Dokument-Nr. 965
[Erzberger, Matthias]: Le due dichiarazioni del Cancelliere sul Belgio e la stampa dei partiti tedeschi, 18. Juli 1918
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Il Cancelliere dell'Impero conte Hertling ha fatto due
dichiarazioni sul Belgio; la prima giovedì (11 c.m.) e l'altra il giorno successivo
(venerdì 12). Alle due dichiarazioni fu dato anzitutto il carattere confidenziale. I
partiti della maggioranza trovarono quella del giovedì alquanto ambigua. Essa dice:
"Per quel che riguarda l'ovest, o Signori, è sempre la questione belga che sovrasta tutte le altre. La nostra intenzione è sempre stata, fin dal principio della guerra, di non annetterci il Belgio. La guerra è sempre stata per noi fin dal suo inizio, come ebbi a dire anche il 29 novembre, una guerra di difesa e non di conquista. Le necessità di guerra ci imposero di marciare nel Belgio, ed un'altra necessità di guerra pure imprescindibile fu quella di occuparlo. Che noi abbiamo colà introdotto l'amministrazione civile corrisponde completamente al regolamento dell'Aja sulla guerra terrestre. Corrispondentemente a ciò noi abbiamo introdotto l'amministrazione tedesca in tutti i rami, ed io credo che ciò non sia avvenuto a svantaggio della popolazione belga. Il Belgio è nella nostra mano il pegno per i negoziati futuri. Un pegno significa: la garanzia contro certi pericoli che si mantengono lontani appunto tenendo il pegno saldamente in mano. Questo pegno si restituisce sol quando i pericoli son tolti di mezzo. Il pegno del Belgio significa per noi dunque: che nelle condizioni di pace ci assicuriamo, come ebbi a dire altra volta, che il Belgio non divenga più il
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territorio di marcia dei nostri nemici; e questo non solo in senso militare, o
Signori, ma anche in senso economico. Noi dobbiamo assicurarci di non venire
strozzati economicamente dopo la guerra. Il Belgio non può fare a meno della Germania; non
può farlo né per i suoi rapporti, né per la sua situazione, né per il suo sviluppo. Se noi
entreremo nel campo economico in istretti rapporti col Belgio, ciò avverrà nell'interesse
del Belgio stesso. Se ci riuscirà di entrare in istretti rapporti economici col
Belgio, se ci riuscirà di intenderci con questo paese anche sulle questioni
politiche, le quali toccano gli interessi vitali della Germania, avremo la certa
prospettiva di possedere migliori garanzie contro pericoli futuri che potrebbero minacciarci
e dal Belgio, e attraverso il Belgio, da parte dell'Inghilterra e della Francia. Anche in
questo il Segretario di Stato von Kühlmann era d'accordo con me. Da queste parole chiara risulta l'intenzione di procedere alla guerra di sola difesa e di esser pronti ad una pace d'accomodamento. Eppure, nei riguardi del Belgio, esse determinarono dei dubbi nei partiti della maggioranza, i quali domandarono al Cancelliere dilucidazioni. Questi corrispose di buon grado e già il giorno seguente, venerdì 12 luglio, fece quelle dichiarazioni suppletorie sulle quali abbiamo già fatto rapporto ma che ripetiamo qui per maggior semplicità:
"Per ciò che si riferisce all'avvenire del
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Belgio, l'occupazione e l'odierno possesso significano
soltanto, come dissi già ieri, che noi abbiamo un pegno per le future trattative. È proprio
del concetto di pegno che ciò che si ha in mano come pegno non si vuol conservare se le
trattative conducano a un buon risultato. Noi non abbiamo l'intenzione di conservare in
qualsiasi forma il Belgio. Noi desideriamo, precisamente come io già dissi il
24 febbraio, che il Belgio, risorto dopo la guerra, non sia come Stato indipendente
vassallo di nessuno e viva con noi in buoni rapporti d'amizia [sic]. Questo è il
punto di vista che io ho abbracciato, sin dal principio, nella questione del Belgio e nel
quale oggi ancora persisto. Signori! Questo lato della mia politica è strettamente connesso
con le idee direttive generali che io ho esposto a voi ieri. Noi combattiamo la guerra come
guerra di difesa! Perché noi la combattiamo come tale, perché da noi, sin dal principio, fu
lontana ogni tendenza imperialistica, ogni idea di predominio mondiale, anche i nostri scopi
di guerra non saranno in contraddizione con ciò. Quel che noi vogliamo è l'integrità del
nostro territorio, libertà per lo sviluppo del nostro popolo, specialmente nel campo
economico, e, com'è naturale, pure l'assicurazione necessaria da future critiche situazioni.
