Document no. 515
Erzberger, Matthias: Forza o diritto, in: Germania, before 27 May 1918
1. "Giudizio assolutamente sbagliato di tutte le condizioni reali" suona il primo rimprovero, ed è un'asserzione interamente inesatta, interamente campata in aria, senza alcun sostegno di prova. Soltanto chi si è fossilizzato non ha imparato nulla nei quattro anni della guerra mondiale. Io posso però, senza timore di smentita, affermare d'avere, nel loro nocciolo, giudicato le generali condizioni di fatto sempre più esattamente dei miei nemici, in special modo sempre meglio della "Kölnische Volkszeitung". Io non ho mai stimata al di sotto del suo valore la nostra forza, soprattutto non ho mai tentato di rimpicciolirla decantandola ed esaltandola con le solite girandole di paroloni. Appunto perché so che noi siamo forti, io non espongo la nostra forza alla critica di trite frasi ad effetto dei nemici. La nostra forza riposa sulla compattezza nazionale del popolo; sull'idea cristia-
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na che informa la nostra vita pubblica e privata più di
quanto alcuni credano; sulla libera organizzazione del nostro popolo, vecchia di decenni
(non su quella improvvisata durante la guerra); sull'educazione politica delle masse
popolari e sopra una forte coscienza di Stato che durante la guerra è fortunatamente
cresciuta e che si è primamente manifestata con la richiesta d'introduzione del suffragio
universale, eguale, segreto e diretto in Prussia. Chi nega o rifila il diritto
dell'equipollenza politica al nostro popolo, che sanguina e soffre, pecca contro di esso e
giudica come più non si potrebbe erroneamente le generali condizioni di fatto. Ciò che in
questi giorni la "Lega nazionale per la 1ibertà e la patria" ha proclamato come l'unanime
veduta di tutta la classe operaia tedesca deve essere sottoscritto da ogni persona che abbia
senno politico. Fortunatamente ciò anche affermarsi della frazione del Centro nella Camera
dei deputati prussiana. Cosa che non desta punto meraviglia, soltanto membri
dell'aristocrazia e quasi solo adepti del "Partito della patria" hanno votato contro
l'introduzione del suffragio eguale, contravvenendo così gravemente ai principi fondamentali
del partito e alla tradizione fedelmente osservata per quarant'anni. Su questa mancanza di
disciplina ben poco, a dire il vero, mi è accaduto di leggere nella stampa del Centro. La
"Kölnische Volkszeitung" ha giudicato la mia critica, nella Commissione principale del
Reichstag, alla luce della disciplina di partito e creduto di dover da ciò dedurre motivi di
biasimo contro di me. Ma se questa disciplina avesse avuto realmente un gran peso nel suo
giudizio la "Kölnische Volkszeitung" avrebbe dovuto alzare bene altrimenti la voce contro il
conte Spee. Il conte Spee non aveva avuto alcun incarico dalla frazione di parlare e
perorare l'aggiornamento della riforma elettorale. Per lo schema di mozione io ebbi, dopo il
mio discorso, la firma di tutti i membri del Centro presenti. "Colpo contro il Governo" fu
definita la mia azione, che altro non fu se non critica di prov-
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-vedimenti del Governo; che altro non volle se non
invocare un Governo forte, sicuro della rotta, nell'interesse della durata della pace
futura! - Il signor von Heydebrand, nelle discussioni al Landtag, ha lavato la testa ai
Ministri prussiani come a scolari indisciplinati, perché il Governo prussiano vuol tradurre
in atto la promessa del Re, perché non è disposto a fare la sua vo1ontà in una questione la
cui urgenza è sentita da tutto il popolo, dal Governo, dal Cancelliere; il signor von
Heydebrand, che vuol trascinare il Governo, all'interno e all'esterno, nell'odio della
debolezza, della reazione; che ha trasformato tutta la questione della riforma elettorale,
nel suo carattere fondamentale, in una questione di forza fra lui e il suo partito da un
lato e il Governo dall'altro. Dove è rimasta qui la "Kölnische Volkszeitung" colla sua
indignazione a proposito dell'offensiva del signor von Heydebrand? - Ma il signor von
Heydebrand è pangermanista, mentre io sono un fautore della pace per via d'intesa. Ciò nondimeno io sono profondamente persuaso che il nostro popolo continuerà a sopportare gli oneri e i dolori della guerra e tanto più volentieri e con tanto maggiore entusiasmo quanto più sana sarà la politica attuata all'interno e verso l'estero.
