TEI-P5
Dokument-Nr. 10233
Mi giunse a suo tempo il venerato Dispaccio N. 4794/19 in data del 15 Gennaio scorso, col quale
l'E. V. R. mi ordinava di esprimere il mio parere intorno ad un dubbio di Mons. Vescovo di Paderborn
circa le cause concernenti il diritto di avere
sedie o posti riservati nelle chiese.
Affine di avere tutti gli elementi di diritto e di fatto necessari per la soluzione del suaccennato dubbio, mi rivolsi al Revmo Canonico Prof. Giovanni Linneborn
di Paderborn, rinomato Canonista, il
quale mi ha inviato sull'argomento in data del 25 Maggio p. p. un ampio e
dettagliato Memoriale in lingua tedesca (Alleg. I), di cui, dietro mia preghiera, ha compilato egli stesso, per comodo di cotesta
S. Congregazione, un riassunto in lingua latina pervenutomi soltanto ora. (Alleg. II).
Poiché l'E. V. troverà nel lavoro del sullodato Canonico esaurientemente esposta l'attuale questione, mi limiterò alle seguenti brevi osservazioni:
Il regolare i posti e le sedie in chiesa è materia risguardante il culto Divino (Codex Iuris Canonici
Lib. III Pars III De cultu divino, can. 1263
), ed è perciò di competenza del rettore della chiesa e dell'Ordinario
del luogo, il cui consenso (espresso, secondo il nuovo Codice, mentre era prima sufficiente
il tacito – Cfr. Ferraris
, Prompta Bibliotheca , v. Ecclesia, art. V., n. 10
) si
richiede per la concessione ai laici di posti riservati. Ne segue che anche il giudizio
intorno ai diritti, che si asseriscono acquisiti al riguardo, spetta per sé esclusivamente
all'autorità ecclesiastica. Tuttavia la S. Sede ha non di rado permesso, sia per tacita
tolleranza, sia per espressa concessione ad esempio nei Concordati, che venissero indicate
nel foro civile, entro certi limiti, anche varie cause di competenza dei tribunali
ecclesiastici (cfr. Wernz, Ius Decretalium
, tom. V, pag. 222-223), comprese quelle di giuspatronato
(cfr., ad es., Raccolta di Concordati su
materie ecclesiastiche tra la Santa Sede e le Autorità civili, Roma,
1919
, pagg. 766, 768, 824, 856, 883), vale a dire, per ciò che riguarda
quest'ultimo caso, che i tribunali laici, se si trattasse di giuspatronato laicale,
potessero
n. 2º).
L'Esposto del Vescovo di Paderborn ed il Memoriale del Can. Linneborn si fondano principalmente sulla consuetudine centenaria (can. 5
). Tuttavia questa non sembra sufficientemente provata. È
dimostrato infatti soltanto che il Codice civile prussiano (Preus
-
) vige nella diocesi di Paderborn da oltre cento anni. Ma non apparisce, almeno del
tutto chiaramente, se fin d'allora i fedeli adirono i tribunali civili nelle vertenze in
discorso, se lo fecero tutti od i più od invece i soli irreligiosi od indifferenti, se lo
compirono liberamente o forse costretti dalle circostanze, e soprattutto se si abbia il
necessario consenso del competente Superiore ecclesiastico (can. 25
) o se piuttosto gli Ordinari del luogo soltanto tollerarono o
dissimularono un simile procedimento. Invero, ciò che il Can. Linneborn chiama
"consuetudine centenaria" non sembra in realtà se non m'inganno che una prudente
tolleranza o dissimulazione dell'Autorità ecclesiastica, la quale non poteva e non può
impedire che i fedeli si rivolgano ai tribunali laici in forza delle leggi civili.
Il Can. Linneborn porta anche come argomento la legge dell'Impero del 27 Gennaio 1877
, la quale al § 16
stabilisce
