Dokument-Nr. 4109
Pacelli, Eugenio an Gasparri, Pietro
Berlin, 05. März 1925

Regest
Pacelli bestätigt den Erhalt des Telegramms, mit dem Gasparri ihm die Entscheidung über die Teilnahme an der Trauerfeier für den verstorbenen Reichspräsidenten Ebert überlässt. Der Nuntius, den das Auswärtige Amt mehrfach wegen seiner Teilnahme kontaktierte, führt verschiedene Gründe zugunsten seiner Teilnahme an, darunter den ausschließlich offiziellen Charakter der Trauerfeier sowie die positive Würdigung Eberts durch die katholische Presse und kirchliche Würdenträger. Vor diesem Hintergrund hätte seine Nichtteilnahme zu kritischen Kommentaren geführt, was seine als Vertreter des Heiligen Stuhls ohnehin schwierige Position in Berlin weiter verschlechtert hätte. Da ihm von verschiedenen Seiten zugeraten wurde, hat sich Pacelli für eine Teilnahme entschieden, was generelle Zustimmung im Auswärtigen Amt und im diplomatischen Corps fand. Der Nuntius bedauert allerdings, dass die Zentrumspresse, abgesehen von einem Artikel Carl Sonnenscheins in der "Germania", ihre Lobeshymnen nicht einschränkte, obwohl der katholisch sozialisierte Ebert in die Sozialdemokratische Partei eingetreten und offiziell aus der katholischen Kirche ausgetreten ist. Dass auch der katholische preußische Ministerpräsident Marx dazu aufrief, sich an Ebert ein Beispiel zu nehmen, der keine Sterbesakrament empfing und dessen Trauerfeier keinerlei religiösen Charakter hatte, ist für den Nuntius eine Glorifizierung eines Apostaten, die eine gefährliche Schwächung des gesunden Katholizismus darstellt. Pacelli beschreibt Gasparri den Ablauf der Trauerfeier und erwähnt, dass er kurz mit Eberts Witwe sprach, die sich für den Beistand des diplomatischen Corps bedankte.
Im Anschluss liefert der Nuntius streng vertrauliche Details aus den letzten Tagen des Reichspräsidenten, die ihm die Oberin der Barmherzigen Schwestern vom heiligen Vinzenz von Paul am Berliner Westsanatorium berichtete, wo Ebert seine letzten Tage verbrachte. Pacelli schildert die Versuche der Oberin, den Reichspräsidenten zum Wiedereintritt in die katholische Kirche zu bewegen, und gibt die Gespräche zwischen den beiden wörtlich wieder. Ebert insistierte auf die Unmöglichkeit seiner Rückkehr und verwies auf politische Motive sowie auf seine Wahl, dem Glauben den Rücken zu kehren. Obgleich die Oberin in ihrem Bemühen nachdrücklicher wurde, als sich der Gesundheitszustand des Reichspräsidenten verschlechterte, blieb dieser der Überzeugung, weder sterben zu müssen noch in die Kirche zurückkehren zu können. Ferner weist der Nuntius darauf hin, dass Eberts Witwe ausdrücklich anwies, dem Verstorbenen nicht die Hände zu falten.
