Dokument-Nr. 5012
Pacelli, Eugenio an Gasparri, Pietro
München, 22. September 1917
Regest
Pacelli erörtert die Antwortnote des Deutschen Reichs auf die Päpstliche Friedensnote. Einen Aufschub der Veröffentlichung oder eine Abänderung im Sinne des Heiligen Stuhls konnte er nicht erreichen. Dies hat folgende Gründe: Zum ersten müssen jeweils viele Stellen befragt werden (Kaiser, Generalstab, Gouverneure, Bundesrat, Siebener-Ausschuss und die Verbündeten). So erklärte Kühlmann in der zweiten Sitzung des Siebener-Ausschusses am 10. September 1917, die Antwort müsse ein Kompromiss sein, sodass die belgische Frage nicht erwähnt werde. Ansonsten wären mühsame Besprechungen zwischen Reichsregierung und Parteien vorausgegangen; die pangermanistische Presse agierte gegen jegliche Abtretung. Gegenüber Pacelli sprach Kühlmann am 15. September von den Schwierigkeiten, alle (Kaiser, Reichskanzler, Erzberger, Scheidemann, Czernin, Bulgarien, die Türkei, Ludendorff) zufrieden zu stellen. Zur belgischen Frage habe auch die deutsche Bevölkerung keine einheitliche Meinung. Der zweite Grund liegt im Fehlen einer Vertretung des Heiligen Stuhls in Berlin, was den Kontakt mit den dortigen Behörden verkompliziere. Der Nuntius ist bei der Reichsregierung nicht akkreditiert, sodass sein Briefwechsel mit den Berliner Staatsmännern nur informell sei und seine Reisen nach Berlin misstrauisch beäugt werden und die Reichsregierung in Verlegenheit bringen können. Der dritte Grund liegt im Optimismus der offiziellen Kreise, der die von Pacelli vertretene Position des Heiligen Stuhls, die Reichsregierung müsse die Punkte 3 und 4 der Päpstlichen Friedensnote ausdrücklich annehmen, für übertrieben pessimistisch halte. Die deutsche Unterschätzung der Entente werde aus der Rede Kühlmanns in der zweiten Sitzung des Siebener-Ausschusses deutlich, wo er von einer unverkennbaren Zunahme der Friedensstimmung in England gesprochen habe. England sei der Bevormundung durch die USA überdrüssig. Dem gegenüber sei die geringere Friedenssehnsucht Frankreichs weniger wichtig. Über den Friedenswunsch Russlands sprach der Staatssekretär mit Pacelli bei anderer Gelegenheit. Denselben Optimismus hatte Pacelli auch bei Hertling feststellen können. Da dieser Optimismus zu den Informationen in Gasparris Telegramm vom 14. September in Widerspruch steht, vermutete Pacelli, dass dieser Optimismus geheime Gründe habe. Tatsächlich hatte Pacelli Hertling am 21. in die Enge getrieben, bis er ihm anvertraute, dass die Entente und besonders England die Absicht habe, mit Deutschland geheime Friedensverhandlungen vorzubereiten. Pacelli sieht darin die Erklärung für das deutsche Zögern, eine klare Stellungnahme in Bezug auf Belgien abzugeben, das einen großen Verhandlungswert habe. Deshalb riet Kühlmann im Siebener-Ausschuss von einer Erwähnung Belgiens ab und das Gremium schwenkte im Gegensatz zu dessen erster Sitzung darauf ein. Die Reichsregierung sei davon überzeugt, viel zugestanden zu haben und Kühlmann sei wegen der Unzufriedenheit des Heiligen Stuhls enttäuscht. Die Veröffentlichung der Antwortnote war schon vom Reichskanzler und dessen Verbündeten für diesenTag vereinbart und von der Reichsregierung der Presse versprochen worden, sodass man sie nicht weiter verschieben konnte.Betreff
Sulla Nota di risposta del Governo Imperiale all'Appello Pontificio per la
pace
Stamane, come era stato già annunziato, i giornali della Germania hanno pubblicato il testo della Nota di risposta del Governo Imperiale all'Appello Pontificio per la pace.