che "non si ammettono tribunali di eccezioni [sic]. Niuno può essere sottratto al giudice
competente". Ma anche questo argomento non sembra abbia valore, perché detta legge non ha
abolito i tribunali ecclesiastici, i quali di fatto hanno continuato e continuano a
funzionare nelle materie di loro competenza. Che se anche, per ciò che riguarda in
particolare il diritto sulle sedie in chiesa, la legge civile prescrivesse la esclusiva
competenza dei tribunali civili, la Potestà ecclesiastica potrebbe ciò, come si è detto,
tollerare, ma non positivamente riconoscere, tanto più che la nuova
Costituzione della Germania
dispone che "ogni società religiosa ordina ed
amministra indipendentemente i propri affari nell'ambito del diritto
comune
" (art. 137
capov. 3). – Del resto, i
tribunali ecclesiastici possono giudicare anche nelle cause civili, allorché le parti
liberamente ricorrano ad essi come ad arbitri, né lo Stato potrebbe non riconoscere al
giudizio così emanato il carattere ed il valore di sentenza arbitrale, secondo che attestano
Kaas, Die geistliche Gerichtsbarkeit der katholischen Kirche in Preussen,
Stuttgart, 1915/16
, vol. II, pag. 281 e segg.; Harburger, Das Privilegium fori in deutschem Recht, Berlino 1915
,
pag. 55 e segg.
Le altre ragioni addotte, sia dal Vescovo di Paderborn, sia ancor più ampiamente dal Can. Linneborn, si riducono in ultima analisi a risparmiare fastidi ed odiosità alla Curia vescovile ed ai giudici ecclesiastici; ma ciò non pare nemmeno un motivo sufficiente nel caso e potrebbe valere per qualunque genere di giudizi, in cui quasi sempre l'uno o l'altro dei contendenti rimane insoddisfatto. D'altronde, alla parte, che si ritiene gravata
di appellare ai tribunali superiori od anche di ricorrere alla
S. Sede.
Finalmente, siccome il Vescovo di Paderborn afferma che i casi ancora controversi sono pochi e rari, parrebbe consigliabile che essi venissero tutti, in quanto è possibile, definitivamente risoluti, affine di togliere così qualunque occasione al prolungarsi dell'asserita consuetudine.
Nel sottoporre quanto sopra rispettosamente al superiore giudizio dell'E. V., m'inchino
77r, oben mittig hds. in roter Farbe vermutlich von einem Nuntiaturangstellten:
"C".
Online seit 14.01.2013, letzte Änderung am 20.01.2020.
Dokument-Nr. 10233
Pacelli, Eugenio
an Sbarretti, Donato Raffaele
[München], 18. Juli 1920
Regest
In Bezug auf die Frage des Paderborner Bischofs Kaspar Klein betreffend die Lösung von Rechtsstreitigkeiten über Ehrenplätze, die den bürgerlichen Obrigkeiten in den Kirchen zugestanden werden, übersendet Pacelli eine Denkschrift des von ihm befragten Kanonisten Johannes Linneborn und äußert auch seine eigene Meinung. Obwohl die Kompetenz dem Ordinarius zusteht, spricht Pacelli auch die stillschweigende Duldung der Kirche in Deutschland betreffend die Möglichkeit an, dass die Parteien dafür das Zivilgericht anrufen dürfen. Er teilt aber nicht die Ansicht Linneborns, wenn dieser behauptet, dass der Ordinarius die Rechtssache an das Zivilgericht selbst dann verweisen könne, wenn beide Parteien ihn angerufen haben. Für den Nuntius handelt es sich um eine besonnene Duldung der Kirche und nicht um ein jahrhundertlanges Gewohnheitsrecht.Betreff
Dubbio del Vescovo di Paderborn circa le cause concernenti il diritto
di avere sedie o posti riservati nelle chiese

