Dokument-Nr. 6011
Schioppa, Lorenzo an Gasparri, Pietro
München, 03. März 1920
Regest
Schioppa übersendet Gasparri die italienische Übersetzung eines Artikels von Bethmann-Hollweg über die Möglichkeiten für einen Frieden im Frühsommer 1917 und eine Unterredung mit Pacelli, der in der Ausgabe Nr. 110 der "Deutschen Allgemeinen Zeitung" vom 29. Februar 1920 erschien. Der ehemalige Reichskanzler spricht von französischen und belgischen Andeutungen im April und Mai 1917, die aber schon im Sommer desselben Jahres nicht mehr vielversprechend erschienen. Die Russische Revolution, die noch ferne Waffenhilfe aus Amerika sowie die Beschädigungen durch die deutschen Unterseeboote hatten die Kraft der Entente und daher die kriegerische Lage verändert. Von Russland über Frankreich bis England konnte man eine Beunruhigung feststellen, vor allem in den Worten Pétains, Lloyd Georges, König Georgs und Ribots. In Deutschland und Österreich-Ungarn sei aber die Lage wegen der fortgeschrittenen Auszehrung der Kriegsreserven an Menschen und Waffen und den zusammenhängenden Wirkungen auf die Stimmung des Volkes auch nicht besser gewesen, wie der Bericht von Graf Czernin an Kaiser Karl deutlich bewies. Bethmann Hollweg hatte seine Auffassung, die Entente würde einen baldigen Verständigungsfrieden einem noch fernen Endsieg bevorzugen, in der Rede Lloyd Georges vom 29. Juni 1917 in Glasgow angedeutet. Ihm war klar, dass der Verzicht auf die belgische Frage und eine gewisse Fügsamkeit in Sachen Elsass-Lothringen angezeigt waren. In diesem Zusammenhang fand am 26. Juni 1917 eine Unterredung mit Nuntius Pacelli statt, der ihn besuchte, als dieser dem Kaiser einen Brief des Papstes aushändigen musste; von diesem Brief habe Bethmann Hollweg eine Kopie gelesen. Es folgte eine Reihe von derart präzisen Fragen über die deutschen Kriegsziele und Friedensbedingungen seitens Pacellis an ihn, dass Bethmann Hollweg den später wohl bestätigten Eindruck bekam, der Nuntius habe einen genauen Auftrag zu erledigen gehabt. Der ehemalige Reichskanzler habe die Fragen beantwortet und von allseitigen Rüstungsbeschränkungen, von der Bereitschaft der Reichsregierung, Belgien die Unabhängigkeit anzuerkennen, und gegenseitigen Grenzberichtungen im Fall von Elsass-Lothringen gesprochen. Am 29. Juni habe Pacelli dem Kaiser den päpstlichen Brief im großen Hauptquartier übergegeben und unter anderem die Deportationen belgischer Arbeiter missbilligt. Der Kaiser habe seinerseits behauptet, für die katholische Kirche und für den Papst sei die Zeit zum Handeln gekommen. Wegen seines Rücktritts konnte Bethmann Hollweg die Folgen der päpstlichen Friedenspolitik nicht weiter verfolgen.Betreff
Un articolo dell'ex Cancelliere von Bethmann Hollweg sul suo colloquio con Monsignor Pacelli nel 1917
Credo mio dovere inviare qui unito a Vostra Eminenza Reverendissima il N. 110 della "Deutsche Allgemeine Zeitung" (29 Febbraio 1920) in cui il Signor von Bethmann Hollweg, ex Cancelliere dell'Impero Germanico, pubblica un suo articolo intitolato "Le possibilità della pace nel principio dell'estate del 1917" (Friedensmöglichkeiten im Frühsommer 1917) nel quale, fra le altre cose, parla diffusamente del colloquio da lui avuto in quell'epoca con Monsignor Pacelli Nunzio Apostolico di Monaco.