Secondo che ebbi già il dispiacere di significare all'Eminenza Vostra Reverendissima col mio cifrato di ieri, nonostante gli incessanti sforzi da me tentati nei giorni scorsi in obbedienza alle di Lei venerate istruzioni, è stato impossibile di ottenere, sia che fosse sospesa o differita la pubblicazione del documento anzidetto, sia che venisse modificata la Nota nel senso voluto dalla Santa Sede, sia (almeno per ora) che fosse data ufficialmente la richiesta dichiarazione delle parole: in conformità della manifestazione di pace del Reichstag . Mentre pertanto unisco, per ogni buon fine, al presente rispettoso Rapporto, esattamente tradotte dal tedesco, copia di varie lettere da me dirette in questa occasione al Signor Cancelliere dell'Impero ed al Signor von Bergen, Ministro Plenipotenziario e Capo-Sezione al Ministero degli Esteri, specialmente incaricato degli affari concernenti la Santa Sede, mi permetto di aggiungere rispettosamente alle spiegazioni già date brevemente per telegrafo alcune ulteriori considerazioni intorno
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alle cause per cui
non è stato possibile indurre il Governo Imperiale a soddisfare i desideri della Santa Sede
medesima.Innanzi tutto, occorre tener presente che nelle attuali circostanze per qualsiasi importante risoluzione nelle cose della guerra e della pace debbono essere in Germania interpellate e messe d'accordo numerose personalità, alcune delle quali trovansi anche lontane da Berlino; il che rende lunga e difficile la decisione, difficilissimo od anche impossibile un successivo e sopratutto rapido cambiamento. Occorre, cioè, interrogare S. M. l'Imperatore, il quale va continuamente viaggiando da una fronte all'altra della guerra, e talvolta fuori dei confini stessi dell'Impero; lo Stato Maggiore generale, le cui rigide concezioni militariste non apportano certamente il miglior contributo alla moderazione ed alla condiscendenza; i Governatori Generali, pure militari, delle rispettive regioni interessate; il Consiglio federale dell'Impero; la Commissione parlamentare dei Sette, ecc. Infine devono essere intesi altresì anche gli Alleati; l'Austria-Ungheria, la Bulgaria, e la Turchia. "Molte autorità (così si espresse il Segretario di Stato per gli Affari Esteri, Signor von Kühlmann, nella seconda seduta segreta della Commissione dei Sette tenutasi il 12 [sic] corrente per esaminare appunto il progetto di risposta all'Appello Pontificio) hanno dovuto essere interrogate previamente. La Germania non conduce una guerra isolata, ma una guerra di coalizione; ed
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è quindi naturale che una
manifestazione così fondamentalmente importante, come la Nota di risposta, debba essere in
precedenza discussa con tutti gli Alleati. Particolarmente stretto è stato il contatto con
l'Austria, la quale, anche come grande Potenza cattolica, ha uno speciale interesse nella
cosa. Il testo della nostra risposta è un compromesso fra le varie tendenze. Occorre
riflettere bene prima di proporre modificazioni e non entrare molto nei dettagli, anche
perché altrimenti dovrebbero essere interrogati di nuovo gli Alleati. D'altra parte
l'intento della Santa Sede è stato quello di creare un'atmosfera favorevole ad un
riavvicinamento fra i vari Gabinetti. Se la Germania si addentra maggiormente in un punto, i
suoi Alleati vorranno farlo egualmente per un altro, ed allora sorgerebbero subito forti
opposizioni; ciò che precisamente occorre evitare. Per questa ragione nella Nota non si è
ancora trattata la questione del Belgio, sebbene nell'ultima seduta
se ne sia mostrato vivo desiderio."La redazione della Nota fu preceduta pure da lunghe e laboriosissime conferenze fra il Governo ed i capi dei vari partiti, mentre, ad accrescere ancora le difficoltà nella pubblica stampa, gli Alldeutschen o pangermanisti (fra i quali sono anche purtroppo da annoverarsi non pochi ecclesiastici e la cattolica Kölnische Volkszeitung ) menavano un'attivissima campagna contro qualsiasi concessione o rinunzia, specialmente a riguardo del Bel-
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gio. Nella visita fattami il 15 corrente alla
Nunziatura (cui si riferiva il mio cifrato di quello stesso giorno),
il Signor von Kühlmann, il quale appariva assai soddisfatto dell'opera sua nella
compilazione della Nota, mi manifestò quanto era stato arduo contentare tutti: l'Imperatore,
il Cancelliere, Erzberger, Scheidemann, Czernin, la Bulgaria, la Turchia, Ludendorff;
sì (diss'egli) anche Ludendorff, giacché, sebbene sia inevitabile che i militari giudichino
le cose differentemente dai diplomatici, non si può tuttavia non tener conto anche di loro.