Betreff
Sui funerali del Presidente del Reich Sig.  Ebert
Riservato
Eminenza Reverendissima,
Mi pervenne in Monaco la mattina del 3 corrente il venerato cifrato N. 121, nel quale l'Eminenza Vostra Reverendissima lasciava a me la decisione circa l'intervento o meno alla solennità funebre ufficiale, che il giorno seguente avrebbe dovuto tenersi nella Capitale del Reich in onore del defunto Presidente, Sig. Ebert . Nei giorni precedenti il Ministero degli Esteri di Berlino mi aveva continuamente telefonato per conoscere se avrei preso parte alla cerimonia, ed anzi la sera del 2 corrente, poiché io, in attesa delle istruzioni di Vostra Eminenza, evitavo sempre di dare una risposta definitiva, il Capo del protocollo, con cui ho buoni rapporti personali, mi fece chiaramente comprendere che la mia assenza avrebbe prodotto sfavorevole impressione. Considerando quindi che detta solennità ufficiale nella residenza del Presidente era assolutamente separata e distinta dalla sepoltura della salma, la quale doveva aver luogo in Heidelberg nel Baden, città natale dell'Ebert; – che la solennità medesima aveva carattere puramente civile ed uffi-
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ciale, di omaggio al defunto Capo dello Stato; – che la stampa cattolica in Germania era stata unanime nel tributare a lui ampie ed incondizionate lodi; – che anzi vari Vescovi (cfr. Allegato I ), tra i quali lo stesso Ausiliare di Berlino, evevano [sic] ordinato per la giornata del 4 Marzo il suono generale delle campane(1) con parole di rispetto e di elogio; – che in vista di ciò la mia assenza avrebbe sollevato spiacevoli commenti, rendendo così ancor più difficile la già tanto critica situazione del rappresentante della S. Sede in Berlino; mi sembrò, dopo aver altresì interrogato persone prudenti, indispensabile, per quanto penoso, di intervenire. Feci subito conoscere tale risoluzione al Ministero degli Esteri, che l'accolse con viva soddisfazione, come anche il Sottodecano del Corpo diplomatico, Lord d'Abernon, Ambasciatore d'Inghilterra, il quale pure aveva ripetutamente chiesto notizie circa la mia venuta; posso aggiungere anzi che, per quanto io sappia, la mia condotta ha incontrato la generale approvazione. Del resto lo stesso Vescovo Ausiliare di Berlino coll'Assessore della Delegazione vescovile non solo fu presente alla cerimonia, ma prese parte anche al corteo funebre.
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Non posso tuttavia nascondere la dolorosa impressione che ha in me prodotto il costatare come la stampa cattolica in Germania, almeno per quanto si riferisce ai giornali del Centro, non ha avuto, come ho già più sopra accennato, che inni di lode, senza alcuna chiara restrizione o riserva,(1) verso un personaggio, che, nato cattolico, era passato al partito socialista, uscendo ufficialmente dalla Chiesa (secondo che ha anche dichiarato il Ministro degli Esteri, Sig. Stresemann , a vari diplomatici, che lo avevano interrogato al riguardo, fra i quali l'Ambasciatore di Francia), era morto senza i Sacramenti, ed i cui funerali non avevano alcun segno di religione. Lo stesso piissimo ex-Cancelliere ed ora Presidente del Consiglio dei Ministri in Prussia, Sig. Marx , in un discorso tenuto agli studenti di Berlino (cfr. Germania, 5 Marzo 1925 N. 107), dopo aver affermato che l'Ebert ha amato la patria ed il popolo con tutto il cuore, ha esortato i ragazzi e le ragazze tedesche a seguire il suo esempio. Funesti equivoci, dannose reticenze, destinate a creare nel popolo, colla glorificazione di un apostata, morto (almeno esteriormente ed ufficialmente) impenitente, una deplorevole confusione di idee ed un pernicioso affievolimento
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del sano senso cattolico, e che perciò ho creduto mio stretto dovere di coscienza di segnalare alla S. Sede.
L'anzidetta cerimonia si svolse nella sala principale della residenza del Presidente, tutta messa a lutto, ove sotto un baldacchino nero era situata la bara, ai cui piedi ardevano due ceri. Due ufficiali della Reichswehr facevano la guardia d'onore. Nessuna croce, nessun segno di religione. Il Corpo diplomatico in uniforme od in frack prese posto a destra, le Autorità governative del Reich , della Prussia e degli altri Stati della Germania, ecc. a sinistra. Alle 3 precise entrò l'infelice vedova, dimessa, curva, singhiozzante e quasi urlante senza speranza, sorretta dal figlio maggiore. L'orchestra del Teatro dello Stato suonò la Marcia funebre dell'"Eroica" di Beethoven, quindi il coro dello <stesso1 Teatro eseguì la "Totenfeier" di Giacomo Händl, il Cancelliere Dr. Luther pronunziò il discorso commemorativo di carattere prevalentemente politico, e la fredda, meschina, triste cerimonia senza fede fu chiusa dal Canto funebre di Weber e colla Marcia funebre di Mozart . – Alla fine la vedova, venne verso di me per ringraziarmi e pregarmi di ringraziare il Corpo diplomatico per la parte presa al suo lutto. Dissi all'infelice donna alcune parole di conforto e l'assicurai del-
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le mie preghiere; al che però essa appena sembrò di rispondere. Il Corpo diplomatico (e quindi nemmeno io) non partecipò al corteo funebre, il quale si svolse per le vie di Berlino, dopoché la salma fu portata fuori della residenza presidenziale. La impressione generale avuta dai membri del Corpo diplomatico medesimo, come ho appreso da vari di essi, è stata assai penosa.
