Dokument-Nr. 7799
Pacelli, Eugenio an Gasparri, Pietro
[München], 04. September 1921

Schreiber (Textgenese)
PacelliPacelli
Betreff
Circa uno scritto del Sac. Rademacher, professore nella Facoltà teologica di Bonn: "L'idea della unità nella teologia ed il parallelismo della grazia e della natura" (Der Einheitsgedanke in der Theologie und der Parallelismus von Gnade und Natur – Ein Beitrag zur Methodenlehre der katholischen Theologie)
Il 20 Giugno scorso mi venne comunicato da buona fonte seria che il professore di apologetica nella Facoltà teologica della Università di Bonn, Sac. Dott. Arnoldo Rademacher, aveva scritto un libro, che per le sue tendenze modernistiche il quale (come si affermava) per le sue tendenze modernistiche non aveva avuto ottenuto l'"Imprimatur" dalla Curia Arcivescovile di Colonia, ma e che, malgrado nonostante ciò, egli l'Autore si proponeva di diffonderlo fra i suoi amici come "manoscritto". Sapendo che l'ottimo Mons. Prof. Kaas di Treviri doveva recarsi prossimamente in detta C nella suddetta città di Colonia, lo pregai di as procurarmi confidenzialmente al riguardo esatte informazioni al riguardo, pur esprimendo al tempo stesso non dubitando nel la sicurezza che i quel zelante Arcivescovo Emo Card. Schulte non avrebbe [sicu] preso mancato, in caso di bisogno, di prendere ricorrere a gli prendere gli opportuni provvedimenti. in proposito.
L Il sullodato Emo, in seguito a ciò mi scrisse infatti [sul] per suggerimento di Mons. Kaas, mi scrisse difatti sull'argomento in proposito sull'argomento una lettera in l data in data del 30 dello stesso mese di Giugno, che qui acclusa compio il dovere di trasmettere all'E. V. R. insieme alla rispettiva traduzione in italiano a ed ai due [sic] relativi Allegati (Alleg. I, II e III)ed alla rispettiva traduzione italiana(Alleg. I bis, II bis e III bis). In essa il Cardinale Schulte, dopo avermi narrato dato le desiderate notizie, aggiungeva di avere, in seguito alle mie osservazioni, esortato ritirato ail Sac. Rademacher
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il permesso già accordatogli di distribuire privatamente e come mandsc "manoscritto" cento copie del suo lavoro a competenti teologi cattolici, affinché lo giudicassero, emettess esprimessero il loro parere al riguardo, in proposito, e di e di averlo invece esortato a di sottoporlo innanzi tutto al supremo giudizio della S. Sede.
Il Rademacher ha lodevolmente seguito il consiglio il suggerimento dell'Emo Arcivescovo e mi ha inviato l' rimesso due esemplarei del suo lavoro, che qui unito (uno dei quali compio il dovere di trasmettere inviare qui unito all'E. V.  - Alleg. V
con preghiera di sottometterlo alla censura della S. Sede medesima, la cui decisione egli dichiara che "accetterà come definitiva", aggiungendo l'assicurazione che "egli" in tutto il suo insegnamento non ha avuto e non avrà dinanzi agli occhi se non il bene della S. Chiesa". L'Autore osserva nota pure circa il la suo a scritto opera quanto segue: "Lo "Il mio scritto si pone a priori interamente sul terreno del d Dogma e, partendo da questo, intraprende il tentativo metodico di rendere più accessibile alla ragione all'intelletto la cooperazione della grazia e della natura. Per mettere ancor più in evidenza il carattere puramente metodico dello scritto, ho premesso un'ampia prefazione, la quale ha lo scopo di eliminare eventualmente l'obbiezione che la soluzione del problema possa trovarsi in opposizione coi concetti teologici generalmente ammessi".
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Sono fuori di contestazione le buone rette intenzioni soggettive dell'Autore, il quale è, del resto, sacerdote pio e di vita illibata. Come professore di apologetica, egli deve continuamente occuparsi delle obbiezioni moderne, le quali vengono mosse anche da cattolici , colti ed è mosso e si sente spinto dal desiderio di attirare verso la Chiesa quegli ambienti colti, che se ne sono allontanati, ristabilendo, come egli si esprime a pag. 104, la una unione organica fra la d la dottrina cristiana e la politica, la scienza, lo Stato, la letteratura, l'arte, ecc.
Pur riconoscendo tuttavia però la buona volontà dello scrittore, benemerito anche altresì per la sua azione nella vita pubblica cattolica, massima come Segretario generale della Görres-Gesellschaft (sebbene contenga anche cose belle ed utili), e sebbene molte frasi, considerate separatamente e fuori del contesto, permetterebbero una benigna interpretazione, [occorre] non si può tuttavia dissimulare che il suo libro nel suo complesso si presta dà luogo a gravi preoccupazioni e molteplici critiche.