La capacità di rendimento dei nostri alleati io l'ho giudicati sempre esattamente, ricordando, a più riprese, che in Germania, da molti, si dimentica che noi combattiamo una guerra coalizione e che il tempo politico non può, in questa guerra, conformarsi al tempo della nave che corre più veloce, ma a quello della nave più lenta. Lo svolgimento dei fatti non mi ha, credo, dato torto.
Io credo pure di non essermi ingannato in sostanza sull'atteggiamento dell'estero neutrale divenuto ora nemico. Sul contegno definitivo dell'Italia, già nel febbraio 1915, dopo il mio primo viaggio a Roma, io predissi in piena concordanza con il principe Bülow, quanto poi si verificò in maggio. Che la Ru-
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–menia ci attaccherebbe in un momento in cui ci
riterrebbe deboli fu da me, già nel febbraio 1916, comunicato a chi di dovere. Gli effetti politici della guerra sottomarina senza restrizioni, giudicati sempre dai miei nemici a cuor leggero, furono esposti da me con ogni chiarezza sin dall'ottobre 1916 nelle sedute della Commissione principale del Reichstag. Io dichiarai allora che la guerra con gli Stati Uniti ne sarebbe stata una conseguenza inevitabile e che pure altri paesi neutrali ci dichiare<re>bbero la guerra. Il Segretario di Stato von Jagow, alla mia domanda, come egli pensasse di evitare queste conseguenze diede una risposta che ha valore ancora oggi, e sulla quale tutti i guasconi politici hanno taciuto e tacciono ancora. Sull'effetto politicamente dannoso della guerra sottomarina senza restrizioni io non mi sono mai ingannato, sì, invece, sempre i miei avversari. In questa faccenda proprio la "Kölnische Volkszeitung" fu uno degli elementi propulsori. Essa parla adesso di una "stampa di Erzberger", che io non conosco. Io conosco soltanto una stampa del Centro fra la quale, è vero, non manca una stampa di Tirpitz. Le mie parole del luglio 1917 sugli effetti della guerra sottomarina senza restrizioni sono state poi pienamente confermate dallo svolgimento di essa. (Allora io non andai in vacanze come alcuni uomini di Stato che volevano rimettersi in salute per essere armati per le "imminenti trattative di pace", e neppure oggi io posso condividere l'opinione che la pace mondiale sarà conclusa nei prossimi mesi, specie se gli scopi di guerra di certuni, specialmente quelli della "Kölnische Volkszeitung" seguitano ad esser gridati continuamente e così forte e con tanta insistenza agli orecchi
La guerra sottomarina ha effetto e rimane un istrumento preziosissimo della nostra condotta della guerra. Ma tutti i calcoli dello Stato Maggiore della marina, del Ministero della marina,
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dei "competenti" e simili sono andati in parte a monte,
in parte hanno avuto bisogno di una revisione radicale. Le obiezioni da me fatte sulla
valutazione di cifre e termini di tempo circa l'efficacia della guerra sottomarina si sono
dimostrate ogni mese più giuste e tali si dimostreranno sempre più. Mi rincresce che la
situazione odierna non permetta di discutere tutte queste questioni pubblicamente. Io mi
restringo, quindi, a mettere in sodo come non sia possibile negare che io non mi sono
ingannato nel giudizio delle generali condizioni di fatto, ma sì i miei avversari e fra
questi la "Kölnische Volkszeitung".Che dire ora dell'istinto politico della accortissima "Kölnische Volkszeitung"? L'indagine a fondo di questo argomento darebbe per risultato un romanzo politico addirittura classico, tutto illusioni e fiaschi. Mi contenterò di una piccola prova. Nel maggio 1917 la "Kölnische Volkszeitung" parlò degli "ultimi sforzi della Francia dissanguantesi", e stampò nello stesso mese quest'altre righe, che mettono pienamente in luce la sua capacità di giudizio:
"E' chiaro che, a giudicar con prudenza, di una pace separata con la Russia non può per la Germania discorrersi sul serio sino a tanto che la Germania deve difendersi nell'ovest dagli attacchi sanguinosi dei nemici. La Russia non sarà disposta a far la pace prima che nell'ovest sia avvenuta la decisione nelle operazioni militari".
