto
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importante nella storia di questa guerra e una pagina di gloria indelebile per la diplomazia vaticana, dimostrò la grande importanza che il Governo germanico attribuisce all'azione del Santo Padre. La quale, come disse il Segretario di Stato, ha reso possibile al popolo e al Governo tedeschi di esporre di nuovo, e in maniera non ambigua, la politica nazionale. Nazionale è, infatti, la politica rispecchiata nella risposta alla Nota pontificia d'accordo con la maggioranza del Reichstag. Nazionale, disse il Segretario di Stato, tanto per la genesi come per il contenuto della risposta, che è il risultato della collaborazione di tutti gli organi del Governo e dei rappresentanti del Reichstag. Egli fece l'elogio di questa collaborazione e la disse un primo tentativo che oltrepassa gli usi di paesi retti a sistema parlamentare e che può riempire di fiducia e di speranza un uomo di Stato cui stia a cuore la politica della Germania. In tali parole è il consenso del Segretario di Stato alla pace per via d'intesa e la sua approvazione del lavoro in comune dei moderatori responsabili della politica estera con la rappresentanza nazionale, che ha stabilito il carattere fondamentale di questa pace. Con grande efficacia il dottor von Kuehlmann confutò l'opinione che fra la direzione dell'Impero, in largo senso, e il Comando supremo dell'esercito esistano divergenze sulle linee principali della politica tedesca circa la pace esposta nella Nota al Papa. Né può rimanere senz'effetto all'estero la dichiarazione del signor von Kuehlmann che la collaborazione con la rappresentanza nazionale è da considerarsi un'agevolazione
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ed un rafforzamento della direzione degli affari esteri. Sulla scorta del fatto che i punti essenziali della risposta tedesca alla Nota pontificia, quali vennero presentati dal Governo, sembrarono accettabili ai rappresentanti di tutti i partiti, egli poté sventare facilmente il noto tentativo dell'intesa [sic] di dipingere la situazione in Germania come se il Governo attuasse una politica diversa da quella voluta dal popolo. I pensieri che il Segretario di Stato svolse, riallacciandosi al concetto storico d'Europa, sono imbevuti di uno spirito umanitario, dì quel "nuovo spirito" di cui è parola nella risposta della Germania al Papa. In due punti il Segretario di Stato sfiorò l'argomento che negli ultimi tempi fu al centro delle discussioni degli scopi di guerra, in primo luogo là dove egli definì una sfrontata invenzione la voce dell'esistenza d'una nota verbale tedesca sul Belgio; in secondo luogo là dove mise in sodo che il molto discusso articolo delle "Münchener Neuesten Nachrichten" sul Belgio, è un puro lavoro dì redazione.
Quanto alla discussione che si svolse dopo i discorsi del Cancelliere e del Segretario dì Stato noi abbiamo già notato che il deputato Erzberger si disse d'accordo con le dichiarazioni del Cancelliere. Aggiungiamo ora che pure un oratore del partito democratico-progressista si manifestò sodisfatto [sic] che le questioni territoriali siano state trattate così riservatamente nella risposta al Papa, che egli salutò quale continuazione della politica della maggioranza del Reichstag e definì come un atto in cui si riflette la volontà unanime
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e la politica concorde di tutti gli organi competenti, e cioè Governo, Reichstag e Comando supremo dell'esercito. Solo gli oratori socialisti manifestarono il desiderio di più precise dichiarazioni del Governo sui suoi scopi di guerra. I conservatori non negarono il loro riconoscimento alla manifestazione del Papa per la pace: il loro rappresentante dichiarò che la Nota del Papa reca l'impronta innegabile di morale serietà e di sincero buon volere. Degno di rilievo è che, sia l'oratore dei conservatori come quello dei nazionali-liberali, non negò di aver approvato le linee fondamentali della risposta della Germania al Papa, che però assunse un diverso carattere quando, nel primo abbozzo, fu inserita l'esplicita menzione della"risoluzione" del Reichstag del 19 luglio. Questa dichiarazione dimostra che il Governo ritenne opportuno di manifestare ancor una volta, chiaramente, il suo accordo con il Reichstag. A ragione un oratore del Centro disse che non è più possibile che la politica del Governo diverga da quella del Reichstag. Ciò è confermato pure dalla surriferita esplicita dichiarazione del Cancelliere che dopo la risposta alla Nota pontificia, nella quale gli scopi di guerra della Germania sono stati accennati chiaramente, ogni altro chiarimento è superfluo, giacché nella risposta è fatta esplicita menzione della manifestazione del Reichstag per la pace.