Egli afferma rileva nella prefazione che nella sua opera "si tratta soltanto di un metodo e non di una dottrina. Il metodo non è un giudizio circa determinate proposizioni, ma unicamente circa determinate proposizioni, ma unicamente uno strumento, per mezzo del quale si spera di giungere ad una nuova e più profonda conoscenza cognizione> di un oggetto, già conosciuto nel suo complesso. insieme. Il metodo quindi non è vero né falso, ma atto o messo alla scopo pratico cui è rivolto. Il giudizio intorno a tale attitudine od inettitudine è sottoposto all'accertamento in accertamento scientifico nella sua applicazione al tutto o ad un campo particolare. Tale giudizio quindi nel caso attuale non può essere os dato dal punto di vista del Dogma; il metodo non afferma nulla, non insegna, ma
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piuttosto ammette la dottrina della fede nella sua ampiezza, ed usando e chi lo usa, può rimanere intieramente sul terreno della medesima. Esso cerca di mettere in armonia la fede e la scienza. Il punto di vista della correttezza dogmatica od ecclesiastica non può quindi venire qui in discussione".
Tale separazione fra il metodo e la dottrina è tuttavia, impossibile nella scienza teologica malgrado le affermazioni del Rademacher, impossibile in almeno nella Teologia, ove, applicando un nuovo metodo, si corre pericolo di introdurre anche delle degli errori nella sostanza dell'insegnamento. Perciò la Chiesa ha rivolto sempre la sua attenzione anche al metodo. dell'insegnamento. Il Sillabo di d del Sommo Pontefice di Pio IX ha riprovato la proposizione 13 che dice: "Methodus et principia, quibus antiqui Doctores scolastici Theologiam excoluerunt, temporum nostrorum necessitatibus scientiarumque progressui minime congruunt". E p Parimenti in numerosi Atti di Sommi Pontifici si trovano prescrizioni di ordine metodologico tanto per riguardanti le a scienze a teologiche a.
Ed in realtà, malgrado nonostante le sue afferma assicurazioni, il metodo proposto propugnato dal Rademacher cioè vale a dire, il principio della unità nella Teologia, o "Monismo cristiano", come egli stesso lo chiama (pag. 43), ha portato i suoi effetti anche circa la sostanza della dottrina teologica. Mi limiterò qui ad enu ad indicare soltanto ad alcune delle molte osservazioni, cui si presta a tale riguardo il suo libro.
Innanzi tutto, il concetto della grazia e del soprannaturale, proposto dall'Autore, non sembra <che> possa accordarsi colla comune sentenza dei Teologi. Tale sua concezione è espressa in parecchi punti del libro. Ad
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esempio, <a> pag. 26-27 <così egli già formula la "nuova soluzione del problema della sintesi della natura e del soprannaturale", soluzione, la quale, come egli crede, "tiene conto nel modo più pieno così delle esigenze della natura e del soprannaturale, come del bisogno di unità": Essa è la seguente:> "La c<C>reatura per la sua intima natura è contingente, e quindi per se stessa in ogni momento soggetta all'annientamento. Ora Iddio, per pura grazia, cedendo all'impulso della propria natura, che è bontà per essenza, prefigge alla creatura il fine della somiglianza con Dio, le concede la perpetuità ed accompagna, mediante la sua cooperazione colle forze della natura create, la evoluzione ascensionale della creazione verso la somiglianza con Dio." Ed a pag. 60:
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Il principio fondamentale, su cui si basa il sistema del Rademacher, è l'idea della unità (pag. 17 e seg.) o "Monismo cristiano" (pag. 43). Tale tendenza monistica è innata al nostro intelletto (pag. 22); "il nostro pensiero è essenzialmente monistico, ossia basato sulla unità" (pag. 20),, ed è perciò che esso richiede a priori l'unità e la compatibilità fra la natura e la grazia (ibid.). È quindi sommamente importante di applicarla e detta idea alla concezione religiosa concezione filosofica del mondo (Weltanschauung) e religiosa del mondo (Weltanschauu n g), et quidem e ciò nella forma propria dell'età nostra, vale a dire ed è perciò che l' il nostro intelletto richiede a priori l'unità e la compatibilità fra la natura e la grazia (ibid.). L'idea della unità deve inoltre essere poi applicata alla religione ed al Cristianesimo nella forma propria all'età nostra, ossia secondo la [ein Wort unlesbar] dottrina della evoluzione. "Il bisogno di unità del nostro pensiero (osserva l'Autore) allora sarebbe massimamente soddisfatto, se si potrebbe ammettere che l'Assoluto in unico Atto ha posto in essere il Relativo, e tutta la creazione ha condensato in unico germe, il quale ora, sempre guidato dalla cooperazione dell'Assoluto, si evolve spontaneamente, cosicché la materia porta in sé la tendenza alla vita, la vita la tendenza alla sensibilità, la sensibilità la tendenza al pensiero, il pensiero la tendenza alla visione intuitiva intuizione" " (pag. 25). "L'aborrimento "La paura paura
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Da tale principio discende deriva il concetto della grazia e del soprannaturale proposto dall'Autore e che trovasi espresso in parecc parecchi punti del libro. Ad contra il di fronte al del Darwinismo ed il e del Monismo evolutivo (nota egli pure) è stata la causa per cui i teologi sono stati anche troppo a lungo avversi contrari> all'idea della evoluzione e non hanno conosciuto quanto utile essa possa divenire per la storia della religione e del dogma. Tale paura deve però ora cessare. Separandola risolutamente dal Monismo e dal naturalismo, non solo non vi è nessun pericolo nell'applicazione della idea dell'evoluzione alla religione ed al dogma, ma anzi vi si ritrova un prezioso principio di indagine." (ibid.)