I fatti avveratisi sono, com'è noto, proprio il contrario di questo "giudizio".
2. Lo scopo della guerra.
Secondo la "Kölnische Volkszeitung" la mia politica è nociva "ad una condotta vigorosa della guerra, alla risolutezza di perseverare e alla indispensabile volontà di vincere del popolo tedesco" – ma anche queste sono asserzioni assoluta-
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–mente gratuite, senza il minimo sostegno di prova. In primo luogo io non so proprio come
potrei oppormi ad una "energica condotta della guerra" e nego ogni intenzione ed azione in
questo senso. Come ogni tedesco, cui sta a cuore la sorte del suo popolo, io ho illimitata
fiducia nel Comando del nostro esercito e credo alla grandezza dei nostri duci. Parimenti io
credo fermamente nelle gesta impareggiabili del nostro esercito nazionale e sono pienamente
convinto che ai successi da esso già conseguiti terranno dietro nuovi colpi contro i nostri
nemici. L'indispensabile volontà di vincere del popolo tedesco non è "indebolita" da chi
considera gli avvenimenti nella loro connessione con lo scopo finale e trae da ciò deduzioni
politiche. E' assai dubbio se sia il metodo giusto e se valga a corroborare la volontà di
vincere del nostro popolo il rappresentare gli avvenimenti come se fossero già prossimi alla
conclusione; il destare di continuo nel nostro popolo l'opinione che la fine delle stragi
spaventose è vicina. Troppo facilmente nelle classi popolari sorge l'idea che la pace tarda
a venire solo perchè la Germania e i suoi alleati mettono ai nemici condizioni
inaccettabili. Il nostro popolo, che sa ciò che i suoi nemici gli riservano, non ha bisogno
di questo elisir di guerra. Se gli annessionisti e pangermanisti ne hanno bisogno per
eccitare i loro nervi, ciò non testimonia certo di forza ed energia. Il nostro popolo non
vuol saperne assolutamente di queste frasi, che quattro anni di uso hanno logorato. In lui
è, però, la ferrea decisione a perseverare sino ad una pace giusta, onorevole e duratura, e
questa sua decisione è tanto più forte perché sa che la vittoria finale non è stata ancora
conseguita, che molto, si, fu già compiuto, ma che i nostri nemici non sono ancora vinti al
punto da dover deporre le armi. Se qualche cosa è appropriata a rafforzare la condotta
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energica della guerra, la decisione a perseverare e
l'indispensabile volontà di vincere nel nostro popolo, questa è soprattutto la
determinazione chiara dello scopo della guerra, il quale non può essere che una pace
onorevole, duratura e giusta, riposante sul diritto, sul nostro diritto, ma in maniera che i
diritti degli altri popoli non vengano calpestati; riposante sul diritto, che non riconosce
alcuna egemonia di un singolo popolo, sia sul continente che sopra un isola o di là
dall'Oceano Atlantico; che esclude ogni violentamento. "I popoli non moiono [sic]", ha detto
Papa Benedetto XV in una delle sue prime manifestazioni con brevità pari a verità. Chi
sostiene il diritto di tutti i popoli difende nel modo migliore e più efficace il diritto
del proprio. Perciò io sostengo e sosterrò sempre - non curandomi del barometro della
momentanea situazione militare - la necessità schiettamente cristiana dell'accordo e della
riconciliazione dei popoli! Una delle più terribili ma anche più vere parole della guerra
mondiale fu quella dell'Inglese che accennò a una "moratoria della predica della montagna".
Una parola terribile, la cui verità ci si palesa attraverso tanti fatti deplorevoli in tutti
i paesi belligeranti. Chi ha orecchi aperti per i lamenti del popolo e chi sa apprezzare
giustamente i piccoli e minimi fatti del giorno, come ci vengono resi noti dalla stampa, non
potrà contraddirmi se dico che quanto più a lungo la guerra dura tanto più difficile sarà,
per ogni autorità, il rimettere in vigore le leggi e i precetti della predica della
montagna, dopo la conclusione della pace. La pace del diritto è la più grande vittoria della Germania. In questa pace non v'è posto per la guerra economica, che vuol escludere la Germania dalla famiglia dei popoli civili.