L'accoglienza fatta dalla stampa ai discorsi del Cancelliere e del. Segretario di Stato per gli Affari esteri si può riassumere così: I giornali dei conserva-
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tori e dei pangermanisti si attaccano alle parole del Cancelliere che il Governo ha mano libera per eventuali trattative di pace, anche riguardo al Belgio. Essi estraggono queste parole dall'insieme delle dichiarazioni del dottor Michaelis e passano sopra interamente al fatto che il Cancelliere si è richiamato di nuovo, esplicitamente, alla manifestazione del Reichstag per la pace. Con intenzione non si tiene nessun conto che il Cancelliere può avere avuto in mente soltanto una libertà di azione nei limiti segnati dalla risposta alla Nota del Papa e dalla "risoluzione" del Reichstag per la pace. Se dunque i giornali dei conservatori e dei pangermanisti commentano la frase della "mano libera" come un trionfo sui partiti della maggioranza e la loro politica, la cosa si può psicologicamente comprendere, ma occorre aggiungere subito che essa non corrisponde neppure lontanamente alla realtà. Del resto conservatori e pangermanisti non possono nascondere una certa diffidenza di fronte alle dichiarazioni del Cancelliere. Dietro il fatto che egli si rifiutò di render noti gli scopi di guerra tedeschi, o si teme che, in segreto, questi scopi siano stati confidati ad intermediari, ovvero si sospetta la possibilità che il Belgio, nelle trattative, possa venir considerato come un termine di accomodamento. Prevale, però, il consenso alle dichiarazioni del Cancelliere, anche se questo consenso è fondato sopra una frase arbitrariamente avulsa dal contesto, sopra una base capovolta con intenzione. Insodisfatta [sic] è, invece, la stampa pangermanista del discorso del signor von Kuehlmann. Essa non si perita, anzi, di costruire
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un'antitesi fra la politica del Cancelliere e quella del Segretario di Stato, quantunque proprio il signor von Kuehlmann, nel suo discorso, abbia insistito sull'unanimità di tutti gli organi del Governo e di questo con il Reichstag.
La stampa dei pangermanisti crede, dunque, di potersi compiacere di una repulsa della politica del Reichstag da parte del Cancelliere. Quanto ai giornali dei partiti della maggioranza essi plaudono alle dichiarazioni del Governo, il che costituisce la miglior prova di quanto sia errato il giubilo degli avversari. I giornali del Centro, dei democratico-progressisti, dei socialisti, e dell'ala sinistra del partito nazionale-liberale si soffermano specialmente sul rifiuto del Cancelliere di comunicare sin d'ora, apertamente, il pensiero del Governo sui singoli scopi di guerra e sulla dichiarazione che il Governo ha mano libera per le future trattative di pace. La maggioranza di questi giornali si dicono d'accordo con l'avviso del Cancelliere, nella supposizione che essendo la politica del Governo ormai identica con quella del Reichstag, si debba concedere al primo libertà d'azione, e che urterebbe contro i precetti più elementari del negoziare, il render noto anticipatamente le concessioni che la Germania può comunicare solo al tavolino della conferenza della pace, udite e valutate le concessioni della parte contraria. La fiducia che questi giornali dimostrano di avere nel Governo è ben fondata, non potendosi avere più dubbi sulla rotta politica. Questa fiducia è manifestata pure dai giornali
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che ancor oggi dichiarano di ritenere che il Governo non si legherebbe le mani, nella importante questione del Belgio, se si dicesse pronto a restituire questo pegno a condizioni da determinarsi in un accordo e che dovrebbero essere accettabili per rivelarsi efficaci ("Frankfurter Zeitung"). Ma, come abbiamo detto, pure questi giornali sono, con il signor von Kuehlmann, dell'avviso che sia desiderabile mantenere la concordia all'interno: quindi essi sono disposti ad appoggiare, anche in avvenire, il Governo, avendo fiducia nel senso della realtà e nell'indipendenza di giudizio del Segretario di Stato. Senza riserve di sorta, gli organi della maggioranza approvano le parole del Segretario di Stato sull'appello del Papa e il fatto che egli non trascurò di far notare che la risposta della Germania rispecchia la volontà della stragrande maggioranza del popolo tedesco. Questa dichiarazione del Governo produce tanto maggiore sodisfazione [sic] quanto più i pangermanisti si sono ostinati e si ostinano a ripetere che dietro i partiti della maggioranza non è la maggioranza del popolo.
La situazione politica interna, dopo le dichiarazioni del Cancelliere e del Segretario di Stato per gli affari esteri, può riassumersi dicendo che i partiti della maggioranza considerano le dichiarazioni del Governo capaci di ristabilire la concordia fra tutti i cittadini, alla qual cosa sono disposti a contribuire. Ma la ristaurazione e conservazione di questa concordia dipende dalla condotta dei pangermanisti. L'azione del neo Partito della patria, fondato per combattere la politica dei par-
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titi della maggioranza, e che ora, dopo che il Governo ha identificata la sua politica con quella del Reichstag, si rivolge pure contro il Governo, non conforta a soverchie speranze in un ritorno della calma negli spiriti. L'essenziale, però, è che il Partito della patria, cui fa adesione solo una piccola minoranza, non è in grado di far nulla contro il blocco del Governo e dei partiti della maggioranza.
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], La politica estera al Reichstag e la situazione politica in Germania rispetto alla pace vom 02. Oktober 1917, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 7000, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/7000. Letzter Zugriff am: 23.04.2024.
Online seit 24.03.2010, letzte Änderung am 29.09.2014.