Da tale principio deriva la "nuova soluzione del problema della sintesi della natura e del soprannaturale", soluzione, la quale "tiene conto nel modo più pieno così delle esigenze della natura e del soprannaturale, come del bisogno di unità", e che il Rademacher già a pag. 25 6-27 formula nei seguenti termini: "La creatura per la sua intima natura è contingente, e quindi per sé stessa in ogni momento soggetta all'annientamento. Ora Iddio per pura grazia, cedendo all'impulso della propria natura, che è bontà
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per essenza, prefigge alla creatura il fine della somiglianza con Dio, le concede la perpetuità ed accompagna, mediante la sua cooperazione colle forze create, la evoluzione ascensionale della creazione verso la somiglianza con Dio.
L'ordine della salute è, considerato da parte di Dio, natura – Iddio può operare soltanto secondo la sua natura –, considerato da parte dell'uomo, grazia – egli non ha per sé alcun diritto verso Dio". Quindi In altre i parti termini, Quindi Dunque In tal guisa, secondo il Rademacher, in virtù della grazia la creatura è conservata nell nell'essere e riceve la immortalità e la somiglianza con Dio.
Il "parallelismo fra la grazia e la natura" è più largamente esposto nella seconda parte del libro (pag. 53 e seg.), ove troviamo ripetuti i surriferiti concetti. Così a pag. 60:
Egualmente a pag. 60 l'Autore così si esprime: "Il soprannaturale…
Tale concetto è più ampiamente svolto nella seconda parte sul "parallelismo della grazia e della natura ," (che l'Autor l'Autore a pag. 86 chiama altresì "parallelismo fisico-iperfisico"). Così, infatti, egli si esprime a pag. 60: si esprime il l'Autore: "Il soprannaturale…
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"Il soprannaturale quindi può consistere soltanto nel maggior possibile avvicinamento del creato, segnatamente dell'uomo, alla divinità stessa, e l'ordine della grazia nella illimitata potenzialità evolutiva, concessa per libera volontà divina, della natura, soprattutto dell'uomo, verso la più alta somiglianza con Dio." – Ciò viene esposto più particolarmente nella stessa pagina 60 e 61 nella susseguente, ove la conservazione dell'essere per un tempo più lungo di quello, che per natura gli compete, è dichiarata un elemento costitutivo del soprannaturale e della grazia, sicché l'immortalità dell'anima umana apparisce donata per grazia soprannaturale e quindi come un elemento essenziale del soprannaturale. (1). (1)
Il L'altro [suo] elemento è la suaccennata suddetta illimitata potenzialità evolutiva verso la somiglianza con Dio . (2). (2)
Ciò è affermato Simili concetti idee si ritrovano anche a pag. 62: "Il concetto del soprannaturale ha senso soltanto, se indichi qualche cosa che si
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aggiunge alla natura. Un tale donum superadditum può per sé essere inteso in due modi: cioè o che Iddio, facendo seguire storicamente la elevazione alla creazione, impartisce in seguito all'uomo già formato od all'umanità già creata un corredo di doni più alti di quel che abbia avuto l'intenzione di fare od abbia fatto in principio – nel senso della καινή κτίσις paolina, presa letteralmente –, oppure che insieme alla creazione gli concede al tempo stesso la perpetuità e la potenza di evolversi illimitatamente in senso ascensionale verso la somiglianza con Dio, garantendogli la sua amorosa esistenza per il raggiungimento di tal fine. Questa ultima via sembra, pare, anche dal punto di vista della idea di Dio, assolutamente la più probabile."