Il diritto esige che il grande popolo tedesco partecipi all'incivilimento dell'Africa in diversa misura che sino ad ora; che in Africa non venga fondato il dominio esclusivo di un popolo,
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ma che
alla Germania venga assegnato un territorio coloniale che significhi per essa protezione
dall'ost<r>acismo economico e, in pari tempo, il dovere di collaborare alla educazione
degli indigeni. Proprio il partito del Centro, in conformità di tutti i suoi principi e del
suo passato, deve mantener alto, più risolutamente di tutti, l'idea de1diritto, allorché
essa è attaccata, vilipesa e respinta dai fautori della forza. Giacchè non "censura,
vio1entamento e forza" è nel programma del nostro partito, ma "verità, 1ibertà e diritto".
Chi contravviene a questi principi non commette soltanto una indiscip1inatezza ma si pone da
sé fuori del partito. La stragrande maggioranza degli elettori del Centro è, io lo so,
unanime di questa opinione e respinge la politica che si basa esclusivamente sulla forza. La
"Kölnische Volkszeitung" - sia che s'inganni o si lasci ingannare da scritti di piccoli
gruppi - è, nel partito del Centro, la sostenitrice dichiarata della politica della forza.
Essa ha - sì negato con sdegno di proporsi scopi annessionistici, ma sarà lecito ricordare
che, già nel dicembre 1916, essa ha sostenuto la necessità di ottenere la linea della Mosa -
Mosella come confine franco-tedesco, colla motivazione alquanto strana che non catene di
montagne ma solo corsi di fiumi sono buoni confini di difesa. "La libertà della Germania
deve in avvenire essere difesa sulla Mosa, non più solo sui Vosgi", si legge in un articolo
della "Kölnische Volkszeitung" del 12 dicembre 1916. La "Kölnische Volkszeitung" è, inoltre,
il giornale che, or fa un anno, invocando la necessità di una pace duratura (!), proclamò i
seguenti scopi di guerra: il bacino di Briey, il porto di Anversa, il possesso della costa
fiamminga, lo smantellamento delle fortezze della Mosa, la libera disposizione dei
giacimenti di carbone belgi. Se il mammonismo brillò mai in un programma di scopi di guerra
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questo fu certo il caso.Fu la "Kölnische Volkszeitung" che diede a questo esorbitante programma di annessione il nome di "pace di Hindenburg", e promosse un plebiscito su di esso.
Quale fu la risposta data alla "Kölnische Volkszeitung" da tutti i giornali d'ogni colore, eccezion fatta dei conservatori e pangermanisti? La "Freisinnige Zeitung" chiamò questo modo di procedere, cosi conforme alla disciplina di partito, una "sleale maniera di combattere l'azione degli altri partiti", una "mancanza di tatto verso Hindenburg", una "sconvenienza senza pari". Le "Münchener Neuesten Nachrichten" definirono l'abuso del nome di Hindenburg un "inganno" e chiesero alla "Kölnische Volkszeitung" donde mai togliesse il diritto di stampare sui formulari di consenso le parole "per la pace tedesca di Hindenburg". Allorché la "Kölnische Volkszeitung" si gloriò, po1emizzando col "Vorwärts", che all'appello lo avevano risposto in breve tempo ottomila persone la "Kölnische Volkszeitung" scrisse che se ciò era il risultato di dieci giorni si poteva dire con piena ragione che la "caccia del merlo della Kölnische Volkszeitung" terminerebbe con un fiasco completo, anche se le riuscisse a mettere ancora assieme alcune migliaia di manifestazioni di consenso. La "Kölnische Zeitung" scrisse, inoltre, che il fatto che una così piccola parte dei lettori della "Kölnische Volkszeitung" si era mostrata disposta ad approvare l'abuso del nome di Hindenburg testimoniava in modo consolante del buon senso del popolo tedesco sia al fronte che in casa; la "Kölnische Volkszeitung" avrebbe dovuto prevedere che il suo esempio doveva condurre a una "sciagura nazionale" se i giornali d'altro colore ed avviso avessero promosso un plebiscito contrario. La "Augsburger Postzeitung", per citare qualche giornale del Centro, definì l'azio-
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ne della "Kö1nische Volkszeitung" "giornalismo affaristico
americano". La "Westdeutsche Arbeiterzeitung" scrisse: "Quale spirito si è impadronito, durante la guerra, del giornale dei signori Kardauns e Ju1ius Bachem, già così prudente e solito ad evitare ogni prematura compromissione? Forse che la parte che in Italia, in Rumenia ecc. ha avuta la potenza irresponsabile della pubblica opinione esercita un'attrattiva irresistibile su giornalisti tedeschi? Sino al ricorso alla "potenza della strada" non è, come è noto, lungo il cammino, - e di fatto, negli ultimi giorni; la "Kö1nische Volkszeitung" ha compiuto un passo che costituisce un coperto avviamento verso la piazza."