Affine di avere tutti gli elementi di diritto e di fatto necessari per la soluzione del suaccennato dubbio, mi rivolsi al Revmo Canonico Prof. Giovanni Linneborn

Poiché l'E. V. troverà nel lavoro del sullodato Canonico esaurientemente esposta l'attuale questione, mi limiterò alle seguenti brevi osservazioni:
77v
Il regolare i posti e le sedie in chiesa è materia risguardante il culto Divino (Codex Iuris Canonici







78r
giudicare dei diritti ed oneri civili con esso
connessi, come pure le questioni sulla successione al patronato medesimo, sia che venissero
agitate fra veri o pretesi patroni, sia che lo fossero fra gli ecclesiastici da essi
presentati. Quanto alle cause relative ai posti in chiesa per i laici non trovasi, per
quanto io sappia, una simile espressa concessione, ma, presentando esse una certa
analogia con quelle del giuspatronato laicale (cfr. Ferraris, l. c., n. 26), si comprende che in Germania, per tacita
tolleranza della Chiesa, i tribunali civili, a cui le leggi dello Stato ne avevano
attribuito la competenza, abbiano potuto già da un secolo giudicarle. E poiché le leggi
anzidette sono rimaste immutate, né vi è probabilità (così almeno afferma il Linneborn) che
siano modificate, parmi possa ammettersi che l'Ordinario continui a tollerare (e
difficilmente potrebbe fare altrimenti) che i fedeli si rivolgano per le vertenze in
discorso ai tribunali anzidetti, tanto più che, come attesta Mons. Vescovo di Paderborn
e conferma nel suo Memoriale il Canonico Linneborn, questi "unanimiter Ordinario ius
vindicant, pro suo arbitrio prudenti, ordinandi ut sedilia propria in ecclesiis de hoc loco
in alium transferantur aut 78v
ex eisdem removeantur", mentre
"possessores sedilium hoc in casu solummodo postulare possunt ut pro damno emergenti sibi ad
ecclesiis aliquid erogetur". Però, se può dirsi, a mio umile avviso, lecita questa (del
resto inevitabile) passiva o tacita tolleranza, non sembra ammissibile – ed in
ciò mi permetto di dissentire dal parere del Can. Linneborn – che l'Ordinario non
accetti di giudicare le dette cause, anche quando vengono a lui deferite per comune ed
espresso consenso di ambedue le parti, ma rinvii invece i contendenti ai tribunali civili.
Molto meno poi sembrami che ciò possa consentirsi nel caso particolarmente contemplato da
Mons. Vescovo di Paderborn, cioè "cum litigans quidam ab ordinatione mea in via
administrativa data ad iudicium meum ecclesiasticum expresse provocaverit", perché ciò
equivarrebbe ad un positivo riconoscimento del diritto dei tribunali civili di giudicare i
decreti (in via amministrativa) dell'autorità ecclesiastica in materia di competenza di
questa (cfr. can. 2334
L'Esposto del Vescovo di Paderborn ed il Memoriale del Can. Linneborn si fondano principalmente sulla consuetudine centenaria (can. 5


79r
sisches [sic] Allgemeines Landrecht

Il Can. Linneborn porta anche come argomento la legge dell'Impero del 27 Gennaio 1877







Le altre ragioni addotte, sia dal Vescovo di Paderborn, sia ancor più ampiamente dal Can. Linneborn, si riducono in ultima analisi a risparmiare fastidi ed odiosità alla Curia vescovile ed ai giudici ecclesiastici; ma ciò non pare nemmeno un motivo sufficiente nel caso e potrebbe valere per qualunque genere di giudizi, in cui quasi sempre l'uno o l'altro dei contendenti rimane insoddisfatto. D'altronde, alla parte, che si ritiene gravata
79v
dalla sentenza, rimane la facoltà
Finalmente, siccome il Vescovo di Paderborn afferma che i casi ancora controversi sono pochi e rari, parrebbe consigliabile che essi venissero tutti, in quanto è possibile, definitivamente risoluti, affine di togliere così qualunque occasione al prolungarsi dell'asserita consuetudine.
Nel sottoporre quanto sopra rispettosamente al superiore giudizio dell'E. V., m'inchino