Sembra erebbe quindi che, secondo il Rademacher, come non si è stato avuto storicamente uno status naturae purae, essendo stato il genere umano fin dalla sua creazione elevato all'ordine soprannaturale, così anche i singoli individui siano dal principio della loro esistenza elevati allo status gratiae supernaturalis, e che, come il genere umano non può perdere la sua vocazione soprannaturale, così in ogni uomo la natura e la grazia siano inseparabili. "Luo "L'uomo (leggesi a pag. 61) può dirsi un figlio della grazia come un figlio della natura, secondo che si consideri dal punto di vista della libertà creatrice ovvero della sua <reale> costituzione; di il che secondo tutto il contesto sembra <parrebbe> indi
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con che in
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"Colla vocazione dell'uomo alla somiglianza con Dio (leggesi infatti a pag. 61) è in principio già posto l'ordine soprannaturale, sebbene il fine non sia ancora raggiunto… Secondo tal In corrispondenza, poi, di questo fine è sono determinatae poi altresì le doti della natura umana. Dio era libero nel fissare il fine per la creazione dell'uomo, vale a dire nello stabilire la misura della somiglianza con Dio, che egli avrebbe l'uomo dovrebbe raggiungere nella sua evoluzione ascensionale verso il Creatore. Una volta però fissato quel fine, Iddio non era più libero nel nell'impartire alla natura le doti per il raggiungimento del medesimo. Le doti La costituzione dell'uomo come essere naturale sono è in ogni caso naturale, per quanto alte a, ossia per quanto capace di somiglianza con Dio possa essa pensarsi; ma come opera della grazia o della libertà divina è essa invece in pari grado non meno anche soprannaturale, perché la libertà divina non è obbligata in nessun momento a [conservargli] l'esistenza dargli l'essere ed inoltre, una volta questo concesso elargito, può, almeno di potentia absoluta, ad ogni grado della evoluzione ascensionale troncare il filo, per quanto poco un tale ciò sia da attendersi potentia ordinata. L'uomo in tal guisa può dirsi egualmente un figlio della grazia
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come un figlio della natura, secondo che si consideri dal punto di vista della libertà creatrice ovvero della sua reale costituzione"; il che sembra il che val quanto sembra valga quanto dire affermare che
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in ogni uomo grazia e natura sono realmente la stessa cosa, distante soltanto ratione; gli i medesimi doni e forze sono natura, in quanto appartengono all'essenza dell'uomo, quale egli è, e grazia, in quanto sono dati liberamente da Dio. (1)(1) Nel libro in discorso non trovasi risolta la questione, se anche gli uomini, i quali muoiono in peccato grave, abbiano la perpetuità od immortalità e la evoluzione, che, come si è ca veduto, sono gli elementi costitutivi della grazia. Se però questa si distingue dalla natura soltanto ratione, la risposta dovrebbe essere affermativa. per pura sua liberalità.In conformità di ciò, il Rademacher a pag. 76 enuncia la "tesi, che le forze per il soprannaturale sono già predisposte (angelegt) nella natura stessa ed a pag. 86 definisce la grazia "la conservazione nell'essere (Fortbestand) elargita per libera bontà, nonché il fine della più alta somiglianza con Dio e le disposizioni per la d medesima, (1).(1) Anche nel testo succitato (pag. 62) la grazia soprannaturale importava "la perpetuità e la potenza di evolversi illimitatamente in senso ascensionale verso la somiglianza con Dio". come nella precedente pag. 85 egli aveva notato che "Iddio ha posto nella natura i germi evolutivi della somiglianza con Dio".
Quando poi l'Autore enuncia la "tesi" che "le forze per il soprannaturale sono già predisposte (angelegt) nella natura creata" (pag. 76), quando parla di un "anelito (Trieb) immanente della natura verso il soprannaturale", (pag. 71), quando afferma che "Iddio ha posto nella natura i germi evolutivi della somiglianza con Dio" (pag. 85), ciò può essere facilmente inteso in senso erroneo, ed sembra oltrepassare quello che i teologi insegnano sulla difficile e contestatao concetto della potentia obo edientialis ., cui il Rademacher vuol riferirsi (pag. 71). È lecito peròNon si vede anzi di domandarsi chiedersichiaramente come questa teoria possa conciliarsi colla dottrina intorno alla gratuità della grazia, che è pure ammessa affermata dall'Autore (pag. 65), il quale vuol respingere anche da sé l'accusa di naturalismo o di pelagianismo (pag. 7).
Il Rademacher, del resto, pone [sostiene] ponepone egli stesso esplicitamente la propria concezione della grazia e del soprannaturale in opposizione a quella tradizionale dei teologi. Egli scrive infatti a pag. 62: "Qui è lecito domandarsi: Come si spiega che gli antichi teologi, una parte dei una parte dei quali tutti pure in parte sogliono suol trattare con tanto amore del soprannaturale dal lato così speculativo come positivo, non abbiano affermato più profondamente questo concetto, fermandosi e si siano invece fermati nel definirlo a dire che è una elevazione, proveniente dal di fuori, della natura sopra se stessa?" Ed a pag. 63-64, a proposito della nota controversia Clemens e Schäzler-Kuhn, l'Autore osserva: "La questione stessa… era impostata falsa-
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mente. La grazia era intesa da ambedue le parti come qualche cosa che dal di sopra e dal di fuori si aggiunge alla natura dell'uomo, invece di dire che il perfezionamento stesso della natura si operava solo per mezzo della grazia". Parimenti a pag. 86 di il concetto tradizionale, criticato dall'Autore, è di nuovo formulato nel senso che la grazia sia "una realtà, la quale dal di sopra e dal di fuori sopravviene alla natura".