L'"Arbeiter", l'organo monacense delle associazioni operaie cattoliche della Germania meridiona1e scrisse indignato:
"Un giornale che già dava il tono, la "Kö1nische Volkszeitung", parla adesso il medesimo linguaggio di giornali conservatori prussiani e della "Täglische Rundschau", notoriamente avversa ai cattolici. Anzi, questi due giornali si danno la mano per colpire deputati del Centro della maggioranza e rappresentanti della politica della frazione…… Nell'interesse della grande famiglia del Centro non è certo questa novissima azione della ". Pure da noi nel mezzogiorno, da oltre un anno, si disputa assai sulla tattica adottata dalla "Kö1nische Volkszeitung".La "politica del proprio capriccio" ha incontrato opposizione pure nella frazione del Reichstag. Dove deve andare a finire il partito se giornali dell'importanza della "Kö1nische Volkszeitung" si conducono nella maniera accennata, attaccano indirettamente la politica della frazione e suscitano confusione nelle proprie fi-
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le?"È degno di nota che già al principio del giugno 1917,
fu rilevato nella stampa del Centro l'agire concorde della "Kö1nische Volkszeitung" con la "Täglische Rundschau". Adesso sono di nuovo questi due giornali che in piena armonia si scag1iano contro di me. Io vedo le palle volare…
Gli scopi di guerra che la "Kö1nische Volkszeitung" ha allora sostenuto e che oggi, a quanto pare, essa sostiene ancora, non sono tali da abbreviare la guerra. Essi escludono la riconciliazione dei popoli; essi sono in parte la causa del dissanguamento d'Europa; essi condurrebbero, dopo una pace dettata, a nuovi giganteschi armamenti di cui i popoli non potrebbero sostenere il peso. Questo modo di vedere è contenuto nella risposta del Governo germanico alla Nota pontificia e nel programma cui si è impegnato il Governo Hert1ing - Payer - Friedberg. Il maggior nemico dell'annessionismo, nel Centro, fu proprio Windhorst, l'uomo del diritto. Mi sembra che testimoni di assai poca riflessione e ragione, nell'età dei cannoni mastodontici, che lanciano i loro proiettili oltre i piccoli ed anche gli Stati confederati mezzani dell'Impero, e considerati i progressi addirittura straordinari dell'aviazione fissare rettificazioni di frontiera quale scopo della grande lotta mondiale. Questa politica di scopi di guerra della "Kö1nische Volkszeitung" io la combatterò sempre, ad ogni occasione e con ogni energia, poiché la ritengo una sciagura soprattutto per la Germania e poi per il mondo e la cristianità. L'affermazione degli annessionisti "che il sangue non deve essere stato sparso inutilmente" eprime, come meglio non si potrebbe, il grado infimo con cui gli
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uomini possano spingere la
materializzazione di tutti i valori. Nessun pezzo di territorio straniero e nessun [sic]
quantità di danaro nemico eguaglia in valore il sangue che la Germania ha dovuto versare. Se
questo è l'argomento supremo dell'annessionismo esso può dichiararsi spacciato. Che tutti i
sacrifici della guerra non debbano essere stati fatti invano è naturale. Ma questo soltanto
sorge, come esigenza, fondo dei sacrifici compiuti: sicurezza della Germania per l'avvenire
e garanzia contro il ritorno di una simile catastrofe mondiale. Il nostro popolo – io credo
di poter dire tutti i popoli d'Europa - esigono che una simile sciagura non si ripeta. Ma
violentamenti e assoggettamenti contengono il germe di nuove complicazioni e guerre. La
politica della forza, dovunque si manifesti, senza avere a fianco il diritto, trascina i
popoli nell'abisso. I fautori della politica della forza dimostrano una straordinaria miopia
storica. I partigiani tedeschi di questa politica cercano di alzare baluardo su baluardo
intorno alla Germania, domandano la costa fiamminga, le difese in oriente che il trattato di
pace ha messo fuori portata di mano e attuano così una politica di avvelenamento dei popoli
dalle cui esplosioni essi s'immaginano di premunirsi con la forza, Ma tutt'al più essi
possono ottenere un isolamento della Germania, ma solo pensando che una Germania divenuta
così più potente all'esterno ma internamente indebolita, debba quanto prima combattere - io
non sono l'autore di questa parola spaventosa – la "seconda guerra punica". Orbene, intorno
alla Germania noi non dobbiamo con le nostre mani accendere focolari di nuovi
conflitti.La meta precipua della nostra politica degli scopi di guerra dev'essere la rottura del cerchio di ferro che si è formato ed è divenuto sempre più stretto attorno alla Germania. Noi dobbiamo uscire da questo cerchio e fare politica mondiale, ma
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ciò non è possibile unicamente con la forza; bisogna
far posto ad un altro fattore, agli accordi. Un principio, in questo senso, si è avuto in Oriente.