Ciò vale interamente anche per il punto di vista che ho abbracciato rispetto al Belgio.
Ma la determinazione particolare di questo punto di vista dipende dalle future trattative. Su ciò io non posso fare ora nessuna dichiarazione impegnativa. Io mi devo restringere a ripeter qui espli-
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citamente, ancor una volta,
queste generali linee direttive, ma credo, tuttavia, di poter rivolgere adesso a Voi la
preghiera: Aiutateci Voi pure affinché ci riesca di mantenere all'interno l'unità del fronte
così importante per i nostri fratelli al campo; aiutateci tutti affinché ci riesca di
perseverare con successo in questo duro tempo della guerra che siamo costretti a combattere,
sinché dobbiamo combatterla, sino ad una fine onorevole." Queste parole soddisfecero tutti i partiti della maggioranza del Reichstag, ma non mancarono di provocare le ire dei conservatori, specialmente del conte Westarp. Il Governo riconobbe che le comunicazioni confidenziali sull'atteggiamento tedesco dinanzi al problema belga non potevano ottenere l'effetto desiderato dalla maggioranza ossia servire alla pace. Per questo il Governo si decise di pubblicare le dichiarazioni fatte dal conte Hertling al venerdì. Le quali costituiscono l'ultima manifestazione di volontà del Cancelliere ed erano state fatte per togliere di mezzo i dubbi che il discorso del giovedì avrebbe potuto ingenerare.
Ora era la stampa di destra che sfogava tutta la sua scontentezza per le dichiarazioni del venerdì. L'intenzione di restituire il Belgio è contraria alla politica pangermanista e conservatrice; e nell'intento di bilanciare, in certo qual modo, l'effetto della dichiarazione del venerdì, la "Kreuzzeitung" domandò che si procedesse alla pubblicazione anche di quelle del giovedì.
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Essendo questo stato fatto è
venuta a crearsi la seguente situazione: che la prima dichiarazione, quella del giovedì,
alla quale tenne dietro quella definitiva del venerdì, è stata pubblicata per ultimo, col
pericolo che essa venga considerata l'espressione definitiva del Governo tedesco sul Belgio.
Ma questo non è il caso, e solo la dichiarazione del venerdì rappresenta l'ultima parola del
Cancelliere sulla questione belga, sebbene la dichiarazione del giovedì sia stata pubblicata
susseguentemente. È dunque alla dichiarazione del venerdì che noi dobbiamo attenerci. I giornali della maggioranza deplorano la possibilità di un malinteso e deplorano il servizio di notizie ufficiose che vuol frustare del loro pieno effetto le dichiarazioni del venerdì, per quanto anche da quelle del giovedì risulti che la Germania ufficiale non persegue fini annessionistici relativamente al Belgio. Essi salutano le dichiarazioni del venerdì come il punto di vista ufficiale tedesco non mai espresso colla chiarezza di oggi. Corrisponder esse – dicono – a quello che, per considerazioni generali internazionali, è, da lungo tempo, una necessità, e, quindi, anche agli interessi tedeschi. Esse contribuiranno alquanto a chiarire l'atmosfera internazionale creata col congedo del signor von Kühlmann e a diminuire fra le nazioni combattenti quei malintesi che rendono la pace impossibile. Alcuni giornali della maggioranza avrebbero desiderato che il Cancelliere non avesse avanzato il concetto del pegno, ed esprimono il loro rincrescimento che non sia stato ben scelto il momento
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per far dichiarazioni, le parole del Cancelliere del
venerdì vengono registrate con gioia, come un grande progresso verso la chiarezza sui fini
di guerra tedeschi. Il quadro è ben diverso, nella stampa conservatrice e in quella pangermanista. Qui le dichiarazioni del Cancelliere sul Belgio hanno prodotto un fiero disinganno. La disillusione è tanto maggiore inquantoché dopo la dipartita del signor von Kühlmann, si sentivano vittoriosi su tutta la linea. Il Cancelliere che aveva grandemente lodato la stampa di destra vien fatto segno ad abili e velati attacchi, e gli vien detto, come a suo tempo al signor von Bethmann-Hollweg, di aver ceduto alla maggioranza del Reichstag e ai socialisti. La stampa di destra per non dare a veder troppo il suo disinganno, si attacca al fatto che il Cancelliere ha parlato due volte sul Belgio, che la dichiarazione, del venerdì deve considerarsi come una concessione dinanzi alla quale quella del giovedì rimane in forza, e questa dichiarazione del giovedì vien interpretata secondo i desideri pangermanistici, sebbene ciò riesca assai difficile ai vari organi. All'organo massimo dei conservativi, alla "Kreuzzeitung", importa anzitutto di togliere alla dichiarazione del venerdì qualsiasi effetto all'estero, dichiarandola un atto di pura politica interna, dettato dalle preoccupazioni dinanzi al socialismo. A ragione gli organi della maggioranza osservano che la Destra appoggia, evidentemente, con questi suoi metodi, l'intenzione dell'estero di rappresentare falsa ed ambigua la politica tedesca. Essi osservano inoltre che anche la dichiarazione del giovedì, obiettivamen-