Secondo il Rademacher, <"il fine ultimo del creato consistente giacente nella infinità, la somiglianza con Dio," non è "raggiungibile in nessun tempo empirico" (pag. 64),> lo status gloriae, non è realmente raggiungibile in nessuno stadio empirico dell'esistenza (pag. 64), ma l'uomo si avvicina alla sua illimitata evoluzione sempre più a questo <tal> fine. che consiste nella "In questo senso l'ordine della grazia è un ideale, che <di cui> l'uomo e l'umanità non possono impossessarsi se non per approssimazione" <(pag. 62).> Che cosa vuole l'Autore intendere <dire> con ciò? Che l'uomo sing individuo, anche dopo la morte, anche dopo la morte, rimane in una continua ed infinita evoluzione ascensionale verso il fine, che egli non può mai intieramente raggiungere, ovvero è invece od è invece intesa in tale evoluzione <che> l'umanità nel suo complesso complesso? Alcune espressioni sembrano si trova in stat tale stato di evoluzione? Alcune espressioni <(cfr., ad es., pag. 66)> farebbero ritenere che l' lo scrittore abbia inteso questo secondo senso; ma sebbene sia ma è difficile di comprenderlo chiaramente.
Nemmeno si trova risolta la questione, se anche gli uomini, che <i quali> muoiono in peccato grave, abbiano la perpetuità <od immortalità> e la evoluzione, che sono, come si è veduto, gli elementi
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costitutivi della grazia. Se però questa si distingue dalla natura soltanto ratione, la risposta dovrebbe essere affermativa.
<Dopo di ciò si può fondatamente dubitare se l'Autore ben si apponga, allorché asserisce che col suo metodo "non solo nulla si detrae alla dignità della grazia, ma questa anzi ora per la prima volta apparisce dinanzi a noi in tutta la sua grandezza o sovrem sovraeminente maestà ed umanità, in quanto che essa non soltanto si rende visibile come attraversante con singoli acuti raggi le nubi della natura, ma come a guisa di sole nello splendido meriggio, tutto pervade colla sua luce e col suo calore">
Nel Capitolo "Ordine della grazia e miracoli" (pag. 89-101) facilmente si potrebbe essere <si è> indotti a credere che il miracolo non abbia più una vera importanza per la scienza teologica dei nostri tempi; il che per lo meno si presta a malintesi. Ora invece il <non><si accorda <è conforme>> co<a>lla dottrina del> Concilio Vaticano, <il quale> (Sess. III cap. 9) chiama i miracoli "divinae revelationis signa certissima et omnium intelligentiae accomodata" e al can. 4 definisce: "Si quis dixerit…miracula certo cognosci nunquam posse nec iis divinam religionis christianae originem rite probari, a. s." <Nulla poi osta, secondo l'Autore, a che i miracoli, i quali anche ai nostri tempi si verificano <compiono> nei Santuari, vengano attribuiti, anziché ad un intervento della potenza divina nelle forze proprie esse <a> forze occulte <proprie> dell'anima (pag. 101)>
In tutta <Nel>l'opera del Rademacher si riscontrano inoltre <non poche> frasi equivoche. Così, per citare qualche esempio, a pag. 102 si legge: "Quando la grazia aff
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La ragione è, secondo l'Autore, perché essi non conoscevano chiaramente le leggi e l'ordine della natura né l'idea della evoluzione organica. Perciò, anche a proposito della nota controversia Clemens e Schäzler-Kuhn, il Rademacher osserva: "La questione stessa…era impostata falsamente. La grazia era intesa da ambedue le parti come qualche cosa che dal di sopra e dal di fuori si aggiunge alla natura dell'uomo, invece di dire che il perfezionamento stesso della natura si operava solo per mezzo della grazia". E parimenti a pa (pag. 63-64). E Egualmente parimenti a pag. 86 il concetto tradizionale, criticato dall'Autore, è di formulato nel senso che la grazia sia "una realtà, la quale dal di sopra e dal di fuori sopravviene alla natura." Invece, secondo il Rademacher, Iddio ha posto nella stessa natura natura stessa le forze, colle quali l'uomo tende a consegue il suo ultimo fine. La grazia non è un qualche cosa di esterno né infonde nell'anima nuove energie religiose, ma è un esempio delle forze latenti dell'anima stessa. "Nel disconoscimento o nell'ignoranza di questo carattere naturale del soprannaturale è trovasi la più profonda cagione causa della avversione assai diffusa contro il soprannaturale,… della stravaganza di molte varie sette religiose di tutti i tempi basate su rivelazioni private, come anche una si ten la spiegazione debba del modo singolare, con cui della strana impressione, che alcuni sistemi teologici e certe concezioni ed usi popolari-religiosi fanno sugli uomini d'oggi amanti della natura ed abituati alloa pensiero studio delle scienze mentalità scientifico-naturale" (pag. 77). In tal guisa, "la evoluzione La evoluzione ascensionale della natura umana verso la somiglianza con Dio (continua il Rademacher a pag. 66), si compie colle forze della natura stessa, la quale in tal modo è resa così esecutrice delle intenzioni divine. Già la fede nella capacità e nella voca vocazione a tale compito dato da Dio sprigiona le forze, che conducono all'altezza in alto, come viceversa la credenza nella incorreggibilità dell'individuo e del genere umano li rende questi veramente tali," (pag. 66).