In ciò risiede l'importanza storica del trattato di pace coll'Ucraina, ma, ahimè, che è avvenuto di questo principio nella pratica? Io non invidio nessuna di quelle persone su cui grava la responsabilità delle conseguenze della politica inaugurata nell'Ucraina e di cui già risentiamo l'effetto con la riduzione della razione di pane. Alla giustificazione dinanzi al popolo tedesco esse non potranno sottrarsi, per quanto grande sia il rumore di certi politici idolatri della forza. Se in Oriente si seguiterà ad agire come costoro vogliono, presto o tardi - forse assai presto - avremo contro di noi una Russia compatta, che, certo, nel futuro prossimo, non sarà capace di agire militarmente a nostro danno ma, in compenso, tanto più risolutamente nel riguardo economico e politico. E penseranno poi i nemici della Germania a colmare con tenace lavoro le eventuali lacune. Ma l'Oriente deve coprirci le spalle per la nostra azione nell'Ovest e assicurarci contro tutte le possibilità dell'avvenire. Noi dobbiamo, quindi, fare, in Oriente, una politica alla quale possiamo davvero appoggiarci, non una politica che conduca ad una guerra e provochi il risentimento dei popoli.
Opporsi a simili avviamenti e combattere ogni allontanamento dalla strada di una politica di conciliazione non è soltanto diritto, ma dovere di ogni deputato al Reichstag. Proprio un anno fa, allorchè la "Kölnische Volkszeitung" parlò del momento presente nel quale si avvicina l'ultima decisione, ella protestò in ogni modo contro la pretesa che si dovesse rinunziare ad ogni critica e fiducia nel Cancelliere. Ella scrisse:
"Noi confessiamo che con questo argomento non ci riesce troppo bene di famigliarizzarci. Esso rassomiglia maledettamente all'antica teoria della limitata intelligenza dei sud-
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-diti. Soprattutto fa meraviglia che
adesso questa teoria della limitata intelligenza dei sudditi, nella sua forma ammodernata,
venga sostenuta specialmente da quelle persone che altrimenti accampano superbamente il
diritto di giudicare senza appello ogni azione del Governo e non sono disposte a sopportare
qualsiasi restrizione nella loro critica. Noi pensiamo che se v'è questione nella quale il
popolo tedesco ha motivo di non rinunziare al suo proprio diritto, di collaborare alla
formazione del suo proprio destino, questa è appunto quella che riguarda il genere della
prossima pace." Si confronti questo modo di vedere della "Kölnische Volkszeitung" con quello che adesso ritiene giusto di sostenere. Allora le si rimprovera di rivolgersi con la sua azione contro il Cancelliere. Ma ella dichiarò che, per principio, non intendeva assolutamente di rinunziare a manifestare la sua opinione sugli atti del Governo, specie intorno la conclusione della pace. Io concedo pienamente alla "Kölnische Volkszeitung" questo diritto, ma allorché io, nella Commissione principale del Reichstag, feci critiche ben motivate, si trattò per lei di un altro paio di maniche, cosache, invero, non sorprese nessun buon conoscitore della "Kölnische Volkszeitung",
Il trattamento dei popoli negli Stati marginali separatisi dalla Russia non dimostra ancora, con mio vivo rincrescimento, che si mira ad ottenere amichevoli rapporti di vicinato fra essi e il grande Impero germanico. Certo chi, come il più rumoroso alleato della "Kölnische Volkszeitung" nella questione degli scopi di guerra, la "Täglische Rundschau", sostiene la politica brutale della forza per ciò che riguarda i Polacchi della Prussia, non può capire che dodici milioni di Polacchi nel regno di Polonia non si lasciano violentare, né si rassegnano a farsi togliere, come nulla fosse, parti del loro ter-
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-ritorio.