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te interpretata, non da motivo ad
ambiguità, di cui i conservatori possano servirsi per i loro scopi. Infatti il Cancelliere
disse espressamente che un accordo col Belgio avrebbe rappresentato la migliore garanzia per
la Germania. Egli l'espresse a chiare note con queste parole: "Se ci riuscirà di intenderci
col Belgio anche sulle questioni politiche avremo la certa prospettiva di possedere le
migliori garanzie contro pericoli futuri". È davvero grottesco che dinanzi al conte
Hertling, persino il signor von Kühlmann, partitosene con gran gioia dei pangermanisti, sia
portato oggi alle stelle per aver tollerato più volte il rimprovero della sinistra di esser
troppo malcerto nella questione belga. Gli organi pangermanisti danno forma alle loro
apprensioni avanzando la domanda: "Che cosa avverrà, ora, della politica fiamminga?" La
"Deutsche Tageszeitung" domanda lo smembramento del Belgio, l'allontanamento della Dinastia
e lo sviluppo pratico delle due stirpi. Essa muove al Cancelliere il rimprovero di essersi
completamente dimenticato della questione marittima. La ristaurazione del Belgio e
l'abbandono delle coste fiamminghe ricondurrebbe la forza e il diritto navale tedeschi ad
una frazione persino di quelli attuali, e farebbe della libertà dei mari e della libera aria
per lo sviluppo del popolo tedesco nient'altro che frasi vuote. Anche il Partito della
Patria venne fuori con una dimostrazione sulla quale comunichiamo il seguente passo: "Per il
Partito della Patria il Belgio non è un pegno soltanto. Per garantire una pace duratura la
forza tedesca deve tutelare sul Belgio l'economia del paese dallo sfruttamento
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cano, i Fiamminghi dal francesizzamento, il
suolo e il lavoro tedeschi dalle devastazioni di una futura guerra e non per ultimo i mari
dalla tirannia inglese. Noi non vogliamo annessioni! Noi vogliamo una libera Fiandra e
vedere assicurate le condizioni di vita del popolo germanico. Il Partito della Patria
tedesco si impegnerà con raddoppiata forza per questi fini di guerra e invita i suoi amici
ad una energica collaborazione." E il "Berliner Tageblatt" commenta, a ragione: "Che il conte Hertling non avrebbe potuto contare, col suo programma belga, sull'approvazione del Partito della Patria, non ne fu mai in dubbio. I suoi membri non voglion più annessioni oggi, ma una "libera" Fiandra sotto la "effettiva forza tedesca". Alcuni di essi continuano ancora a domandare l'annessione delle coste fiamminghe. A tutto ciò, del resto, non si deve annettere un significato troppo grande."
La discussione nella stampa sul Belgio prosegue. L'argomento ebbe ultimamente nuovo alimento da un telegramma del corrispondente berlinese del giornale di Copenhagen "Politiken" col quale il corrispondente comunicava, dicendo di averlo da fonte competente, essere escluso che la Germania desiderasse di ritenersi il Belgio, ma che se ne sarebbe servito solo come di un oggetto di baratto, specialmente per riavere le sue colonie transoceaniche e l'unione indisturbata con esse. La sorte del Belgio dipendere esclusivamente da questo. La "Kölnische Volkszeitung" che naviga nelle acque pangermanistiche, crede di poter
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leggere dalle
parole del Cancelliere le tre condizioni seguenti per la restituzione del Belgio: 1. Piena integrità dell'Impero tedesco, inclusa l'Alsazia-Lorena e le Colonie tedesche;
2. Pieno rifacimento dei danni economici causati alla Germania nei paesi nemici e nelle loro colonie;
3. Libertà dei mari; piena garanzia del libero traffico navale e di eguale diritto al commercio in tutti gli Stati; esclusione completa della guerra economica dopo la guerra, non solo con promesse sulla carta ma per mezzo di garanzie reali.