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Il termine però poi di questa tale evoluzione non si può raggiungere in questa vita. "L'ideale della umanità Invero Il Il fine ultimo del creato giacente nella infinità, la somiglianza con Dio, non è raggiungibile in nessun tempo empirico" (pag. 64) ed "in questo senso l'ordine della grazia è un ideale, di cui l'uomo e l'umanità non possono impossessarsi se non per approssimazione" (pag. 62). Tuttavia anche in questa nella vita presente vi è un progresso della natura umana verso la sua perfezione, per la quale "l'uomo raggiunge acquista consegue la sua vera essenza" (pag. 69), sebbene il termine non si raggiunga che nell'altra vita. "Nelle manifestazioni del tempo empirico la natura e la grazia come due parallele non si incontrano insieme, perché perché la natura non ha ancora svolto e in sé tutte le più alte sue disposizioni quali doti, ma conduce una una vita propria,
più o meno forte pronunciata (secondo la minore o maggiore altezza della vita della grazia) . propria vita. Una volta però che la natura ha raggiunto la più alta somiglianza con Dio ed ha con ciò pienamente compiuto attuato la sua propria vera essenza – e ciò può effettuarsi soltanto nella esistenza superempirica –, allora la natura e la grazia non corrono più come parallele, ma s'incontrano e coincidono perfettamente. Nello stato di perfezione dell'altra vita l'uomo consegue la sua destinazione del possesso di Dio mediante la più alta visione ed amore di Dio, ed al tempo stesso la sua piena umanità natura di uomo, quale sin dal principio era pensata nella idea del Creatore" (pag. 113).
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In base ai suaccennati principi il Rademacher tratta a pag. 81 0 e seg. delle relazioni fra la stessa e la rivelazione.– La rivelazione nel senso cristiano è, secondo l'Autore, l'atto di Dio, col quale nel tempo (storico) e Egli ha comunicato agli uomini la grazia e la verità. Ciò importa un dualismo fra la evoluzione storica e la rivelazione e, assoluto sulla "concezione volgare popolare, derivante dalla incompleta conoscenza delle leggi della natura e consegnata anche nella Bibbia"; moderato nella teoria concenzcezione scientifica, la quale, fondata sull'idea della unità, sostiene il principio che "la rivelazione si compie per mezzo della evoluzione naturale". – Così ad esempio nell'Antico Testamento si intenderebbe superficialmente la rivelazione dell'antico Testamento non deve intendersi nel senso, se si credesse "che Iddio abbia dato fatto al suo popolo eletto particolari notizie
<manifestazioni in qualche modo miracoloso particolari manifestazioni", ma piuttosto nel senso che "e Egli abbia dato al popolo d'Israele una particolare indole religiosa, che lo mise in grado di pervenire a più profonde e vere idee circa Iddio ed il di e le cose ed il divine o. "E questa più forte energia religiosa può alla sua volta aver avuto la sua ragione prossima sulle condizioni esterne della vita (la origine, la posizione geografica, il clima, la storia, la situazione politica, l'influenza di uomini eminenti ecc.); in ogni caso
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è Iddio in ultima analisi che ha dato a quel popolo colla sua Provvidenza le condizioni per una più alta evoluzione religiosa" pag. 81. Gli organi della rivelazione (agiografi) non la ricevono immediatamente,<. da Dio,> anche quando sebbene essi, lo credano massime i Profeti, lo credano e lo affermino, ma esprimono le proprie esperienze religiose interne; tuttavia essi non avrebbero potuto farlo, se Iddio non ne avesse dato loro la disposizione e (pag. 83). L'Autore non nega "la possibilità di una illustrazione immediata di Dio nel senso che si dà comunemente alla parola", e che importa ma aggiunge che "essa non può essere presa in considerazione, senza che sia di fatto provata" (pag. 84), di guisa che non apparisce se praticamente <se, secondo il Rademacher,> una tale possibilità assoluta si sia, secondo il R mai di fatto verificata.
Poiché poi l'Autore stesso sente [zwei Wörter unlesbar] che in tal modo rimane vulnerato può apparire indebolito o distrutto, il concetto della rivelazione soprannaturale, strettamente detta, egli cerca, si sforza di sostenere a pag. 84-85, non sembra si vede però con quanto successo, che anche di difendere prevenire tale a e respingere tale critica.