Mi astengo dal tediare qui Vostra Eminenza colla narrazione del seguito delle onoranze prestate al defunto Presidente, perché già note dalla pubblica stampa. Stimo invece importante di riferire alcune notizie assolutamente riservate sugli ultimi giorni dell'Ebert, da me apprese direttamente dalla Superiora (delle Suore di S. Vincenzo de' Paoli) del Sanatorio (Westsanatorium-Joachimsthalerstrasse), ove egli fu ricoverato.
Nella notte dal 26 al 27 Febbraio, poiché le condizioni del malato si erano evidentemente peggiorate e potevasi temere una prossima fine, la Superiora volle assistere personalmente l'infermo, affine di fargli comprendere la gravità del suo stato e pregarlo di mettere in regola la sua coscienza. Essa stimò il momento favorevole, perchè la mattina innanzi l'Ebert aveva volentieri permesso che una Suora gli appendesse al collo una medaglia benedetta
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della Madonna, a cui egli aveva attribuito il miglioramento verificatosi nel corso della giornata. Dopo la mezzanotte la Superiora cominciò col dire all'Ebert che le sue condizioni erano pur troppo assai gravi e per conseguenza diveniva per lui necessario di riconciliersi [sic] con Dio e colla Chiesa. Ciò mise l'infermo in grande agitazione ed interna lotta; grosse goccie [sic] di sudore apparvero sulla sua fronte, di guisa che la Suora dovette lavarlo e rinfrescarlo prima di poter continuare il colloquio. Essa gli suggerì di lasciar venire un sacerdote e gli propose il Nunzio (non sapendo che io ero nel frattempo tornato a Monaco) o il Vescovo Ausiliare di Berlino od altro ecclesiastico; in brevissimo tempo egli avrebbe così regolato le cose dell'anima sua. Ma il Presidente rispose: "Io Le sono grato per tutte le Sue premure e ben La comprendo, ma anche Ella deve comprendere me e capire che ciò mi è impossibile. Allorché ero sano, ho fatto il proposito di non rientrare più nella Chiesa cattolica, ed anzi, quando sono divenuto Presidente del Reich, ho formalmente dichiarato la mia uscita dalla Chiesa. Io non posso quindi tornare più indietro, se non voglio espormi a perdere subito il mio posto". La Superiora osservò che nessuno avrebbe appreso l'accaduto e che sino alla nuova elezione presidenziale, la quale avrebbe luogo fra pochi mesi, egli avrebbe potuto com-
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piere le pratiche religiose in segreto. Ma l'infermo insistette: "Se si venisse a sapere che sono rientrato nella Chiesa, non sarei più eletto e forse dovrei subito dimettermi". La Superiora replicò che, quando si tratta della salute dell'anima, debbono mettersi da parte le umane considerazioni, aggiunse essere ben dubbio se egli avrebbe vissuto sino alla nuova elezione, e lo esortò a pregare almeno alquanto con lei. Il Presidente disse: "Preghi pure; Ella e le Sue reli<sa che io sono ben riconoscente se Ella e le Sue>giose pregano per me"2. La Superiora cominciò a pregare e cercò di indurre l'infermo a ripetere le sue preghiere. "O mein Gott, ich glaube an Dich" (Mio Dio, io credo in Voi); il Presidente ripeté agitato queste parole. "O mein Gott, ich hoffe auf Dich" (Mio Dio, io spero in Voi) continuò la Superiora, ma il Presidente non volle ridire tale preghiera: "Io sono stato troppo cattivo in vita; non posso più nulla sperare da Dio". Invano la Suora gli fece notare che, per quanto grandi siano stati i peccati, Dio è sempre misericordioso e pronto al perdono; l'Ebert rimase irremovibile: "Io non posso conciliar ciò colla mia convinzione, e sarebbe una mancanza di carattere, se sperassi ancora qualche cosa da Dio, mentre, prescindendo dai miei giovani anni, in cui fui praticante e pio, non mi sono nella mia vita curato più di Dio ed ho anzi gettato via qualsiasi fede". La Superiora
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disse allora che avrebbe proseguito colle sue Suore a pregare per lui, affinché il Signore gli concedesse lume e grazia. L'Ebert soggiunse: "Io sono ben grato per tutto ciò che Ella fa e, se guarisco, mostrerò la mia riconoscenza verso di Lei e la Sua Congregazione; ma quanto alla Chiesa mi lasci in pace; un ritorno non è possibile né oggi né domani, giacché non posso sacrificare il mio ufficio e la mia posizione". Questo colloquio lasciò l'infermo eccitato ed irrequieto per tutta la notte.