Si crede di procurarsi, in questa maniera, in Oriente, un vicino che viva con noi in pace o
non lo si caccia addirittura nelle braccia dell'Intesa? Nella questione 1ituana v'è gente
che si dà attorno a mettere per forza in penoso imbarazzo il Re di Sassonia, che dovrebbe
diventare a un tempo sovrano di Lituania. Un'unione personale della Lituania con la Sassonia
è, però, un assurdo politico. In Vilna non si può regnare con ricette sassoni. Il Governo
sassone - come recentemente si è venuto a sapere - non ha permesso che in Cöswig si
celebrasse per 500 cattolici, dodici volte l'anno, il servizio divino; inoltre esso non ha
permesso che in Meissen venisse eretto per 130 fanciulli cattolici un ospizio. La Lituania è
un paese cattolico che vuole avere un proprio sovrano cattolico, non venire in qualsiasi
connessione con un paese che per i suoi correligionari dimostra così poco intelletto.
Chi si oppone a questo legittimo desiderio nazionale, che non contraddice in nessun modo agli interessi tedeschi, e considera l'impero e il popolo germanico soltanto alla luce di esperimenti dinastici, nuoce in realtà agli interessi tedeschi, non prevede le complicazioni in cui l'impero germanico verrebbe a trovarsi impigliato, prima o poi, con simili creazioni artificiose. Egli non cattiverà i popoli alla Germania, sì, invece, li alienerà da lei. Ma la fine di questa guerra mondiale, dev'esser forse che la grande coalizione, costituitasi per combattere la Germania e i suoi alleati, e che durante la guerra è anche cresciuta, continui a sussistere anche in futuro? V'è un uomo politico che possa dire che una pace imposta con la forza, secondo la ricetta della "Kölnische Volkszeitung" condurrà inevitabilmente ad un risultato diverso da questo?
Si obietterà che la politica di conciliazione ha fatto naufragio. Ma ciò non è vero, perché essa non fu ancora attuata nient'affatto da tutti e conseguentemente. Coloro che desi-
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gnarono la risoluzione di pace del 19 luglio 1917
un'espressione della debolezza, che la combatterono e la vituperarono non hanno
assolutamente diritto di parlare di un presunto fiasco di questa azione. La risoluzione per
la pace del 19 luglio fu cosa assolutamente necessaria per motivi di politica interna ed
esterna: essa fu un atto grandemente meritorio e benefico. Nessuno dei deputati che votarono
questa risoluzione ebbe l'illusione puerile che in virtù di essa, in pochi mesi, si avrebbe
la pace. Ma essa ha concorso a spianare la via alla pace nell'Oriente, come lo attestano manifestazioni russe. La redazione formale della risoluzione per la pace - la quale deve valere per tutti i belligeranti - comprende tutto ciò di cui la Germania e i suoi alleati hanno bisogno per il loro avvenire. La memorabile decisione del Reichstag contiene riconoscimenti, e verità che lo svolgimento degli avvenimenti non induce punto a considerare oltrepassati. D'altro lato essa ha segnato così largamente i confini che la situazione politica del momento, qualunque siasi [sic], può essere interamente sfruttata. Essa non conosce che un limite: una pace duratura, giusta, di conciliazione e d'intesa dei popoli dev'essere conclusa, non una pace che, inevitabilmente, avrebbe per conseguenza nuove guerre in tempo non lontano. Ma questo scopo sarà raggiunto soltanto se, in generale, al tavolino della pace; non la forza brutale, ma il diritto naturale e divino avrà il sopravvento.