Nel Capitolo "Ordine della grazia e miracoli" (pag. 89 e seg.) si è indotti a credere che il miracolo non abbia più una vera importanza per la scienza teologica dei tempi nostri; il che non è conforme alla dottrina del Concilio Vaticano, il quale nella Sess. III cap. 9 chiama i miracoli "divinae revelationis signa certissima et omnium intelligentiae accomodata" e al can. 4 definisce: "Si quis
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dixerit…miracula certo cognosci numquam posse nec iis divinam religionis christianae originem probari [sic], a. s.". Invece, secondo il Rademacher, "l'interesse della Teologia, così sia scientifica com che pratica, e specialmente dell'apologetica, per il miracolo non è così grande come generalmente si ammette" (pag. 89). "Noi abbiamo acquistato (prosegue egli a pag. 93) un organo più fino per i valori spirituali e morali e per i criteri di fede che da essi si deducono, e non abbiamo quindi più bisogno del miracolo come prova della verità della rivelazione nello stesso grado che i tempi passati, i quali badavano più al visibile ed al sensibile. Le cose meravigliose, che i secoli trascorsi raccontano nelle vite dei Santi, noi le releghiamo quasi intieramente a priori nel campo delle pie finzioni, poiché esse dopo più accurata indagine non resistono alla critica storica e filosofica, e spesso neanche a quella teologica." (pag. 93). Lo stesso vale per i "miracoli della grazia", i quali da noi, che conosciamo le leggi naturali e psicologiche, non sono vengono riferiti senz'altro attribuiti riferiti all'azione immediata di Dio, ma piuttosto alle forze stesse dell'anima (pag. 96). Nulla poi parimenti osta, secondo l'Autore, a che i miracoli, i quali si compiono ai giorni nostri nei Santuari, vengano attribuiti a forze occulte proprie dell'anima (pag. 101).
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Anche l'ultimo paragrafo "Applicazione dell'idea dell'unità ad alcune questioni teologiche di confine (theologisc h e Grenzfragen)" in più di un punto contiene asserzioni incom [risibili] equivoche e pericolose. Così per esempio, a pag. 132: "L'operazione di Dio nell'anima possiamo rappresentarcela psicologicamente nel senso che l'anima per natura tende a Dio, sua origine a suo fine, come spirito verso spirito, e che spetta all'anima di rimuovere gl'impedimenti ed i vincoli, naturali ed acquisiti per propria colpa, che ritardano questa aspirazione, per porre in
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tal modo essa stessa le condizioni che le permettano di trovare Iddio e mettersi con lui in contatto vitale, [precisamente] come una molla balza su da sé stessa, non appena l'impedimento causato da pressione o da peso viene da essa rimosso.
In ogni anima umana, perché è un<a> essere <creatura> spirituale, un essere spirituale, esiste una parabola affinità con Dio e, come gli elementi affini si cercano l'un l'altro, un impulso verso Dio. Quanto meno questo impulso è ritardato da elementi impedimenti esterni od interni, tanto maggiore è la forza della ricerca di Dio e tanto più vigorosa è la libertà morale, ossia l'amore". L'Autore ha preso probabilmente forse probabilmente le sue parole nel senso dell'assioma "Facienti quod in se est, Deus non denegat gratiam"; ma tuttavia simili espressioni possono pure anche intendersi in un senso, che difficilmente si concilierebbe colla dottrina dogmatica intorno alla necessità della grazia contro il Pelagianismo e soprattutto il Semipelagianismo. – Equivoco sembra pure il concetto della ispirazione della Sacra Scrittura esposto nello stesso paragrafo a pag. 130-131: "Non è necessario di ritenere che gli scrittori ispirati della Bibbia, ai quali dobbiamo le più preziose notizie intorno all'essenza della religiosità, abbiano coll'ispirazione imm direttamente e coscientemente ricevuto suggestioni divine, ma, essendo essi dotati di essendo essi natura e religiosa e ricca he di particolari doti doti ed in parte fortemente intuitive, come i Profeti, hanno scritto le cognizioni e gli avvenimenti, di cui la loro propria anima era piena. La
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Sacra Scrittura non cessa per ciò già di essere una rivelazione di Dio, perché per ciò che essa è venuta in essere per mezzo dello spirito umano, e quindi in modo naturale, e poiché che ogni grado della rivelazione corrisponde allo stato della conoscenza religiosa del tempo o dell'eroe religioso, a cui dobbiamo gli scritti medesimi. Iddio non ha dato dal di fuori i lumi religiosi, ma ha conferito allo spirito umano la forza di trovarli esso stesso dalle fonti naturali disponibili sotto l'influsso concomitante della sua grazia". Il che egualmente può essere inteso in un senso che non corrisponde alla dottrina della Chiesa, secondo la quale, Iddio Iddio è l'autore primario dei Libri Santi. – Del pari, secondo il Rademacher, Parimenti "l'efficacia della preghiera si può analizzare psicologicamente. Si chiede, per esempio, l' l'allontanamento delle tentazioni. La fiducia in tale preghiera rinvigorisce realmente l'anima, sprigionando energie latenti a difesa contro gli stimoli antietici" (pag. 134). "Corrispondentemente a ciò non deve attendersi neanche dai Sacramenti e dai Sacramentali alcuna forza magica; essi operano piuttosto in maniera psicologica ed abbisognano e bisogna che e bisogna che se ne tragga pedagogicamente profitto, ed abbisognano della utilizzazione pedagogica, se debbono condurre si vuole che guidino più in alto colui che li riceve" (pag. 135-136).