Mi aggiunse (ed anch'io ho potuto facilmente constatarlo) che l'opinione pubblica in
Germania è ancora assai divisa circa la questione del Belgio, né si è ancora efficacemente
agito per orientarla ed unirla. Il concetto delle famose garanzie per l'indipendenza
di quello Stato è inteso nei sensi più diversi ed opposti, giacché alcuni vogliono che la
Germania, affine di garantirsi con tutta sicurezza, si annetta almeno qualche parte del
territorio, specialmente Anversa, altri domandano lo smantellamento delle fortezze, il
disarmo, la divisione amministrativa fra valloni e fiamminghi, ecc., altri infine si
contentano più ragionevolmente di una neutralità garantita dalle Potenze.Una seconda fonte di difficoltà è stata ed è indubbiamente la mancanza di una Rappresentanza Pontificia residente stabilmente a Berlino. È cosa sommamente malagevole seguire gli
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avvenimenti ed agire a distanza. Né
giova, in linea ordinaria, andare colà soltanto per qualche giorno; che anzi ciò può essere
talvolta inopportuno e dannoso, specialmente in alcuni momenti più gravi e più delicati,
durante i quali un viaggio del Nunzio di Monaco a Berlino
solleverebbe infiniti commenti e sospetti, che metterebbero in imbarazzo lo stesso Governo
ed accrescerebbero così gli ostacoli. È perciò che, essendosi l'Eminenza Vostra degnata di
rimettere la cosa al mio modesto giudizio, non mi valsi dell'autorizzazione, impartitami col
cifrato del 17 corrente, di recarmi in quella Capitale.
Fortunatamente avendo fatto la conoscenza personale dei principali uomini di Stato di
Berlino, posso corrispondere con essi per lettera; ma, oltre che, non essendo io accreditato
presso il Governo Imperiale, tale corrispondenza ha soltanto carattere confidenziale e non
ufficiale, essa non può mai sostituire il continuo contatto e la discussione orale. D'altra
parte, le recenti visite a Monaco del Cancelliere e del Segretario di Stato per gli Affari
Esteri, le quali hanno avuto luogo in occasione della nomina di essi ai loro alti offici, è
da prevedere che non si ripeteranno in avvenire, salvo il caso di qualche nuova
crisi.Finalmente ha molto nociuto all'accettazione delle domande della Santa Sede l'ottimismo, che regna qui presentemente nelle sfere officiali. Tale ottimismo riguarda non soltanto le condizioni interne e la situazione militare della Germania, special-
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mente dopo l'efficace resistenza sostenuta nella
fronte orientale e le vittorie sulla Russia colla celebratissima presa di
Riga, ma anche la probabilità di una prossima pace. Le mie ripetute e categoriche
affermazioni, che cioè la mancanza di un'accettazione esplicita dei punti terzo e quarto
della Proposta Pontificia provocherebbero immediatamente da parte dell'Intesa un rifiuto assoluto, il quale chiuderebbe la via ad ogni ulteriore
trattativa, sono state considerate come eccessivamente pessimistiche. Per tacere di altre
manifestazioni pur assai chiare, già il Signor von Kühlmann nella summenzionata Seduta
segreta della Commissione dei Sette aveva detto: "Per ciò che riguarda l'Inghilterra, si può
trarre con sicurezza la conseguenza che il passo della Santa Sede non ha avuto luogo contro
la volontà di essa. Vi sono anche indizi che i circoli influenti della Gran Bretagna oggi
hanno di fronte alla guerra un'attitudine diversa da quella di qualche tempo fa; gruppi
notevoli sono là per una pace di mediazione. L'accrescimento delle voci favorevoli alla pace
in Inghilterra è manifesto. In Francia l'amore alla pace è meno potente, ma questa Nazione
ha ora una importanza secondaria." Anche nella visita suaccennata il Signor Segretario di
Stato per gli Affari Esteri mi manifestò espressamente essere egli più ottimista della Santa
Sede. Senza parlare della Russia, la quale è ora fuori di combattimento, le notizie che a
lui giungono riservatamente dall'Inghilterra (ove rimase 195r
prima dello scoppio del conflitto per sei anni come Consigliere dell'Ambasciata di Germania
e quindi conta numerose conoscenze) provano un costante aumento del desiderio di pace;
specialmente poi si nota colà un progressivo senso di stanchezza contro l'invadenza degli
Stati Uniti e si dice: abbiamo cercato di divenire i padroni della Germania e diventiamo