La "Kölnische Volkszeitung" continua:
"La sorte del Belgio è nelle mani dell'Intesa. Solo se questa adempirà alle nostre condizioni, il Belgio risorgerà quale Stato indipendente. Finché le condizioni non saranno soddisfatte, il Belgio ci rimarrà saldamente in mano quale pegno. L'Intesa vorrebbe sedersi al Congresso di pace colla questione belga risolta, e più precisamente nel senso che la Germania restituirà il Belgio senza condizioni. Questa marcia diplomatica non riuscirà all'Intesa. Da parte nostra la questione belga verrà posta per la prima sul tappeto e più precisamente nel senso qui esposto. Terminata vittoriosamente la guerra, noi non pensiamo affatto di metterci nella difensiva diplomatica come se avessi-
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mo da accettare quelle condizioni di pace che
l'Intesa si degnasse accordarci. Che noi siamo pronti a restituire il Belgio, l'abbiamo
ormai dichiarato apertamente, ed è una cosa fissa. La prima cosa sulla quale si dovrà
trattare sono le condizioni che ci debbono essere concesse ed assicurate prima che noi
traduciamo in atto pratico la nostra prontezza alla restituzione. Queste condizioni vengono
da noi formulate; e prima che esse siano approvate e fissate per il trattato di pace, non
avrà scopo alcuno di parlare di altre cose. Sarà bene che l'Intesa si abitui a poco a poco a
questo stato di cose. Il Governo dell'Impero tedesco persisterà saldamente su questo punto
di vista ed attenderà con calma che venga il tempo in cui i nostri nemici lo
riconosceranno." Il "Berliner Tageblatt" commenta dicendo che se queste parole fossero ispirate, esse diminuirebbero il valore delle dichiarazioni di Hertling. Infatti, anche i più spinti pangermanisti sarebbero d'accordo col conte Hertling alla condizione che le "garanzie reali" corrispondessero ai loro desideri.
Notevole a questo riguardo è un articolo della "Germania" di Berlino, nella quale si legge:
"Non ci sembra giusto enumerare singole pretese quali condizioni speciali per la restituzione del Belgio; pretese che noi dobbiamo
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avanzare con pieno diritto dinanzi ai
nostri nemici per la garanzia del futuro della Germania. Queste cose debbono, secondo il nostro modo di vedere, esser valutate nel loro complesso dinanzi ai pegni, pure in complesso, che le nostre truppe, grazie al loro valore e all'incomparabile genio dei duci, hanno messo e tenuto nelle nostre mani. Per il Belgio vi è poi la questione speciale della sua posizione futura nel Consiglio dei popoli d'Europa. Prima esso era, secondo la forma, neutrale. Questa forma si è rivelata insincera e la Germania non la tollererà in avvenire. Nello stesso tempo sa bene che anche i nostri nemici non acconsentiranno giammai che del Belgio sia fatto un sedicente paese neutrale egualmente insincero, che in futuro potesse rivolgersi contro di essi. Il conte Hertling si impegna quindi affinché il Belgio non sia vassallo di nessuno. È questa una condizione che i nostri nemici possono accettare benissimo, che debbono anzi accettare se alla conclusione della pace si vogliono lasciar guidare da un certo senso di lealtà verso di noi. Se Hertling domanda ancora dal nuovo Belgio un rapporto amichevole colla Germania, si deve scorgere in questo esclusivamente una richiesta risultante dai rapporti geografici e ben più nell'interesse vitale del Belgio che non della Germania,
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la quale, anche senza questo buon
rapporto potrebbe sì, riportarne danni politici ed economici, ma il Belgio non potrebbe mai
più rallegrarsi della propria vita." È da ritenersi che questa interpretazione del massimo organo della maggioranza, corrisponda molto più alle vere intenzioni del conte Hertling, che non quella fatta dalla "Kölnische Volkszeitung".