La notte seguente la Superiora vegliò nuovamente al capezzale dell'Ebert, che visibilmente si avvicinava alla sua fine. Essa credette di dovere ancora una volta tentare ogni mezzo per indurlo a riconciliarsi colla Chiesa. L'infermo divenne di nuovo estremamente agitato, allorché la Suora gli fece comprendere la gravità del suo stato ed il pericolo che egli non avrebbe lasciato più vivo quella dimora e gli ricordò quanto sia terribile di cadere nelle mani del Dio vivente, esortandolo vivamente a mutar proposito e ad accettare l'assistenza di un sacerdote, del che il pubblico nulla avrebbe appreso. Egli rispose con voce tremante: "Suora Superiora, Ella mi turba assai con simili discorsi, io non posso lasciar venire il sacerdote; del resto io non muoio, lo sento, sto meglio". La Superiora si vide penosa-
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mente costretta a togliergli questa illusione circa le sue condizioni; tuttavia non ottenne con ciò nulla, tutte le sue premure rimasero vane di fronte ai timori dell'Ebert nei riguardi della sua posizione come Presidente del Reich. Egli era bensì profondamente commosso ed allorché la Suora pronunziò la giaculatoria: "Mein Jesus Barmherzigkeit" (Gesù mio, misericordia), egli con grande sforzo, ad alta voce e con lagrime negli occhi lo ripeté una, due e tre volte. La Superiora recitò poi anche l'atto di contrizione perfetta. Dopo una pausa l'infermo le disse: "Ella mi agita senza scopo, giacché io non posso più tornare indietro". La Superiora gli chiese scusa, l'assicurò che non voleva in alcun modo turbarlo, ma era preoccupata per la salvezza della di lui anima, che forse presto avrebbe dovuto presentarsi dinanzi al Giudice divino. Al che però l'Ebert ancora una volta rispose: "Io non muoio; mi lasci tranquillo e si renda conto della mia posizione. Io ho già fatto il proposito di non rientrare più nella Chiesa cattolica e non posso ora come uomo di carattere fare altrimenti. Così resta deciso. Faccia ora, La prego, venire i medici. Hallo, hallo!"
Allorché i medici furono entrati, cercarono di calmare l'agitato infermo, non sapendo il motivo della sua eccitazione. L'Ebert, di fronte così ai medici, come anche alla
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sua stessa moglie, non lasciò trapelar nulla di questi colloqui in materia religiosa. Poco dopo perdette la conoscenza, che non riacquistò più, finché spirò alle 10 <¼>3 antimeridiane.
La moglie del defunto Presidente nelle sue visite al Sanatorio non parlò mai di religione, e dopo la di lui morte diede alle Suore l'ordine espresso di non congiungere le mani del defunto, ma di comporre la salma colle braccia allungate, come si usa qui in Germania per gli increduli.
Lo stesso racconto la Superiora ha fatto anche al Vescovo Ausiliare di Berlino.
Chinato umilmente al bacio della Sacra Porpora con sensi di profondissima venerazione ho l'onore di confermarmi
Dell'Eminenza Vostra Reverendissima
Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servo
+ Eugenio Pacelli Arcivescovo di Sardi Nunzio Apostolico
(1) Per quanto è sinora a mia conoscenza, il solo Arcivescovo di Monaco si è opposto ad accordare il suono delle campane (cfr. Allegato II ).
(1)Un accenno al pur troppo non avvenuto ritorno dell'Ebert nel seno della Chiesa trovasi nondimeno in un articolo (del resto, però, forse non in tutto opportuno) del Sac. Dr. Sonnenschein pubblicato nel n. 108 della Germania .
1Hds. von Pacelli eingefügt.
2Hds. von Pacelli gestrichen und eingefügt.
3Hds. von Pacelli eingefügt.
Empfohlene Zitierweise
Pacelli, Eugenio an Gasparri, Pietro vom 05. März 1925, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 4109, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/4109. Letzter Zugriff am: 11.11.2024.
Online seit 24.06.2016, letzte Änderung am 01.02.2022.