Dopo quanto si è osservato esposto,(e molto potrebbesi ancora aggiungere altre analoghe osservazioni potrebbero ancora aggiungersi), sembra difficile di dividere l'opinione del Rademacher, allorché egli asserisce che col nuovo suo metodo "non solo nulla si detrae alla dignità della grazia, ma questa anzi ora per la prima volta apparisce dinanzi a noi in tutta la sua grandezza e sovraeminente maestà e benignità, in quanto che essa
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non soltanto si rende visibile come attraversante con singoli acuti raggi le nubi della natura, ma, a guisa di sole nello splendido meriggio, tutto inonda colla sua luce e col suo calore" (pag. 14) invece la dottrina teologica tradizionale ha invece illustrato nel modo più alto i rapporti fra la natura e la grazia, fra l'ordine naturale e l'ordine soprannaturale, chiaramente chiaramente esprimendo le proprietà di ambedue.
Così nel Concilio Vaticano Sess. III cap. 4:"Hoc quoque perpetuus Ecclesiae Catholicae consensus tenuit et tenet, duplicem esse ordinem cognitionis non solum principio, sed obiecto etiam distinctum: principio quidem, quia in altero naturali ratione, in altero fide divina cognoscimus; obiecto autem, quia praeter ea, ad quae naturalis ratio pertingere potest, credenda nobis proponuntur mysteria in Deo abscondita, quae nisi revelata divinitas, innotescere non possunt." Pur distinguendo, poi, il fine naturale ed il fine soprannaturale dell'uomo, cui la grazia è ordinata, <dal fine naturale,> i teologi hanno ch chiaramente esposto non esser essi <come essi non siano fini> disparati, e non differire <come differiscano> tra di loro <non quasi> come due opposti, ma soltanto "sicut quod excedit et quod exceditur", in quanto che sul fine soprannaturale è il eminentemente contenuto tutto il bene del fine naturale.
Molte affermazioni, su cui l'Autore insiste con predilezione, non sono né evidenti per sé né dimostrate, <provate,> ed eccessivo sembra il valore che egli attribuisce all'evoluzione ed alla cultura naturale (pag. 101 e seg.). Nel suo In-
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vece nell'opera del Rademacher l'ordine soprannaturale sembra quasi intieramente oscurato, per non dire distrutto; la rivelazione, la grazia, i sacramenti, la preghiera, l'ispirazione dei Libri santi, i miracoli, appaiono come ridotti ad esplicazioni di energie naturali e psicologiche; i criteri interni sono preferiti agli esterni, e si giunge quasi a negare che la salute dipenda dalla cognizione di fatti storici (pag. 127 nota); del peccato originale, di Cristo, (1)(1) È ben vero che l'Autore a pag. V della Prefazione avverte che il suo metodo "non pretende di spiegare tutte le manifestazioni dell'ordine della salute" ed in particolare "che esso si arresta dinanzi a Cristo ed alla sua opera", ma non sembra che una tale dichiarazione valga a giustificarlo. della redenzione, della Chiesa, non si fa, si può dire, parola. Tale sistema potrebbe quindi chiamarsi naturalismo psicologico, il cui principio fondamentale è il monismo religioso. – In tutto il suo scritto, poi, l'Autore mostra scarsa familiarità cogli antichi Teologi e poca cura delle fonti positive della rivelazione. Egli conosce la filosofia moderna tedesca e si esprime quasi sempre nel linguaggio confuso proprio di questa; il che rende molte volte difficile di comprendere chiaramente (e soprattutto di tradurre esattamente) il vero senso delle sue parole.
Dopo di ciò, chinato
(1)È superfluo di notare il gravissimo quanto errorenea sia una tale dottrina. L'anima umana è infatti immortale per sé et ab intrinseco, essendo una sostanza per natura sua semplice e spirituale. Ora, secondo S. Tommaso, "Deus, qui est institutor naturae, non subtrahit rebus, quod est proprium naturis earum" (Summa contra Gentes, II, 55). Inoltre la immortalità dell'anima umana è una verità razionale, e quindi non può essere un elemento del soprannaturale, che supera la capacità dell'intelletto umano.
(2) Questo secondo elemento del soprannaturale è esposto presentato dall'Autore in modo assai confuso ed indeterminato. Finora i teologi hanno parlato anche di una somiglianza naturale dell'uomo con Dio, fondata sulla natura spirituale dell'anima umana, distinguendola però dalla somiglianza soprannaturale, consistente in quel "consortium divinae naturae", che costituisce la grazia santificante. Questa differenza viene trascurata dal Rademacher.
In confo In conformità di ciò il Rademacher a pag. 86 definisce la grazia soprannaturale "la conservazione dell'essere (Fortbestand) elargita per libera bontà, nonché il fine della più alta somiglianza con Dio e le disposizioni per la medesima".
69r, am linken oberen Seitenrand hds. von unbekannter Hand notiert, vermutlich von einem Nuntiaturangestellten: "C"; 71r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "2"; 72r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "3"; 73r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "4"; 74r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "5"; 75r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "6"; 76r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "7"; 78r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "8"; 79r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "9"; 81r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "10".
Empfohlene Zitierweise
Pacelli, Eugenio an Gasparri, Pietro vom 04. September 1921, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 7799, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/7799. Letzter Zugriff am: 26.04.2024.
Online seit 14.05.2013, letzte Änderung am 29.01.2018.