L'articolo tradotto dice: "Nell'Aprile e nel Maggio 1917 ci pervennero da parte francese e belga dei cenni, i quali davano a divedere che colà si era disposti a discutere confidenzialmente sulle varie possibilità di far la pa-
205v
ce. Sebbene tali suggerimenti, da noi sollecitamente accolti, non abbiano menato ad alcun risultato concreto, il contatto perdurò fino all'autunno del 1917 inoltrato. Se l'Intesa sia stata allora animata dal serio proposito d'intavolare delle trattative, si potrà comprovare non prima ch'essa in modo autentico si sia esternata su tale questione. Nella primavera e nell'estate del 1917 le relazioni di fatto non potevano che giustificare un'impressione non troppo favorevole. In virtù della rivoluzione in Russia e del crollo dell'offensiva anglo-francese in primavera, la situazione generale del teatro della guerra aveva allora subito evidentemente uno spostamento a favore nostro. L'Intesa non poteva contare in un prossimo pareggiamento della fortuna bellica, poiché il soccorso militare promesso dall'America era ancora lontano. Gli effetti dei sottomarini erano maggiori di quel che i nemici non avessero presunto. – Con ciò non intendo dire che l'Inghilterra si fosse trovata sul punto di essere affamata o di capitolare. Ma le perdite sempre crescenti della sua flotta minavano il centro della resistenza inglese. Le condizioni generali del teatro della guerra erano tali da mitigare notevolmente nei popoli nemici l'ardenza del proposito di continuare le ostilità. Da Pietrogrado si domandava energicamente la re-206r
visione delle mire smoderate della guerra. Dei malumori sorti in seno alle truppe francesi costringevano il generale Pétain ad esortare in un pubblico appello i poilus alla resistenza. Dopo che Lloyd George, com'è noto, fin dall'Aprile aveva domandato con un vero grido d'aiuto "sempre nuove navi", Re Giorgio rivolgeva al Paese l'appello solenne di limitare il consumo dei viveri e la Camera dei Comuni riteneva necessario di deliberare in seduta segreta intorno alla gravità della situazione. In Giugno, dopo un breve soggiorno in Inghilterra, anche Ribot rilevava con grande energia i pericoli della guerra dei sottomarini.A trarre delle esagerate deduzioni da questa costellazione si opponevano le condizioni della nostra situazione interna. In ogni caso per l'anno 1917 non potevamo né per terra né per mare sperare in un successo decisivo. Intanto l'esaurimento di tutte le nostre riserve d'uomini e di materiale progrediva incessantemente. La convinzione che la guerra sottomarina non era in grado di prostrare l'Inghilterra si faceva strada anche tra quelle classi della popolazione, le quali avevano fortemente alimentata tale fede. La crescente pressione del blocco contribuiva ad abbattere gli animi. Ancor più che da noi venivano diminuendo le for-
206v
ze materiali e morali nell'Austria-Ungheria. Ne fa fede la nota relazione del conte di Czernin all'Imperatore Carlo. I tempi erano avversi a noi; di ciò dovevamo ben tener conto in un esame accurato sia della nostra propria situazione sia delle disposizioni del nemico. L'Intesa ne ha tenuto anzi più conto di noi. Ché sul principio della primavera del 1917 m'era ancora ignoto a che punto fosse giunta in realtà la missione del principe Sisto di Parma. La situazione si trovava dunque in sospeso. D'accordo col gabinetto di Vienna io ritenevo che l'Intesa, lungi dal vedersi costretta a far la pace, tuttavia andava meditando se ad una vittoria definitiva ancora assai remota non fosse preferirsi una pace in cui le due parti si mettessero d'accordo, premesso che riuscisse di creare una base atta ad intavolare delle trattative. A quanto mi pare, al principio dell'estate 1917 l'Intesa cercò di accertare se fosse data tale premessa. Il discorso tenuto il 29 Giugno da Lloyd George a Glasgow mi sembrava confermasse tale mio modo di vedere. Ad onta del suo atteggiamento bellicoso mi parve di scorgere in tale discorso l'invito a preparare delle trattative mediante l'indicazione precisa dei nostri fini. Nell'insieme della situazione, quale io l'ho testè abbozzata, io riconoscevo non soltanto la possibilità di pervenire a tali trattative, ma anche la necessità di trar decisamente partito da tale possibilità. Le nostre condizioni di pace 206bisr
dovevano restare entro limiti siffatti che ragionevolmente fosse stato lecito aspettarsi che l'Intesa le avrebbe accettate. La esplicita rinuncia nella questione belga era, s'intende, condizione imprescindibile. Così pure io ritenevo fuori di dubbio che intransigenza assoluta per quel che concerneva le parti francesi dell'Alsazia e Lorena avrebbero escluso senz'altro ogni possibilità d'intendersi. Il Kaiser – me n'ero accertato un anno prima – era per principio pronto a battere tale via qualora promettesse di condurre alla pace.Le conseguenze del mio esame della situazione le ho poi tratte in occasione di un colloquio ch'io ebbi il 26 Giugno col Nunzio pontificio Monsignor Pacelli. Nello stesso tempo credevo di scorgere nel fatto che il Vaticano riteneva opportuno tale missione del Nunzio, un nuovo segno che fossero date delle possibilità di aprir trattative. Quanto finora è a nostra conoscenza non ci permette di scoprire nei singoli particolari il nesso causale degli avvenimenti. La missione si svolse come segue:
Monsignor Pacelli si presentò da me con l'incarico di consegnare al Kaiser nel Quartier generale una lettera del Papa. Insieme con gli auguri personali per il Kaiser e la sua Casa il
206bisv
Papa ricordava in tale lettera come egli avesse incessantemente scongiurato i popoli in guerra tra loro a deporre le armi fratricide e assicurava l'Imperatore che tutti i suoi sforzi miravano a por fine a così immensa calamità. Prendendo le mosse dal contenuto di questa lettera, di cui il Nunzio mi fece leggere una copia, rilevai che la Germania con la sua proposta di pace del 12 Dicembre aveva attestato in faccia al mondo intero d'esser pronta a cessare le ostilità, ma il suo buon volere era stato frustrato dall'ostinazione dei nemici. Il Nunzio osservò che sarebbe stato tuttavia di grandissima utilità se il Papa a cui, come io doveva ben sapere, stava tanto a cuore la pace del mondo, fosse ben orientato intorno al modo di vedere della Germania riguardo ai problemi della pace e della guerra in modo che nel fattore psicologico egli potesse trovare una base sicura per un'azione in favore della pace. Dopo che io ebbi dichiarato che in ciò ero perfettamente d'accordo, il Nunzio mi rivolse una serie di domande precisamente formulate intorno ai fini della nostra guerra e alle condizioni di pace. Dal modo come le domande mi furono rivolte, io ricevetti l'impressione, di poi confermata, che si trattasse di qualcosa d'altro che di una semplice conversazione intorno a possibilità di pace, ma che invece il Nunzio eseguiva un vero e proprio incarico. Conforme alla mia opinione, di cui ho riferito sopra, intorno alla situazione generale, secondo la 207r
quale mi sembrava non fosse da escludersi la possibilità di entrare in trattative, mi formai il convincimento che mediante delle risposte quanto mai precise alle domande rivoltemi avrei potuto creare la base per delle trattative di una pace che dall'Inghilterra, a dir vero non esaurita, ma in ogni modo seriamente minacciata della guerra sottomarina potesse essere accettata. Pertanto risposi alle domande rivoltemi dal Nunzio, che noi eravamo interamente disposti a limitare gli armamenti qualora gli altri pure vi fossero disposti e che noi in massima consentivamo ugualmente alla creazione di tribunali arbitrali destinati a prevenire conflitti internazionali. Alla domanda intorno ai nostri piani nella questione del Belgio risposi che noi avremmo ristabilito interamente la sua indipendenza. Con ciò sarebbe però incompatibile che il Belgio nel riguardo politico, militare e finanziario andasse a trovarsi alla dipendenza dell'Inghilterra e della Francia, poiché queste due potenze eserciterebbero poi tali diritti a pregiudizio della Germania. Alla domanda poi quali fossero i piani della Germania riguardo all'Alsazia e Lorena, e se il Governo Germanico fosse pronto a fare delle cessioni di territorio alla Francia, risposi che qualora la Francia fosse disposta ad un accordo, la pace non correrebbe pericolo per questo d'andare a monte. In forma di qualche correzione di frontiera delle 2 parti 207v
si sarebbe trovato il modo di mettersi d'accordo. Per quel che concerne le questioni dell'Est ho semplicemente osservato che le condizioni caotiche della Russia escludevano per il momento ogni possibilità di concluder la pace, mancando un governo investito dei poteri d'intavolar trattative.Io ebbi allora l'impressione determinata – e quest'impressione è stata confermata da comunicazioni posteriori – che il Nunzio ritenesse le mie dichiarazioni adatte a facilitare in modo essenziale la questione della pace. Il 29 di Giugno il Nunzio fu ricevuto dal Kaiser nel Quartier generale. Alle speciali rimostranze che il Nunzio fece per incarico del Papa a cagione delle deportazioni di operai belgi – un tema che il Nunzio aveva già trattato a Berlino – il Kaiser promise di far tutto il suo possibile e poi, senza entrare in particolari, salutò, in un colloquio alquanto lungo e
208r
disposizione i migliori mezzi. L'altra grande organizzazione internazionale – il socialismo – aveva giustamente riconosciuto il significato di tale propaganda e aveva avuto per prima il coraggio di mettersi al servizio della pace. Ciò rimarrebbe un merito durevole del socialismo; e qualora non si volesse, anzi si ritenesse fatale che soltanto ad esso ridondasse tale merito, la Chiesa cattolica avrebbe dovuto cogliere l'occasione che ora le si presentava. Ché nell'interesse della Chiesa cattolica risiedeva – ciò egli doveva riconoscere anche nella sua qualità di Sovrano protestante – che la pace, o meglio la possibilità di discutere seriamente sulla possibilità della pace fosse ottenuta non dal socialismo, ma dal Papa.Così si svolse la missione del Nunzio. Pochi giorni dopo fui costretto a dare le dimissioni. Sullo svolgimento ulteriore della politica non ho influito perciò in alcun modo."
Chinato umilmente al bacio della Sacra Porpora, con sensi di profondissima venerazione ho l'onore di confermarmi
Di Vostra Eminenza Reverendissima
Devmo umilmo obblimo servo
Lorenzo Schioppa
Uditore
1↑Hds. durchgestrichen und eingefügt von unbekannter Hand.
2↑Hds. durchgestriche und eingefügt von unbekannter Hand.