invece i sudditi degli Stati Uniti.Mercoledì scorso, durante una conversazione da me avuta col Conte de Hertling per raccomandare anche al suo autorevole intervento le domande della Santa Sede, mi accorsi che tale ottimismo era diviso pure da lui; e siccome esso non corrispondeva in realtà, in niun modo, alle informazioni comunicatemi dall'Eminenza Vostra particolarmente col cifrato del 14 corrente, sospettai l'esistenza di qualche occulto elemento di fatto, il quale ne fosse la causa e la spiegazione. E perciò ieri, durante la visita fattami dal prelodato Signor Conte per consegnarmi la Lettera di S. M. il Re di Baviera al Santo Padre (come ho avuto l'onore di riferire col mio rispettoso Rapporto N°. 1516), lo misi alle strette con domande incalzanti e suggestive, ed egli finì col confidarmi sotto il più assoluto segreto (tanto che non mi autorizzò nemmeno a comunicarlo alla Santa Sede) che l'Intesa, ed in particolare l'Inghilterra, ha fatto comprendere alla Germania la sua intenzione di trattare segretamente la pace e che anzi a Berlino si
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attende un negoziatore (il
quale sarà forse un neutrale). Il Signor Conte non sapeva di più, ma la notizia (egli
asserì) era certa e confermatagli dallo stesso Signor von Kühlmann e dal Ministro di Prussia a Monaco. È difficile prevedere quale esito potranno avere
queste eventuali trattative segrete, le quali, se non vorranno condannarsi all'insuccesso,
dovranno necessariamente coincidere colle sapientissime proposte Pontificie. Ad ogni modo,
checché si voglia pensare di tali negoziati, è indubitato che ad essi si dà qui importanza e
ciò mi sembra spiegare come la Germania non voglia ancora pronunziarsi chiaramente sulla
questione del Belgio e compromettere per conseguenza le sue posizioni. "Il Belgio (così si é
espresso il Signor von Kühlmann nella più volte ricordata Seduta della Commissione dei
Sette) ha per noi come pegno un grande valore, che sarebbe perduto, se si mettessero
apertamente le proprie carte sul tavolo, specialmente allorché le pretese del nemico sono
ancora molto elevate. Una così forte arma diplomatica non deve cadere dalla mani
precisamente ora che ci avviciniamo al momento delle trattative officiali di pace."Per questo egli sconsigliò vivamente di nominare il Belgio nella Nota. "Il Belgio, aggiunse, è senza dubbio il ponte verso la pace, ma la diplomazia deve avere in ciò una piena libertà di movimenti." E la Commissione, la quale nella prima seduta si era
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quasi all'unanimità pronunziata in favore di espressa
dichiarazione sul Belgio nella risposta all'Appello Pontificio (Cfr. Rapporto
N°. 1213 in data del 30 agosto p. p.), aderì ora invece, per
ragioni di tattica, al parere del Segretario di Stato per gli Affari Esteri. Fu tuttavia
convenuto che si sarebbe menzionata la manifestazione per la pace del Reichstag, nella quale
è implicitamente inclusa la soluzione favorevole della questione del Belgio, come mi permisi
di osservare nel mio ossequioso Rapporto N°. 1406 del 14
corrente; e così in realtà fu fatto.Tali sono, a mio umile avviso, le principali cause che hanno impedito una migliore risposta. Il Governo Imperiale, del resto, crede di aver concesso moltissimo come primo passo (specialmente se si paragona coll'attitudine dell'Intesa) e ritiene che la sua Nota lasci la via aperta ad ulteriori trattative; ho saputo anzi dal già menzionato Signor Ministro di Prussia a Monaco che il Signor von Kühlmann è rimasto assai sorpreso e deluso della mancata soddisfazione della Santa Sede. Quanto alla pubblicazione del documento, essendo già stata fissata coll'Imperatore e cogli Alleati la data di oggi ed avendola il Governo promessa per questo giorno ai partiti, alla stampa ed alla pubblica opinione che ansiosamente l'attendeva, non si è assolutamente stimato possibile differirla più oltre.
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Chinato al bacio della S. Porpora con sensi di sommo ossequio e di profondissima venerazione ho l'onore di rassegnarmi
dell'Eminenza Vostra Reverendissima
Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servo
+ Eugenio Arcivescovo di Sardi
Nunzio Apostolico